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È il 2 luglio 1967 quando il primo lampo gamma viene avvistato da una coppia di satelliti americani. Esclusa fin da subito l’origine terrestre dell’esplosione la notifica della scoperta non avviene che nel 1973, con un articolo pubblicato su Astrophysical Journal.

Immagine del satellite Beppo-Sax

Immagine del satellite
Beppo-Sax

Ma la svolta nello studio di queste misteriose esplosioni arriva trent’anni dopo la scoperta, quando nel 1997 il satellite italo – olandese Beppo Sax (85% italiano, 15% olandese) viene messo in orbita con a bordo uno strumento, chiamato maschera codificata, in grado di rilevare la direzione di arrivo del lampo con una precisione di un minuto d’arco, enormemente superiore rispetto agli strumenti che avevano volato precedentemente.

La mancanza di precisione fino ad allora aveva favorito il proliferare di ben 150 teorie diverse sull’origine dei raggi gamma con un intervallo di possibilità enorme. Non conoscendo la distanza dell’esplosione era infatti impossibile dire se si trattasse di eventi vicini e poco energetici o lontani e molto energetici.

Il grande merito di team di Beppo-Sax, grazie al quale venne insignito del premio Bruno Rossi, è stato credere che successivamente all’emissione parossistica in raggi gamma esistesse una coda di emissione in raggi X (afterglow); per osservarla era necessario ripuntare i telescopi a raggi X in direzione del fenomeno nel più breve tempo possibile.Tuttavia alla fine degli anni ’90 risultava ancora determinante l’intervento umano: la persona indicata doveva decidere se fosse o no il caso di riallineare i telescopi ed eventualmente comunicare le coordinate del lampo. Questa fase termina con l’avvento dei satelliti di nuova generazione, in particolare del satellite Swift, altro grande contributo tecnologico italiano, in orbita dal 2004.

Fotografia del satellite Swift completo

Immagine del satellite
Swift completo

In grado di monitorare un quarto di cielo, il satellite ha a bordo tre strumenti: un rivelatore di raggi gamma, per osservare l’emissione parossistica dello scoppio, un telescopio a raggi X per l’osservazione dell’afterglow ed un piccolo telescopio ottico per rilevare l’emissione nel visibile/ultravioletto. L’innovazione è determinata dalla capacità del satellite di riallineare automaticamente gli strumenti nella direzione del lampo gamma avvistato in modo da osservare fin da subito l’andamento della luminosità X e ottica e poterne studiare l’andamento nel tempo.

L’Italia, in particolare l’Osservatorio Astronomico di Brera ha realizzato gli specchi per il telescopio X; fatto curioso è che il telescopio venne inizialmente costruito per un altro motivo: per un satellite russo che per una serie di eventi internazionali a cavallo degli anni ’90 non vide mai la luce.

Conservato in perfette condizioni all’Osservatorio Astronomico di Brera il telescopio a raggi X venne di nuovo preso in considerazione quando si progettò una missione a basso costo composta da due telescopi già pronti (il telescopio X ed un telescopio ottico identico a quello ora a bordo del satellite XMM) ed un solo nuovo strumento per la rilevazione di raggi gamma. L’idea venne approvata dalla NASA che la selezionò tra nove proposte concorrenti.

Rappresentazione grafica del satellite Swift con i riferimenti sulla posizione degli strumenti a bordo (credits: NASA)

Rappresentazione grafica
del satellite Swift con i riferimenti
sulla posizione degli strumenti
a bordo (credits: NASA)

Dal 2004 Swift ha permesso di raccogliere dati importantissimi per lo studio dei GRB.

Oltre ai laboratori per la preparazione di strumenti tecnologici ad altissimo livello l’Osservatorio Astronomico di Brera ospita un gruppo di ricercatori particolarmente attivo nell’analisi dei dati provenienti dai telescopi in orbita e nella loro interpretazione teorica.






Testo a cura di Ilaria Arosio e Stefano Sandrelli


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