./curiosita_agosto09.php 0000644 0001750 0000144 00000024235 12322721746 014541 0 ustar misto users
Nella nostra esperienza, se c’è una cosa che viaggia diritta è la
luce.
E spesso ci facciamo affidamento. La luce lampeggiante che vedo
dalla mia nave mi dice con precisione dove si trova il faro, i fanali
che vedo in strada mi segnalano la posizione delle altre auto.
In realtà, non è proprio vero.
Nel 1905, Albert Einstein con la sua
teoria della Relatività Generale ha dimostrato che anche la luce
viene deviata se passa vicino a un corpo.
Purtroppo, se provate a mettere un gatto fra voi e una lampadina, non riuscite a vedere
nessuna deviazione della luce. No, nemmeno sostituendo il gatto con un
alano, o un elefante (se ne avete uno in casa).
Questo perchè anche un elefante è troppo leggero per produrre una deviazione
significativa (però attenzione! La deviazione c’è).
Einstein lo sapeva bene e ha proposto un esperimento con un oggetto un po’ più
massiccio di un elefante: il sole.
La luce di una stella che appare vicino al bordo del sole subisce un
deviazione che possiamo misurare con un telescopio.
Dato che il sole è troppo luminoso, questa misura si può fare solo durante un’eclissi
totale.
Nel 1919, l’astronomo inglese Sir Arthur Eddington viaggiò
fino all’isola Príncipe al largo della costa occidentale dell’Africa
per misurare proprio questo effetto durante un’eclisse.
Questo viaggio, al tempo piuttosto pesante, diede i suoi frutti e portò alla
misurazione della deviazione della luce nella misura predetta da Einstein.
Va bene, direte, ma si tratta sempre di deviazioni minime (quella
misurata da Eddington era di 5 decimillesimi di grado, il diametro di
una monetina da un euro vista da 2.7 km di distanza).
Questo perchè il sole è grande e tutto sommato leggero.
Deviazioni molto più estreme sono state osservate: sono le lenti gravitazionali.
Addirittura si vedono diverse copie dello stesso oggetto, la cui luce
è deviata da una galassia o un ammasso di galassie posto fra esso e
noi (Fig. 1, Fig. 2 e Fig. 3).
Non solo la gravità può agire come lente, ma anche come specchio.
Immaginiamo di spostarci nelle vicinanze di un buco nero, un oggetto
molto massiccio e molto piccolo.
La luce che passa vicino a un buco
nero, per la forte attrazione gravitazionale, può non solo essere
deviata, ma può addirittura fare un giro intorno ad esso (o anche
più di uno) e tornare indietro.
Se veniamo illuminati da una sorgente
di luce (una stella?), la nostra immagine verrà "riflessa" dal buco
nero e potremo vederci, molto deformati, come di fronte a uno
specchio. Naturalmente, uno specchio con un buco nero in mezzo.
vai a wikipedia Lente Gravitazionale
vai a wikipedia Buco nero
Negli ultimi anni, grazie allo spettrografo HARPS e a satelliti come COROT e Kepler, il numero di pianeti in orbita ad altre stelle è aumentato velocemente, tanto che oggi ne conosciamo quasi
500.
Questi satelliti basano le loro osservazioni sulle fluttuazioni periodiche
prodotte da un pianeta intorno a una stella, sia dovute all’attrazione
gravitazionale del pianeta, sia a un vero e proprio transito del pianeta davanti
alla stella.
Si potrebbe parlare a lungo di questi sistemi, di quelli più simili
alla terra e delle possibilità di trovare pianeti abitabili e forse lo faremo in una
"curiosità" futura.
Qui però vorrei parlare dei primi pianeti extrasolari scoperti nel 1992 da
Aleksander Wolszczan e Dale Frail, dato che sia loro che la loro stella sono molto
particolari, come lo è il modo in cui sono stati scoperti.
PSR B1257+12 è una stella di neutroni, resto dell’esplosione di una stella molto
massiccia.
Di più, è una pulsar (vedi curiosità di aprile 2010).
Ancora di più: è una pulsar molto veloce, ruota su se stessa ogni 6.22 millisecondi.
Stiamo parlando di 9650 giri al minuto, da confrontare con il contagiri della vostra auto o con i 10400
giri al minuto di un CD a velocità 52x.
Vi avevo promesso che vi avrei spiegato come sia possibile che una stella di neutroni sia arrivata a girare così in fretta e lo
farò, ma la spiegazione deve aspettare ancora un po’.
E poi... perchè sono tornato a parlare di pulsar?
Perchè una pulsar così veloce è un orologio precisissimo, ma un orologio
precisissimo deve stare fermo e un oggetto in orbita intorno a una pulsar la sposta
leggermente dato che entrambi devono orbitare intorno al comune centro di massa.
In altre parole, l’impulso della pulsar viene modulato se un altro oggetto è in orbita
intorno alla stella di neutroni.
In questo modo Wolszczan e Frail hanno scoperto che intorno a questa pulsar orbitano
dei pianeti.
Tre pianeti per l’esattezza, con una massa di 0.02, 4.3 e 3.9 volte
quella della terra.
Le loro orbite sono molto piccole: 25, 66 e 98 giorni, tutte più
piccole dell’orbita di Mercurio intorno al nostro sole.
