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La storia dell’OAB attraverso i suoi strumenti
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La prima strumentazione per l’astronomia e l’astrometria

Vediamo ora alcuni degli strumenti che erano utilizzati nell’Osservatorio durante i suoi primi anni di attività.

Figura 7: Il quadrante murale di Canivet (1768), attualmente esposto nella sala delle conferenze della
sede di Merate.
Figura 7: Il quadrante murale di Canivet (1768), attualmente esposto nella sala delle conferenze della sede di Merate.

Quadrante murale (1768). Si tratta di uno dei primissimi strumenti di precisione acquisiti dall’Osservatorio nel periodo immediatamente successivo alla sua fondazione; fu acquistato a Parigi dal costruttore Canivet, una scelta sicuramente dettata da motivazioni economiche, perchè all’epoca gli strumenti di produzione francese non avevano la stessa precisione di quelli inglesi, ma il loro prezzo era inferiore (Figura 7).
Lo strumento era utilizzato per misurare l’altezza di un astro sull’orizzonte al suo passaggio al meridiano: consiste di un telaio di ferro avente la forma di un quarto di cerchio (del raggio di 195 cm) che era fissato in modo permanente a un muro orientato in direzione nord-sud.
Al telaio è fissato un telescopio che può ruotare in un piano verticale attorno a un perno; all’estremità inferiore del telescopio è fissato un nonio che permette di leggere l’angolo di elevazione su una scala graduata incisa lungo il perimetro del telaio.

Figura 8: Il rifrattore Dollond-Megele da 76 mm (1778): all'oculare (estremita' destra del tubo) e' applicato
il micrometro filare.
Figura 8: Il rifrattore Dollond-Megele da 76 mm (1778): all’oculare (estremitè destra del tubo) è applicato il micrometro filare.

Telescopio rifrattore (1778). La lente acromatica che costituisce l’obiettivo di questo telescopio fu acquistata a Londra da Dollond, uno dei migliori produttori di ottiche dell’epoca; tutto il resto dello strumento (tubo, montatura, movimentazione, treppiedi) fu invece costruito a Brera da Giuseppe Megele (Figura 8).
La lente ha un diametro piuttosto piccolo per gli standard del giorno d’oggi (7.6 cm) ma la sua lunghezza focale è molto elevata (244 cm), con un risultante rapporto focale di f/32. Usare uno strumento di questo tipo richiedeva un certo grado di abilità ed esperienza.
Al forte ingrandimento del telescopio la rotazione diurna della volta celeste è molto evidente e porterebbe l’oggetto osservato fuori dal campo di vista nel giro di poche decine di secondi.
Perciò l’osservatore deve correggere continuamente il puntamento del telescopio, inseguendo il moto apparente dell’astro.
Alla latitudine di Milano il polo Nord (attorno a cui sembra ruotare tutta la volta celeste) si trova a un’altezza di circa 45° sull’orizzonte e quindi il moto apparente di un astro segue un percorso obliquo rispetto all’orizzonte.
La montatura di questo strumento è del tipo chiamato altazimutale, cioè il telescopio può essere ruotato indipendentemente attorno a due assi, orizzontale e verticale. Perciò per seguire il moto di un astro l’osservatore doveva agire contemporaneamente su entrambi i movimenti, che per questo scopo erano dotati di due comandi per mezzo di viti senza fine, che potevano essere comandate attraverso due lunghe barre munite di giunti cardanici (in questo modo l’astronomo poteva controllare i movimenti senza muoversi dalla sua posizione di osservazione, dietro all’oculare).
Alla fine del Settecento la fotografia non esisteva ancora e tutte le osservazioni venivano effettuate a occhio nudo, il che non escludeva la possibilità di effettuare misurazioni precise, ad esempio attraverso un micrometro filare.

Figura 9: Il micrometro filare di Megele (1778).
Figura 9: Il micrometro filare di Megele (1778).

Micrometro filare (1778). Anche questo strumento fu costruito da Giuseppe Megele, a dotazione del rifrattore Dollond, per misurare la distanza angolare tra corpi celesti (Figura 9).
Consiste in una scatoletta metallica che contiene due sottili fili paralleli: uno è fisso, mentre l’altro può essere spostato, avvicinandolo o allontanandolo dal primo, per mezzo di una manopola.
La misura avveniva puntando il telescopio in modo che il filo fisso fosse sovrapposto a uno dei due astri; quindi il secondo filo veniva spostato fino a coincidere con il secondo astro; l’angolo di rotazione della manopola, letto su una opportuna scala graduata incisa su un disco metallico, indicava la distanza tra i fili, da cui si poteva calcolare la distanza angolare tra i due oggetti.

Figura 10: Macchina parallattica di Megnie (1784). Solo la montatura e' originale: il telescopio, perduto,
e' stato ricostruito per l'esposizione.
Figura 10: Macchina parallattica di Mégnié (1784). Solo la montatura è originale: il telescopio, perduto, è stato ricostruito per l’esposizione.

