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La Storia

Testo a cura di Ilaria Arosio da un'intervista a Gabriele Ghisellini



Immagine di un satellite Vela

Immagine di un satellite Vela

La Storia della scoperta dei lampi di raggi gamma di origine celeste è legata a uno dei periodi più drammatici del ‘900: la Guerra Fredda. All’inizio degli anni ’60, infatti, cercando di contenere il riarmo nucleare, russi e americani firmano un primo trattato per limitare i test delle armi non convenzionali. L’accordo (Treaty Banning Nuclear Weapon Tests In The Atmosphere, In Outer Space And Under Water ) proibisce esplosioni nucleari in atmosfera, nello spazio e sotto gli oceani.

Si tratta, com’è chiaro, di un trattato parziale, che deliberatamente non impedisce la sperimentazione nel sottosuolo. E che il clima sia tutt’altro che disteso, si capisce dal fatto che appena tre giorni dopo la firma, gli USA lanciano in orbita i primi due satelliti Vela (dallo spagnolo velar, guardare), progettati per identificare esplosioni nucleari nello spazio. Gli americani temono infatti che i russi siano in grado di arrivare sulla Luna e che possano far esplodere bombe atomiche sulla faccia nascosta del nostro satellite naturale; in tal caso oltre ai raggi X emessi direttamente nell’esplosione nucleare, il decadimento radioattivo delle polveri lunari avrebbe prodotto – secondo le ipotesi - anche raggi gamma. Dal 1963 al 1967 vengono lanciate quattro coppie di satelliti Vela, l’ultima delle quali in grado di identificare anche esplosioni nucleari in atmosfera.

È il 2 luglio 1967 quando uno di questi “guardiani nucleari” registra una breve ma intensa emissione nei raggi gamma, appena un fiotto veloce, un lampo appunto. Qualcuno ha forse rotto il Trattato? La crisi nucleare è scongiurata solo grazie alla capacità tecniche dei rivelatori: registrando il tempo di arrivo dei fotoni, è subito possibile indicare la direzione di arrivo dei lampi gamma. Le misure sono molto approssimate, ma sufficienti per escludere che il lampo di raggio gamma sia giunto dalla Terra, dalla Luna, dal Sistema Solare.

Di che si tratta, allora? Nessuno tra i militari americani è in grado di spiegare questi eventi e la notizia viene tenuta segreta fino al 1973 quando il numero di lampi di raggi gamma osservati è circa una dozzina; in quell’anno la scoperta dei lampi di raggi gamma (GRB, Gamma Ray Bursts) viene resa pubblica tramite un articolo pubblicato su ApJ (Astrophysical Journal), una delle più prestigiose riviste scientifiche nel campo dell’astrofisica.

Testata del primo articolo scientifico che testimoniava l’esistenza dei GRB

Testata del primo articolo scientifico che testimoniava l’esistenza dei GRB

Il mistero che ha circondato queste sorgenti fin dalla scoperta ha garantito loro un fascino indiscusso all’interno della comunità. Fino a non molto tempo fa, a causa della imprecisione sperimentale sulla determinazione della direzione di provenienza dei fotoni, era di fatto impossibile puntare altri strumenti per identificare la sorgente cosmica responsabile dell’emissione. Di conseguenza era anche impossibile capire se la sorgente, dopo aver emesso un GRB, fosse luminosa in altre bande delle spettro elettromagnetico. In queste condizioni, con una tale scarsezza di dati, indagare la natura dei fenomeni all’origine dei GRB era talmente difficile che ben 150 diverse teorie potevano convivere: i GRB potevano essere di origine cosmologica oppure essere generati da eventi simili alle supernove. E trovavano spazio anche teorie esotiche, come per esempio l’impatto di comete di antimateria su stelle di neutroni.

Immagine del satellite Beppo-Sax

Immagine del satellite Beppo-Sax

La svolta nelle ricerche è arrivata nel 1997, trent’anni dopo la prima scoperta, grazie al satellite Beppo-Sax ( 85% italiano e 15% olandese). Il satellite era infatti fornito di una maschera codificata, uno strumento in grado di determinare la direzione di provenienza dei fotoni con una precisione di circa un minuto d’arco, equivalente ad un sessantesimo di grado; per un rapido confronto si pensi che il diametro della Luna piena ha una dimensione angolare di 30 minuti d'arco.

La precisione di Beppo-Sax, per quanto di gran lunga inferiore a quella dei moderni telescopi ottici, ha permesso per la prima volta di puntare telescopi a raggi X lungo la direzione di provenienza del lampo e di verificare che successivamente all’emissione parossistica nei raggi gamma esiste effettivamente una coda di emissione (afterglow) nella banda dei raggi X.

I telescopi a raggi X a loro volta hanno permesso di determinare con precisione ancora maggiore la direzione di arrivo dei fotoni. Riferendo quindi le coordinate celesti precise dell’evento ai telescopi che si trovano a terra è stato possibile scoprire la presenza di una coda di emissione anche nell’ottico con intensità che decresce nel tempo come l’inverso del tempo trascorso dal GRB.

Nella banda elettromagnetica del visibile è possibile inoltre ricavare lo spettro di emissione della sorgente, ossia la sua distribuzione energetica di fotoni, e da lì risalire alle eventuali righe in assorbimento o emissione che ci informano sulla distanza della sorgente stessa.

Sin dai primi risultati è apparsa evidente l’origine cosmologica del lampo: queste esplosioni nascono a miliardi di anni luce di distanza da noi e sono in assoluto le sorgenti più lontane osservate. Il fatto di osservare un grande flusso a così elevata distanza implica che l’esplosione abbia una potenza inimmaginabile. Oggi sappiamo che queste sono anche le sorgenti più potenti che conosciamo: l’energia emessa è tra 10 e 100 volte quella che viene emessa nell’esplosione delle Supernovae. Una così elevata energia emessa in così poco tempo si traduce in un’immensa potenza (energia emessa per unità di tempo) che permette a tali fenomeni di essere osservabili, a differenza delle Supernovae, a qualsiasi distanza. Anche GRB associati alla morte delle prime stelle, formatesi qualche centinaio di milioni di anni dopo il big bang, potrebbero quindi essere rilevati.

Dieci anni dopo l’impresa di Beppo-Sax, gli strumenti su un satellite come Swift (un satellite della NASA con partecipazione italiana e inglese, a cui l’OAB ha dato un contributo fondamentale) sono così precisi da riuscire a osservare in media un lampo di raggi gamma al giorno; finora ne sono stati rilevati circa 4000, distribuiti in modo omogeneo su tutto il cielo e del tutto scorrelati gli uni dagli altri. Dato un lampo di raggi gamma, cioè, è del tutto impossibile prevedere da quale zona del cielo proverrà il successivo.




Link interno - In italiano

Swift-OAB

Link esterni - In inglese

Swift


GRB Collection


GRB-NASA:
Introduction to a Mistery


NASA Space Place
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A. Coletta, G. Gandolfi
"Il secondo Big Bang"
CUEN, 2000


J. I. Katz
"The Biggest Bangs"
Oxford University Press, 2002