I tre pianeti orbitano nello stesso piano, come i pianeti del sole nell’eclittica, come ci si aspetta nel caso si
siano prodotti da un disco protoplanetario.
Il pianeta più interno è molto leggero, due centesimi della terra, ma grazie alla precisione dell’orologio della pulsar e alla sua piccola orbita, lo si può "osservare".
Non solo, si sono osservate anche perturbazioni di un pianeta nei confronti dell’altro, da cui la misura precisa delle
masse e delle inclinazioni delle orbite.
Sono vere e proprie rocce intorno a un
orologio, da cui il gioco di parole con "rock around the clock", la canzone degli
anni ’50 che apriva le puntate del telefilm "Happy Days".
Questi sono stati i primi. Nel 1995 è stato scoperto un pianeta simile a Giove come
massa in orbita intorno a una stella di tipo solare, 51 Pegasi, con un’orbita di
poco più di quattro giorni.
Doveva esser grande e vicino per produrre effetti osservabili ed essere rivelato senza un buon orologio.
Ora con gli strumenti attuali ne conosciamo quasi 500 e non tutti così grandi e così vicini.
Certo, immaginare forme di vita su pianetini rocciosi in orbita molto vicino a una
pulsar veloce è un po’ difficile.
Vita come la nostra probabilmente no, ma chi sa che forma può prendere la vita in condizioni estreme?
Scoperto un sistema stellare ricco di pianeti - Comunicato stampa ESO del 24 agosto 2010
Link ufficiale spettrografo HARPS (pagina in inglese)
Lo spettrografo HARPS - wikipedia
La missione Corot - wikipedia
Link ufficiale della missione Corot (pagina in inglese)
La missione Corot - wikipedia
Link al sito ufficiale della missione Kepler (pagina in inglese)
La missione Kepler - wikipedia
Link alla pagina di Aleksander Wolszczan - Università di Penn State - Dipartimento di Astronomia - (pagina in inglese)
Pianeti extrasolari - wikipedia
La pulsar PSR B1257+12 - wikipedia.
Nel 1962, la prima sorgente di raggi X extrasolare è stata scoperta: un sistema binario nella nostra galassia consistente in una stella normale e una stella di neutroni.
Oggi conosciamo decine di migliaia di sorgenti di radiazione X.
Nella nostra galassia abbiamo quasi tutte le categorie di oggetti
celesti osservati in X: pianeti, comete, stelle normali, stelle doppie, sistemi con stelle di
neutroni e buchi neri, resti di supernova eccetera.
Al di fuori della nostra galassia vediamo in X galassie normali, galassie attive, ammassi di galassie,
quasar ...
Ma c’è qualcosa di intermedio fra oggetti di massa stellare all’interno della nostra galassia e oggetti supermassivi collegati ad altre galassie.
Siamo in condizione di vedere le popolazioni di oggetti stellari che emettono raggi X in
altre galassie.
In altre parole, possiamo vedere dentro altre galassie.
Naturalmente parliamo di quelle abbastanza vicine e di oggetti abbastanza luminosi, ma abbiamo
già a disposizione dei veri cataloghi di sorgenti X in galassie diverse dalla
nostra.
Quali sono i vantaggi?
Innanzitutto la nostra galassia è a forma di spirale e quindi molto schiacciata.
Dato che ci stiamo dentro, la maggior parte delle stelle (e delle sorgenti X) si
trovano sulla "via lattea", ovvero la galassia vista da dentro.
Dato che oltre a stelle la galassia contiene gas e polvere, più lontano si guarda più assorbimento si trova.
Il risultato è che a grandi distanze non vediamo molto bene.
Cosa meglio di guardare una galassia come la nostra da fuori, possibilmente dall’alto, e eliminare
la maggior parte dei problemi?
Non tutte le galassie sono uguali e lo studio delle popolazioni di oggetti brillanti in
raggi X, essenzialmente soltanto sistemi binari con stelle di neutroni e buchi neri
(i più luminosi) ci aiuta a capire come le caratteristiche della galassia abbiano
effetto sulla nascita e l’evoluzione di questi oggetti.
Non solo tutte le galassie non sono uguali, ma alcune sono molto strane.
Ad esempio, ci sono casi molto peculiari di galassie in collisione, come ad esempio le galassie
delle Antenne (NGC 4038 e NGC 4039).
L’interazione fra le due galassie nello scontro
ha portato a una grande formazione di nuove stelle e la distribuzione di oggetti
brillanti in X segue la formazione stellare.
Poi naturalmente ci sono i risultati inaspettati, da sempre il sale della ricerca.
Dato che conosciamo la distanza di queste galassie, possiamo calcolare quanto siano
luminose le loro sorgenti X.
Confrontando con la nostra galassia, si trova che
diversi sistemi sono molto più luminosi di quelli della nostra galassia.
Per qualche motivo, non abbiamo sorgenti così brillanti dalle nostre parti.
Non soltanto questo: la loro luminosità, proveniente dall’accrescimento di materia su un buco nero (vedi curiosità di febbraio 2010: "Tieni chiusa la bocca quando mangi!"), è troppo alta perchè il "motore" possia funzionare.
Le soluzioni sono due: o il motore funziona in modo diverso, ad esempio emettendo i raggi X solo in alcune direzioni (inclusa quella verso di noi), oppure il buco nero di questi sistemi è molto più massiccio del solito: 100-1000 volte il nostro sole in confronto al valore più classico di 10 volte.
