Le osservazioni astronomiche di Galileo sono state di fondamentale importanza
nell'affermarsi della Teoria
Copernicana
I suoi studi di meccanica e termologia sono stati importanti non soltanto
per le nuove conoscenze e la tecnologia che ne è derivata, ma anche
perchè hanno chiarito al mondo scientifico la natura matematica
che sta alla base di tutti i fenomeni fisici, e hanno sottolineato l'importanza
di un'indagine che fosse anche quantitativa.
La Luna, anche osservata ad occhio nudo, presenta delle strutture superficiali: mari, altipiani e crateri. Nella cosmologia aristotelica, per la quale tutti i corpi celesti appartenevano al regno della perfezione e pertanto non potevano avere irregolarità, l'apparenza della Luna rappresentava un problema. Le regioni scure sulla sua superficie venivano spiegate nel Medioevo come variazioni della densità lunare da un punto all'altro, le quali avrebbero dato alla Luna, anche se perfettamente sferica, l'apparenza che ha.
L'avvento del telescopio fece crollare definitivamente il concetto di
perfezione degli oggetti celesti. Con il suo cannocchiale, Galileo osservò
non solo i "mari" della Luna, quei grandi avvallamenti che ad occhio nudo
apparivano come regioni scure sulla sua superficie, ma anche molte regioni
di dimensioni minori, contornate da righe scure. Egli notò che la
larghezza di queste linee cambiava al variare delle fasi lunari, cioè
dell'angolo di incidenza della luce del Sole. Galileo concluse quindi che
esse sono ombre e che la superficie lunare ha montagne e crateri.
La Luna, dunque, non è sferica nè perfetta.
Disegno di Galileo che
illustra il gioco di luci
ed ombre sulla superficie lunare.
(Biblioteca Nazionale di Firenze)
I quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto)
sono piuttosto luminosi, soprattuto quando il pianeta è in opposizione,
ma ad occhio nudo non sono osservabili perchè la luminosità
di Giove li nasconde.
Il primo a scoprirli fu Galileo, che sul finire del 1609, mentre concludeva
le sue osservazioni della Luna al cannocchiale, notò dapprima tre
e poi quattro "stelline" vicine al pianeta. Dopo averle osservate per diverse
settimane, l'astronomo notò che esse sembravano seguire Giove nel
suo moto attraverso il cielo, cambiando però posizione sia tra loro
che rispetto al pianeta.
Nel gennaio del 1610, Galileo giunse alla conclusione che non si trattava
di stelle, bensì di quattro "lune" che ruotano attorno a Giove,
come la Luna attorno alla Terra. Egli annunciò la sua scoperta nell'opera
che lo rese famoso, il "Sidereus
Nuncius", pubblicato a Venezia nel marzo 1610.
Questa scoperta fu di fondamentale importanza per l'imporsi della teoria
copernicana del moto planetario. Nella cosmologia
aristotelica vi era un unico centro del moto (la Terra), attorno al
quale ruotavano tutt i corpi celesti. Copernico sosteneva invece che fosse
la Terra a muoversi attorno al Sole, e la Luna attorno alla Terra, cioè
che ci fossero due centri del motto. Il fatto che anche Giove possedesse
dei satelliti, cioè che fosse anch'esso un centro del moto, se non
era una conferma della teoria copernicana, confutava però quella
tolemaica.
Pagine del "Sidereus Nuncius" nelle quali
Galileo descrive la scoperta dei
satelliti di Giove
Visione artistica di Giove
con i satelliti medicei
Immagini dei satelliti medicei
prese dal Telescopio Spaziale Hubble
nell'ottobre del 1995 (HST)
Secondo la cosmologia aristotelica, tutti i corpi celesti erano sferici
e perfetti, ma le prime osservazioni di Saturno al telescopio costituirono
una vera sorpresa. Dopo aver pubblicato il "Sidereus Nuncius", Galileo
continuò ad osservare il cielo al cannocchiale nella speranza di
fare nuove scoperte.
Nel luglio del 1610, osservò Saturno quando era in opposizione.
Il suo strumento non era abbastanza potente per distinguere gli anelli,
ed essi gli apparirono come dei rigonfiamenti laterali del pianeta. Egli
interpretò così questo aspetto: "....Saturno non è
un astro singolo, ma è composto di tre corpi, che quasi si toccano,
e non cambiano ne' si muovono l'uno rispetto all'altro, e sono disposti
in fila lungo lo zodiaco, e quello centrale è tre volte più
grande degli altri due...."