Macchina parallattica (1784). Si tratta di un telescopio con obiettivo del diametro di 8.4 cm e lunghezza focale di 120 cm, notevole soprattutto per la sua montatura, di tipo più evoluto rispetto a quella del rifrattore Dollond (Figura 10).
In questo tipo di montatura (che oggi viene chiamata equatoriale) l’asse principale attorno a cui può ruotare lo strumento non è verticale (come nelle montature altazimutali) ma inclinato rispetto all’orizzonte in modo da puntare esattamente in direzione del polo Nord celeste.
In questo modo la compensazione della rotazione diurna può essere eseguita ruotando lo strumento solo attorno a questo asse, con un notevole vantaggio in termini di semplicità operativa.
Un’altra caratteristica avanzata dello strumento è che le scale graduate per la lettura delle coordinate dell’oggetto osservato si estendono su un’intera circonferenza invece che su un solo quadrante.
Ciò permetteva di eseguire l’inversione, cioè ripetere la misura con il telescopio ruotato di 180° e mediare i due valori ottenuti, eliminando parte degli errori sistematici dovuti a imprecisioni nella divisione del cerchio graduato.
Questa macchina parallattica, prodotta dal costruttore francese Mégnié, faceva originariamente parte dell’attrezzatura dell’osservatorio privato di Antonio Cagnoli, diplomatico veronese che si dedicava all’astronomia a livello amatoriale ma con risultati di altissimo livello, tanto che era tenuto in grande stima dai maggiori scienziati francesi dell’epoca. Quando l’osservatorio del Cagnoli fu danneggiato dal bombardamento di Verona a opera delle truppe di Napoleone Bonaparte (1797), parte degli strumenti furono trasferiti all’Osservatorio di Brera.

Figura 11: Circolo moltiplicatore Reichenbach (1808).
Figura 11: Circolo moltiplicatore Reichenbach (1808).

Circolo moltiplicatore (1808). Lo strumento è opera di Reichenbach (Monaco, Germania), uno dei migliori produttori di strumenti ottici dell’epoca (figura 11).
Per la sua grande precisione fu uno degli strumenti principali in uso nell’Osservatorio per lavori di astronomia fondamentale (determinazione della latitudine e della longitudine dell’Osservatorio, compilazione di cataloghi stellari, studi sulla rifrazione atmosferica, misurazioni dell’obliquità dell’eclittica) fino al 1850.
Il fatto stesso che l’Osservatorio potesse permettersi l’acquisto di uno strumento cosė sofisticato testimonia la sua importanza come istituzione scientifica e del sostegno di cui godeva da parte delle autorità.
Lo strumento è composto da un telescopio montato su un cerchio verticale di 100 cm di diametro; il telescopio è fissato a un braccio rotante (alidada) che reca un indice dotato di nonio, per mezzo del quale è possibile leggere l’angolo di elevazione con una precisione di poco superiore al secondo d’arco.
Al fine di garantire la perfetta verticalità dello strumento e la sua stabilità nel tempo, esso era posto su una base di pietra e ancorato a due spessi pilastri di granito, collegati in alto da una robusta trave di ferro a cui era fissata l’estremità superiore della colonna centrale (dotata di quattro viti con le quali si poteva regolare finemente la sua inclinazione).
Una particolarità di questo strumento è che la scala graduata del cerchio verticale non è incisa direttamente sul telaio, ma su una corona circolare separata che può essere ruotata rispetto al telaio.
La corona è dotata di due morse che possono bloccarne la sua posizione o rispetto al telaio (in modo che la scala di lettura diventa fissa, come negli strumenti normali), oppure rispetto all’alidada (in modo che la scala graduata si muove solidalmente con il telescopio quando questo viene fatto ruotare attorno al perno centrale).
Questo dispositivo permetteva di eseguire le misure utilizzando una procedura particolare chiamata ripetizione (o moltiplicazione) degli angoli.
La procedura consisteva nel ripetere più volte la misura, puntando alternativamente i due astri di cui si voleva determinare la distanza angolare.
Nel movimento di andata si teneva bloccata la scala graduata contro il telaio, facendo scorrere su di essa l’alidada; nel movimento di ritorno si sbloccava la morsa che connetteva il cerchio graduato al telaio e si serrava quella che lo fissava all’alidada cosicché questa, ritornando alla posizione di partenza, si trascinava dietro il cerchio graduato.
In questo modo, alla fine delle ripetizioni, la posizione dell’indice dell’alidada sulla scala graduata corrispondeva a un multiplo dell’angolo misurato; dividendo la lettura per il numero di ripetizioni, si otteneva un valore dell’angolo cercato che era affetto da un errore inferiore a quello che si sarebbe ottenuto con una misura singola.