Non solo il problema non è ancora stato risolto (ed è oggetto di forti controversie fra opposte fazioni), ma la sua soluzione porterà ad altri problemi:
nel primo caso come funziona il meccanismo del motore modificato?
Nel secondo caso, come possono nascere sistemi di questo tipo con buchi
neri così grandi?
Ovviamente dato che col passare del tempo i telescopi X diventano sempre più
sensibili, scopriremo sorgenti più deboli in queste galassie e sorgenti come queste
in galassie più lontane, mentre per il problema delle sorgenti "troppo" luminose si
potranno avere dati sempre più precisi per poter distinguere fra le due possibilità
e capire di cosa si tratti.
Non è escluso che entrambe le soluzioni siano corrette e
ci siano davvero due popolazioni.
Astronomia X da Wikipedia
X-ray Astronomy Satellites & Missions sito dedicato all’astronomia X della NASA (in inglese)
Nel 1950, discutendo con dei colleghi sull’esistenza degli alieni, Enrico Fermi se ne uscì con: "Ma se davvero gli alieni esistono, dove sono tutti quanti?"
Intendeva dire che se la nostra civiltà non è niente di speciale, allora dovrebbero esistere tante altre civiltà sparse nell’Universo: circa la metà di esse dovrebbero essere meno evolute di noi, mentre l’altra metà dovrebbero esserlo di più. E se davvero esistessero, perchè non abbiamo già avuto un contatto certo con "loro"?
A tutt’oggi, questo rimane uno degli argomenti principali contro l’esistenza di civiltà evolute su altri mondi.
E a maggior ragione oggi, che abbiamo scoperto l’esistenza di pianeti attorno ad altre stelle.
È di pochi mesi fa l’annuncio che il numero di pianeti che si stimano esistere ha superato il numero di stelle (vedi la notizia su Media Inaf dell’11 gennaio 2012).
Questo vuol dire che solo nella nostra Galassia devono esistere più di 400 miliardi di pianeti.
D’accordo, la grande maggioranza di questi orbita a distanze troppo piccole o troppo grandi attorno alla propria stella, rendendo impossibile l’esistenza dell’acqua liquida, ritenuta indispensabile per lo sviluppo della vita.
Ma anche se soltanto l’un per mille dei pianeti orbitasse alla distanza giusta, ne rimarrebbero comunque 400 milioni (e solo nella Via Lattea) in cui la vita si sarebbe potuta evolvere.
400 milioni sono un bel numero... e se noi non siamo speciali, allora dovrebbero esistere circa 200 milioni di civiltà (cioè la metà) più evolute della nostra. E allora, perchè non siamo già in contatto con "loro"?
Siamo davvero soli? Oppure gli alieni, essendo più intelligenti di noi, sanno che non devono influenzarci Oppure, quando una civiltà evolve davvero, capisce che deve rimanere in equilibrio con il suo ambiente, e smette di consumare sempre più energia? Oppure è destino che l’evolversi di una civiltà finisce sempre con la sua autodistruzione?
Non lo sappiamo, ma una difficoltà esiste davvero, nell’intraprendere viaggi interstellari, quali sarebbero necessari per visitare altri mondi, su altre stelle.
Il fatto è che le stelle sono davvero molto, molto distanti tra loro. La stella più vicina al Sole è alpha-Centauri, che dista da noi 4 anni e 4 mesi luce. Vuole dire che la luce, viaggiando a 300.000 km al secondo, impiega 4 anni e 4 mesi per compiere il viaggio. Attenzione però: chi misura questo tempo è un osservatore fermo rispetto al Sole o ad alpha-Centauri.
Un’ipotetica astronave che viaggiasse - diciamo - all’80 per cento della velocità della luce impiegherebbe, secondo noi che siamo fermi sulla Terra, più di 5 anni per compiere il tragitto.
Fin qui, niente di strano. Se andiamo più lenti della luce, allora impiegheremo più tempo. Giusto. Però, per gli astronauti a bordo della navicella superveloce, quanto tempo passerebbe? Circa 2 anni e 2 mesi, cioè la metè del tempo che impiega la luce.
Incredibile? No, è un’effetto bizzarro della relatività di Einstein ... Badate: questo effetto non è solo teorico, è verificato tutti i giorni nei nostri laboratori ...
Beh, direte voi, tanto meglio: forse non è necessario ibernarsi o escogitare altre diavolerie per intraprendere i viaggi interstellari. Basta avere sufficiente energia e imprimere alla nostra astronave la velocità necessaria, e il gioco è fatto.
Però ... c’è un però. Se un giorno doveste farvi convincere a imbarcarvi su una di queste astronavi, dovreste prima pensare a ... un granello di polvere. Niente di cospicuo, facciamo un "nulla" di un milionesimo di grammo di massa. Sparso nel cosmo, ma proprio sulla vostra rotta di volo. Che cosa succederebbe se la vostra astronave, viaggiando all’80 per cento della velocità della luce incontrasse quel granello? Beh, è così piccolo, direte voi, e la nostra astronave così solida, che al massimo farà una microscopica ammaccatura. Vediamo.
Supponiammo che il granello sia fermo nello spazio, e che voi gli andiate contro. Allo stesso modo, possiamo pensare a voi fermi, e al granello che si muove con la vostra velocità, ma in direzione contraria.