Lo scienziato dette così al pianeta il nome di "Saturno tricorporeo".
In seguito, egli osservò anche che i corpi laterali erano scomparsi;
infatti, durante il moto di Saturno nella sua orbita, il piano degli anelli
cambia direzione rispetto alla Terra: quando essi si presentavano di taglio,
non potevano essere visti al cannocchiale.
In seguito, altri astronomi confermarono lo strano aspetto di Saturno
e le sue variazione, ma fu solo nel 1659 che l'astronomo Christiaan Huygens
lo spiegò con la presenza di un anello attorno al pianeta.
Saturno nei disegni di Galileo
Disegno nel quale Huygens spiega l'apparenza degli anelli
di Saturno durante il moto del pianeta lungo l'orbita
Saturno fotografato dal
Telescopio Spaziale Hubble
nel 1994 (HST)
Il pianeta Venere, nella sua rivoluzione intorno al Sole, viene illuminato
in modo da formare, come la Luna intorno alla Terra, delle fasi.
Galileo lo verificò con le osservazioni al cannocchiale, e scrisse:
"Cynthiae figuras aemulatur mater amorum" (la madre degli amori, Venere)
imita le configurazioni di Cinzia (la Luna).
Le fasi di Venere falsificavano il sistema tolemaico e provavano che
Venere ruota attorno al Sole, come previsto dal sistema copernicano.
Venere fotografata dalla
sonda Galileo
(NASA/JPL)
Le macchie solari sono regioni scure, di forma irregolare e variabile,
sulla superficie del Sole. Sono visibili anche ad occhio nudo, sebbene
l'osservazione diretta del Sole sia molto pericolosa. Le prime osservazioni
delle macchie solari ad occhio nudo sono dovute ai Cinesi e risalgono almeno
al 28 a.C. Non è nota la datazione di analoghe osservazioni in Occidente.
Il loro studio sistematico cominciò subito dopo l'introduzione
del telescopio in astronomia, da parte di Galileo, nel 1609. Lo scienziato
compì una delle prime osservazioni delle macchie, insieme a Thomas
Herriot, Johannes e David Fabricius e Christoph Scheiner.
Il fatto che il Sole presentasse delle irregolarità sulla sua
superficie e che il suo apsetto variasse nel tempo, era anch'esso una prova
a sfavore della teoria tolemaica, secondo la quale ogni cosa appartenente
al regno celeste era perfetta e immutabile.
Immagine del Sole, nella quale
si distinguono le macchie solari
Particolare di alcune macchie
solari (National Solar
Obs./Sacramento Peak)
Galileo era molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla
questione del moto; egli incominciò fin da giovane ad analizzare
criticamente la fisica aristotelica che gli era stata insegnata, attraverso
la sperimentazione diretta sugli oggetti del proprio studio.
Si dice che Galileo intraprese lo studio del moto del pendolo nel 1581,
dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella
Cattedrale di Pisa, città nella quale compì gli studi universitari.
Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è indipendente
dalla sua ampiezza, fenomeno detto"isocronismo"
del pendolo, e cercò di trovare le relazioni tra la lunghezza e
il peso del pendolo e il suo periodo. In realtà, un pendolo è
strettamente isocrono soltanto se le sue oscillazioni sono di piccola ampiezza,
come fu scoperto da Huygens pochi decenni più tardi.
Un pendolo potè quindi essere usato come strumento per misurare
gli intervalli di tempo, trovando applicazione per esempio in medicina,
come misuratore delle pulsazioni cardiache.
Molti anni più tardi, nel 1641, Galileo propose l'utilizzo del
pendolo come meccanismo regolatore degli orologi, e ne abbozzò un
progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo,
e l'orologio a pendolo venne costruito solo nel 1657, da Christiaan Huygens.
Un orologio a pendolo
(Museo di Storia della Scienza, Firenze)
Galileo studiò la fisica aristotelica all'università di
Pisa, ma cominciò subito ad analizzarla criticamente. Mentre gli
aristotelici avevano un approccio di tipo qualitativo e filosofico nei
confronti del mondo fisico, il quale veniva descritto per categorie e mai
sottoposto a verifiche sperimentali, lo scienziato cercò di sviluppare
un metodo di indagine quantitatvo e matematico.