Quanta energia (cinetica) c’è in un milionesimo di grammo di polvere che si muove a 240.000 km al secondo? A queste velocità bisogna tirare in ballo la famosa formula E=mc², e si trova 90 milioni di Joule. Non sapete cos’è un Joule? È l’unità di misura dell’energia, ma facciamo un esempio. Cosa c’è di noto che ha un’energia simile?
Un aereo di 10 tonnellate che va a 500 km al’ora, oppure ...
Un’automobile di 1 tonnellata che va a 1500 km all’ora ...
Niente male, per un granello da un milionesimo di grammo. Viaggiare veloci ci espone quindi a questo rischio, e la catastrofe è molto probabile. Forse è per questo che non vediamo alieni intorno a noi?
Agosto,
lo sanno tutti cosa c’è di interessante in cielo ogni Agosto: le meteore del
10 agosto!
In realtà sciami meteorici ce ne sono tutto l’anno, ma questo è molto
denso, arriva in agosto quando la notte è tiepida (provate a uscire il 13 dicembre a
vedere qualche meteora dello sciame delle Geminidi e vedrete che la
voglia vi passa in fretta).
Ma partiamo dall’inizio.
C’è una cometa che orbita intorno al sole ogni 133 anni,
chiamata Swift-Tuttle, scoperta nel 1862 da due astronomi con quei nomi.
Ricordo che il legame tra le Perseidi e la cometa periodica Swift-Tuttle fu scoperto da Giovanni Virginio Schiaparelli nel 1866.
Ovviamente questo oggetto di 26 chilometri di diametro è riapparso puntualmente nel 1992,
quando è stato possibile vederlo con un binocolo, per poi tornare lontano dal sole.
Passando lascia della polvere lungo la sua orbita, che quindi è ormai una striscia
di granellini nel sistema solare.
Ogni anno la terra, a metà agosto, nel suo moto di rivoluzione intorno al sole passa
attraverso questa striscia di polvere. Quando una particella di polvere entra
nell’atmosfera si scalda, brucia e lascia una scia infuocata nel cielo: quella che noi chiamiamo meteora.
Sono granelli di piccole dimensioni, sassolini al massimo, e non arrivano più vicino a terra di una ottantina di chilometri, ma pur essendo piccoli il fenomeno è spettacolare.
Ovviamente è possibile che in qualsiasi momento dell’anno un granello di polvere entri nell’atmosfera terrestre, ma quando passiamo dentro uno di queste strisce cometarie, e ce ne sono parecchie, il numero di meteore
aumenta di molto e così la probabilità di osservarle. Durante il picco di agosto ce
ne possono essere più di sessanta all’ora, una al minuto.
Questo sciame di meteore si chiama sciame delle Perseidi.
Questo perchè lo sciame si sta spostando nel cielo e il passaggio della terra fa sì che tutte le meteore
sembrano venire da un punto preciso nel cielo, appunto nella costellazione di
Perseo. Se provate a tracciare all'indietro tutte le traiettorie che vedete,
scoprirete che tutte si intersecano in quella costellazione. Se una non lo fa,
probabilmente non è una Perseide.
Allora devo prepararmi per la sera del 10 agosto?
Non è la sera migliore. Le Perseidi si vedono più o meno da fine luglio alla seconda metà di agosto, ma il
giorno di picco non è il 10 ma il 13. Una volta era il 10, ma lo sciame si è
spostato.
Meglio prepararsi per il 13 e, ovviamente, non portarsi un binocolo: la
probabilità di vederne una attraverso un binocolo è troppo bassa.
Sguardo in alto,
meglio verso nord (dove c’è la costellazione di Perseo) e occhi aperti.
Quest’anno il primo quarto di luna è il 14 agosto, quindi la luna non dovrebbe dare troppo
fastidio (con la luna piena non si riuscirebbe a vedere quasi niente).
I satelliti sono oggetti celesti che ruotano intorno a un pianeta,
come osservato per la prima volta da Galileo Galilei quattrocento anni
fa.
La nostra Terra ha un solo satellite (naturale), la Luna.
Alcuni pianeti non ne hanno affatto (come Mecurio e Venere) e altri ancora ne
hanno molti: attualmente conosciamo 63 satelliti naturali di Giove, inclusi i quattro satelliti Medicei scoperti da Galileo.
Seguendo le leggi di Keplero, il periodo di rivoluzione di un
satellite intorno al pianeta è più lungo tanto maggiore è la sua
distanza dal pianeta.
I quattro satelliti scoperti da Galileo (chiamati Io, Europa, Ganimede e Callisto) non fanno eccezione.
Però i primi tre, i più vicini al pianeta, non si limitano a orbitare intorno
a Giove, lo fanno con stile.
Nel tempo in cui Ganimede fa un giro intorno a Giove, Europa ne fa due e Io ne fa quattro. Questo fenomeno,
chiamato risonanza orbitale, fa quindi sì che i tre satelliti eseguano
una vera e propria danza intorno a Giove.
Cosa ci può essere di più bizzarro?
Spostiamoci su Saturno, di cui conosciamo 61 satelliti, solo 52 dei quali hanno ricevuto un nome.
Due di questi sono particolarmente interessanti: Giano e Epimeteo.
Si tratta di due oggetti minori, della dimensione di poco più di 100 chilometri ciascuno.
Perchè sono interessanti? Perchè seguono quasi la stessa orbita.
Ora, se due oggetti seguono esattamente la stessa orbita non c’è problema, perchè non si avvicinano nè
si allontanano.
Il problema è quel "quasi": il raggio dell’orbita di Epimeteo è di
151410 km, quello di Giano è 151460 km.
Secondo la legge di keplero quindi Epimeteo orbita un pò più velocemente, per la precisione ci
mette circa 28 secondi in meno a fare un giro, che completa in poco meno di 17 ore.
Se a ogni giro Epimeteo guadagna 28 secondi, dopo al massimo quattro
anni di inseguimento raggiunge Giano.
Cosa succede quando lo raggiunge? Ricordatevi
che la differenza di raggio orbitale è di 50 km, mentre i satelliti
hanno un diametro maggiore di 100 km. Si va verso una collisione!
Eppure questi satelliti esistono da ben più di quattrocento anni, come
evitano allora la collisione?
L’unica cosa che un satellite può fare è esercitare la suo attrazione di gravità e questo è
proprio quello che fanno Giano e Epimeteo.
Quando Epimeteo raggiunge Giano, prima di scontrarsi i due satelliti, grazie alla loro attrazione gravitazionale
si scambiano orbita. Giano, quello davanti, passa sull’orbita più
interna, più veloce. Epimeteo, quello dietro, passa sull’orbita più lenta.
Quindi Giano adesso è il più veloce e "scappa" accelerando,
mentre Epimeteo rallenta e rimane indietro.
Ogni quattro anni uno dei
due satelliti raggiunge l’altro, ma prima che possano collidere le
orbite si scambiano ed è quello che era davanti a essere più veloce,
ma indietro di un giro.
Un balletto cosmico ogni quattro anni. Una
staffetta infinita!
Chiudiamo con l’esempio più bizzarro.
Ogni oggetto del sistema solare orbita intorno a qualcosa (il Sole, un pianeta, un asteroide).
Ce n’è però uno che sembra non ruotare intorno a niente: è l’asteroide
Cruithne, scoperto nel 1986.
Cruithne in realtà orbita intorno al sole, seguendo un’orbita allungata (eccentrica). Però ruota intorno al sole con un periodo di circa 364 giorni.
La Terra ruota intorno al sole con un periodo di 365.25 giorni, molto simile.
Questo fa sì che
visto a terra Cruithne sembri seguire un’orbita a forma di fagiolo che non contiente al suo interno ne la Terra ne il sole.
Le due animazioni qui sopra aiutano a chiarire la situazione (immagini e didascalie prese da wikipedia).
Ma Cruithne non si scontrerà mai con la terra?
No, per lo stesso fenomeno che impedisce a Epimeteo e Giano di scontrarsi.
Questo è più
complicato da spiegare, ma fa piacere sapere che Cruithne non costituisca un pericolo.
Il 28 novembre del 1967 a Cambridge in Inghilterra, una giovane dottoranda che
osservava con un radiotelescopio scopriva per caso una sorgente di onde radio che
oscillava regolarmente ogni 1.33 secondi.
Venne chiamata (la sorgente) Little Green
Men 1 (omini verdi 1), dato che non si capiva cosa fosse, ma presto l’oggetto venne
ribattezzato una "pulsar" (da "pulsing star", stella pulsante).
La dottoranda si
chiamava Jocelyn Bell, era stata la prima ragazza del suo college a cui fosse
permesso studiare scienza invece di cucina e ricamo.
Il suo relatore di dottorato
per questa scoperta ottenne il Nobel per la fisica nel 1974 e lei no (perche' era
una studentessa? Perche' era una donna?).
Ma cos’era questa pulsar?
Poteva essere veramente una stella pulsante? Difficile.
Il nostro sole ha un diametro di circa 1.4 milioni di chilometri.
La luce viaggia a
300mila km/secondo, quindi il diametro del sole corrisponde a quasi 5 secondi luce.
Per pulsare regolarmente bisogna che le diverse parti del corpo che pulsa
comunichino fra loro.
Se ci vogliono 5 secondi per andare da una parte all’altra,
non è possibile che il sole pulsi ogni 1.33 secondi.
Il modo migliore di produrre una oscillazione regolare è quello di ruotare su se
stessi. Ma anche qui ci sono dei limiti: se una stella ruota troppo in fretta si
rompe.
L’anno dopo, Franco Pacini e Thomas Gold, indipendentemente, proposero che la pulsar
fosse una stella di neutroni rotante.
Una stella di neutroni, quello che rimane di
una esplosione di supernova, è molto piccola (un raggio di una decina di
chilometri!) e molto densa (un cucchiaino di materia neutronica pesa cento miliardi
di chili!).
Piccolo e molto denso va bene: si può ruotare senza rompersi.
Il problema era capire l’origine dell’emissione radio che si vede e questa è stata
la grande idea: il forte campo magnetico fa sì che la pulsar sia un magnete rotante
che emette dai poli, funzionando come un faro.
Se l’asse del magnete, disallineato
rispetto alla rotazione, punta nella nostra direzione vediamo un impulso.
Proprio come per un faro sulla costa: lo vediamo pulsare perché è visibile solo quando il suo fascio
di luce punta verso di noi.
In un aereo sopra il faro non si vedrebbe niente, dato
che non punterebbe mai verso di noi.