Uno degli oggetti di indagine di Galileo riguardò il moto dei
corpi materiali (detti "gravi"), in particolare quello dei corpi in caduta
libera. Secondo la fisica aristotelica, il moto di un corpo è determinato
dalle forze alle quali è soggetto; per un corpo in caduta, esse
sarebbero il suo peso e la resistenza dell'aria. Quindi, secondo questa
visione, un corpo lasciato cadere da una determinata altezza raggiungerebbe
il suolo tanto più velocemente quanto maggiore è il suo peso.
Galileo cominciò ad investigare criticamente questa ipotesi,
come fecero prima di lui Giuseppe Moletti e Benedetto Varchi, i quali constatarono
che corpi dello stesso materiale ma diverso peso, lasciati cadere dalla
stessa altezza, raggiungono il suolo nello stesso tempo.
Lo scienziato pensava dapprima che i corpi cadessero con una velocità
uniforme caratteristica, che dipendeva non dal loro peso, bensì
da una proprietà intrinseca detta gravità specifica. Durante
gli anni in cui insegnava matematica all'Università di Pisa (dal
1589 al 1592), egli cominciò ad esporre questa sua prima teoria
sul moto dei gravi nel libro "De Motu", che però non pubblicò
mai.
Nei vent'anni successivi, Galileo fece altri esperimenti ed arrivò
alla conclusione che tutti i corpi nel vuoto (cioè non soggetti
alla resistenza dell'aria o di un altro mezzo materiale) cadono con accelerazione
uniforme, indipendentemente dal materiale di cui sono composti, dal loro
peso o dalla loro forma, e che la distanza che essi percorrono durante
la caduta è proporzionale al quadrato del tempo impiegato per percorrerla.
Nel "Dialogo intorno a Due Nuove Scienze", Galileo affronta il
problema del moto dei proiettili. Prima di Galileo, si credeva che un corpo
lanciato in direzione orizzontale, per esempio un proiettile sparato da
un cannone, si muovesse in direzione orizzontale fino a quando non perdeva
il suo "impeto", dopodichè cadeva verso terra, seguendo una traiettoria
curvilinea che però non era ancora conosciuta.
Galileo si accorse, durante lo studio del moto dei proiettili, che
essi non sono soggetti soltanto alla forza che li spinge in direzione orizzontale,
bensì anche alla forza di gravità, che li attira verso il
basso. La prima componente agisce come una forza inerziale, nel senso che
il corpo ad essa soggetto percorre una distanza in orizzontale che è
proporzionale al tempo impiegato per percorrerla. La seconda invece provoca
un moto uniformemente accelerato, cioè la distanza percorsa in verticale
è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerla. Galileo
dimostrò che la combinazione dei due moti orizzontale e verticale
risulta nel moto del proiettile lungo un arco di parabola.
Disegno di Galileo che illustra i suoi
esperimenti sul moto dei proiettili
Disegno che illustra il moto parabolico dei
proiettili, lanciati con diversi angoli di inclinazione
Galileo cercò di spiegare il fenomeno delle maree non tramite
l'influenza gravitazionale della Luna, dato che la teoria della gravitazione
universale non era stata ancora formulata, bensì in modo puramente
dinamico, nell'ambito della teoria copernicana del moto degli astri.
Allo stesso modo in cui il moto dell'acqua all'interno di un vaso è
condizionato dal moto del vaso stesso, così il moto degli oceani,
secondo l'interpretazione galileiana, sarebbe condizionato dal moto della
Terra.
Secondo lo scienziato, nel suo moto combinato di rotazione e rivoluzione,
la Terra sarebbe soggetta a rallentamenti ed accelerazioni periodiche del
proprio moto di rotazione, con periodo di 12 ore. A causa della propria
inerzia, i mari si solleverebbero perchè "lasciati indietro" dalla
Terra sottostante o viceversa.
Questa teoria non è corretta: la causa reale delle maree
è l'attrazione gravitazionale della Luna sulla Terra. Tuttavia,
anche se a volte fu in errore, Galileo cercò di spiegare per mezzo
dell'osservazione e della matematica i fenomeni osservati in natura, al
posto di accettare l'interpretazione aprioristica della filosofia aristotelica.
Questo rappresentò un passo avanti nella costruzione della scienza
moderna.