L’idea venne poi confermata quando fu scoperta la pulsar all’interno della nebulosa
del Granchio, che ruota su se stessa circa trenta volte al secondo.
Adesso di pulsar se ne conoscono centinaia.
Alcune pulsano (cioè ruotano) molto più
velocemente: la più veloce gira su se stessa più di 700 volte al secondo.
Solo una stella di neutroni può ruotare così senza rompersi.
Tanto per capirci, conosciamo bene una corda che vibra 700 volte al secondo: è il 57mo tasto del pianoforte, un "fa". Una nota molto alta.
La maggior parte sono più lente però, tipicamente con un
periodo fra un decimo di secondo e un secondo.
Alcune pulsar sono in sistemi binari
con stelle normali, altre con altre pulsar (vedi curiosità del mese di giugno 2009).
Insomma, la risposta alla nostra domanda è no, le pulsar non pulsano: ruotano.
Questo non le rende meno interessanti.
E da dove vengono quelle veloci? Qualcuno le ha accelerate? Lo vedremo prossimamente.
A fine febbraio 2011 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha reso noti i risultati della selezione per la scelta di quattro missioni spaziali di classe media.
Le quattro missioni scelte competeranno per la selezione finale in cui soltanto una verrà portata avanti e lanciata (dopo il 2020).
Diverse decine di proposte sono state vagliate per arrivare alla selezione dei quattro finalisti, che passano ora a una fase di valutazione dopo la quale la decisione finale verrà presa dall’agenzia spaziale europea.
Sebbene altre due di queste missioni vedano una partecipazione italiana, una in particolare può essere considerata un successo per il nostro paese.
Si tratta di LOFT (Large Observatory For x-ray Timing, Grande Osservatorio per l’analisi temporale di raggi X).
Il progetto, una collaborazione internazionale che raggruppa diversi paesi sia europei che non, è guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF): Marco Feroci dell’INAF-IASF di Roma e Luigi Stella dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma.
LOFT è pensato per rispondere alle domande fondamentali sul moto della materia nelle immediate vicinanze dei buchi neri e sulla struttura interna delle stelle di neutroni (vedi le curiosità: ottobre 2008 - dicembre 2008 - febbraio 2009 - febbraio 2010 - aprile 2010 - ottobre 2010 - febbraio 2011).
Come dice il nome, questi risultati saranno ottenuti attraverso l’analisi della variabilità rapida nell’emissione di raggi X di questi oggetti.
Con LOFT sarà possibile seguire il moto della materia in orbita a pochi chilometri dall’orizzonte degli eventi di un buco nero o dalla superficie di una stella di neutroni, dove il gas può arrivare a girare più di 1000 volte al secondo intorno all’oggetto centrale.
Inoltre, tramite lo studio di fenomeni che si verificano sulla superficie delle stelle di neutroni si potrà sondare la loro struttura interna, che data la alta densità non può essere riprodotta in laboratorio sulla terra.
Come funziona questo satellite?
Lo strumento principale è il LAD (Large Area Detector, rivelatore di grande area).
Come suggerito dal nome, si tratta di un rivelatore molto esteso, costituito da tasselli di strumenti a semicondutture per la rivelazione di raggi X.
Lo strumento è così grande che si estenderè ben al di fuori del corpo centrale del satellite, in una formazione a fiore.
Per fare sì che solo i raggi X dell’oggetto puntato entrino nel rivelatore, davanti è messa una "griglia" che limita il campo di vista.
La tecnologia moderna permette di costruire sia rivelatori che griglia molto sottili e leggeri, caratteristiche essenziali per ovvi limiti di peso dato che si tratta di uno strumento da mandare in orbita.
Oltre al LAD, ci sarà uno strumento più piccolo, costruito sulla base della stessa tecnologia, che scruterà una porzione estesa del cielo per rivelare eventi e sorgenti da osservare con lo strumento principale.
LOFT porterà una rivoluzione nella nostra conoscenza di questi fenomeni estremi collegati a oggetti compatti (buchi neri e stelle di neutroni).
Alla base sta il fatto che lo strumento LAD è molto grande: con un’area di 12 metri quadrati (equivalente a un quadrato di 3.5 metri di lato) è un enorme passo in avanti rispetto allo strumento pi grande attualmente esistente, che misura meno di un metro quadrato.
Con un’area di raccolta più di dieci volte più grande si riveleranno più di dieci volte più fotoni X e si potrà studiare la loro variabilità in modo molto più dettagliato.
Non soltanto la missione LOFT è a guida italiana, ma anche gli strumenti a bordo sono basati su rivelatori di nuova generazione sviluppati in Italia presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Un risultato per due istituti nazionali di ricerca italiani.
The LOFT Mission - Sito ufficiale della missione (in inglese)
L’ESA sceglie la Classe Media
(da MEDIA INAF del 25 febbraio 2011 - Notiziario on-line di INAF)
Four candidates selected for the next medium-class mission in ESA’s Cosmic Vision
(da ESA Science & Technology - in inglese)
Raggi X senza segreti
(da MEDIA INAF del 22 marzo 2011 - Notiziario on-line di INAF)
Nel 1907 Albert Einstein stava ancora lavorando all’Ufficio brevetti di Berna.
8 ore al giorno per 6 giorni la settimana (si lavorava anche al sabato). Aveva già pubblicato, 2 anni prima, 5 lavori che gli avrebbero assicurato il Nobel e la fama.
Era anche un po’ preoccupato perchè si rendeva conto dell’importanza scientifica di quei lavori, e si aspettava quindi una reazione dal mondo accademico, che però tardava a venire.
Ma continuava a pensare. Nel suo lavoro sulla relatività speciale aveva descritto cosa vedono e misurano due osservatori che si muovono uno rispetto all’altro a velocità costante.
Adesso voleva scoprire cosa succede quando i due osservatori si muovono tra loro a velocità variabile, cioè quando accelerano uno rispetto all’altro.
Non c’era, ai tempi, nessun risultato sperimentale che spingesse Einstein a pensare queste cose. Ma per Einstein era del tutto naturale cercare di completare la sua teoria. Intuiva che in questo modo avrebbe capito di più l’accelerazione gravitazionale, e quindi la teoria della gravitazione di Newton. Sapeva che la posta in gioco poteva essere enorme.
Era li’ seduto sulla poltrona del suo ufficio. E ad un certo punto gli balena un pensiero: "Cosa succede quando cado dal tetto?"
Ad una persona normale questo fa subito venire in mente fratture e commozioni cerebrali, ma ad Einstein no.
Lui stesso scrive, anni dopo, che questo è stato "the happiest thought of my life", il pensiero più felice della mia vita. Addirittura! E il bello è che, naturalmente, aveva ragione.
Sentiamo Einstein stesso ricordare quel giorno del Novembre 1907:
"Stavo seduto in poltrona all’Ufficio brevetti a Berna quando all’improvviso mi ritrovai a pensare: "Se una persona cade liberamente, non avverte il proprio peso". Rimasi stupefatto. Questo pensiero, così semplice, mi colpì profondamente, e ne venni sospinto verso una nuova teoria della gravitazione."
E ancora:
"Fu allora che ebbi il pensiero più felice della mia vita, nella forma seguente. Il campo gravitazionale ha solo un’esistenza relativa ... Infatti, per un osservatore che cada dal tetto di una casa, non esiste - almeno nelle immediate vicinanze - alcun campo gravitazionale. In effetti se l’osservatore lascia cadere dei corpi, questi permangono in uno stato di quiete o di moto uniforme rispetto a lui."
Cerchiamo di capirci qualcosa.
Per prima cosa dobbiamo capire cosa si intende per "cadere".
Ma questo è facile: è proprio come uno se lo immagina, solo che dobbiamo togliere di mezzo tutte le conseguenze dell’attrito dell’aria. Dobbiamo quindi immaginare di essere lontano dalla Terra, fuori dall’atmosfera.
Immaginiamo poi di essere in un ambiente senza finestre, come una camera di una astronave che sta precipitando verso la Terra, solo che noi non sappiamo che esiste una Terra. Non possiamo guardare fuori.
Domandiamoci: possiamo capire che stiamo precipitando? Cosa avvertiamo? Sentiamo il nostro peso?
Assolutamente no: fluttuiamo come gli astronauti in orbita.
Non avvertiamo nessuna forza applicata né a noi né agli oggetti che ci sono vicini.
Se abbiamo una penna in mano e la lasciamo andare, la penna fluttua anche lei vicino a noi, non la vediamo "cadere". Succede tutto come se fossimo in orbita attorno alla Terra, o come se fossimo lontani da ogni corpo celeste, non soggetti ad alcuna gravità.
Se abbiamo un laserino tascabile (come quelli che usiamo come indicatori) vediamo che la luce, come al solito, viaggia secondo una linea retta all’interno del nostra camera.
Proviamo: puntiamolo orizzontalmente al pavimento. La macchia di luce che si forma sulla parete opposta è alla stessa altezza del laserino. Chiamiamo il punto dove si forma la macchia di luce punto A.
Ma cosa vede un’osservatore fermo rispetto alla Terra? Vede noi e la nostra camera precipitare. Il raggio di luce, che per noi andava dritto e orizzontale, viene visto curvare!
Solo così la macchia di luce, anche per noi, arriva al punto A. Quindi la gravità curva lo spazio.
Non male per un pensiero così semplice, no?
Molte stelle nella nostra galassia si trovano in sistemi binari.
Come abbiamo già
visto (vedi curiosità di febbraio 2010), ci sono anche sistemi binari in cui una delle componenti è un
buco nero, residuo di una esplosione di supernova.
Questi sistemi possono diventare
forti emettitori di raggi X e gamma se l’orbita è abbastanza stretta da permettere al buco nero di strappare gas alla stella compagna.
Il gas cade verso il buco nero formando un disco di materia che, a differenza del buco nero stesso che è nero, è molto brillante e emette anche radiazione di altissima energia.
Ma quanto stretta può essere una di queste orbite.
Il mese scorso è stato battuto il record. Osservazioni con satelliti per astronomia X (XMM-Newton dell’ESA E Swift della NASA), unitamente allo strumento giapponese MAXI situato sulla stazione
spaziale, hanno permesso a un team internazionale (di cui faccio parte) di scoprire
un sistema binario contenente un buco nero (chiamato MAXI J1659-152) che ha
un’orbita di 2.4 ore.
Per le leggi di Keplero, più il sistema è stretto più
l’orbita è breve.
Le due stelle sono distanti solo poco più del doppio di quanto dista la luna dalla terra.
La luna percorre la sua orbita in circa un mese, MAXI J1659-152 in 2.4 ore,
cioè 144 minuti. La stella compagna viaggia a una velocità di
due milioni di chilometri all’ora.
Come abbiamo misurato il periodo?
Sfruttando il fatto che l’orbita di questo sistema
è molto inclinata.
L’inclinazione non è sufficiente affinchà la stella normale eclissi il disco di
materia che emette raggi X, ma abbastanza perchè il rigonfiamento del disco dove
viene colpito dal flusso di materia dalla stella eclissi la parte centrale del
disco stesso.
Se le condizioni sono giuste, e per un breve periodo lo sono state, si
possono vedere delle mini-eclissi nell’emissione in raggi X ogni 2.4 ore circa.
"Circa", ma osservando tante mini-eclissi, tecniche statistiche permettono di
risalire all’orbita in modo abbastanza preciso.
Questo sistema, al contrario della maggior parte dei suoi cugini, si trova
abbastanza al di sopra del piano della nostra galassia.
Esiste un collegamento fra il fatto che sia un sistema stretto e la sua posizione?
Altri sistemi stretti che si conoscono (pochi, il precedente record ha un periodo più lungo di un’ora di quello di MAXI J1659-152) si trovano anch’essi fuori dal piano galattico.
Un collegamento c’è ed è interessante: solo le coppie strette che sopravvivono all’esplosione di supernova possono prendere velocità sufficienti per uscire dal piano della galassia.
Andiamo per ordine. La maggior parte dei sistemi stellari della nostra galassia si
trova nel piano (come il sole). In questo sistema c’è un buco nero, quindi in
passato c’è stata una stella che è esplosa in una supernova e ha formato il buco
nero.
Quando una supernova esplode, una buona parte del suo gas viene espulsa dal
sistema. Quindi improvvisamente quello che rimane della stella esplosa è molto più
leggero di prima. La stella compagna che ci orbitava intorno stava viaggiando a una
velocità orbitale che adesso è troppo alta. Se il sistema è molto largo, la cosa più probabile che succede è che il sistema si rompe e le due compagne si lasciano.
In questo caso non potremo vedere un sistema del genere. Se il sistema è stretto può
sopravvivere.
Se l’esplosione della supernova non è completamente simmetrica, il
sistema riceve anche un "calcio" che lo spinge via ad alta velocità.
In questo modo
può spostarsi fuori dal piano della galassia.
Conclusione: se vediamo un sistema
binario con un buco nero al di fuori del piano della galassia, deve avere un periodo
stretto. Gli altri non sono sopravvissuti all’esplosione di supernova.
Sistemi di questo tipo sono importanti perchè ci permettono di ottenere
informazioni sulle esplosioni di supernova. È importante scoprirne altri.
Purtroppo i sistemi binari contenenti un buco nero non sono molti, nascono da sistemi binari
rari e devono sopravvivere all’esplosione che dà origine al buco nero.
Inoltre la fase della loro vita in cui possiamo vederli come forti emettitori di raggi X è
molto breve (su scala astronomica naturalmente).
Quello che possiamo fare è tenere
il cielo X sotto osservazione e per questo ci sono strumenti come MAXI, che ogni
giorno dalla stazione spaziale scandaglia una gran parte del cielo per scoprire
nuove sorgenti.
Tu mi fai girar ... press release INAF del 20/03/2013.
MAXI J1659-152 animazione ESA.
Monitor of All-sky X-ray Image (MAXI) dal sito della NASA (in inglese).
Per gli antichi il cielo era immutabile: c’erano le stelle fisse, per loro natura fisse, e c’erano i pianeti che viaggiavano nel cielo, ovviamente intorno all terra,
centro dell’Universo.
Oggetti come le comete erano considerati da Aristotele fenomeni atmosferici, dato che le comete si spostavano nel cielo, ma non seguivano l’eclittica, il piano dei pianeti.
L’osservazione di (rare) supernove metteva in difficoltà questa idea.
Sappiamo ora che la terra non è al centro dell’Universo, che le stelle non sono fisse, ma anche che il cielo è tutt’altro che immutabile.
Sono tantissimi gli oggetti che variano: non solo gli asteroidi e le comete che si
spostano nel sistema solare, ma stelle variabili di tutti i tipi, stelle doppie,
novae, supernovae, nuclei galattici, lampi gamma.
È più difficile trovare oggetti che non varino per niente.
Questo pone un problema: come faccio a trovare gli oggetti che variano?
L’esempio più straordinario sono i lampi gamma, che possono durare anche molto meno di un
secondo.
La soluzione è avere telescopi a grande campo, l’equivalente del cercare le
meteore a occhio nudo.
Con un telescopio, ma anche con un binocolo, la porzione di cielo visibile (il campo di vista) è molto piccolo, quindi la probabilità che qualcosa vi succeda è ridotta.
Sappiamo (vedi la curiosità di febbraio 2014) che nel caso dei
lampi gamma il problema è stato risolto con rivelatori gamma a grande campo.
Nel caso dell’astronomia in raggi X sono stati messi in orbita strumenti che fanno una
passata per tutto il cielo ogni ora e mezza.
Questi permettono di vedere se qualcosa cambia, anche se i fenomeni molto veloci come i lampi gamma o quelli troppo deboli per essere visti senza osservare a lungo vengono ovviamente persi.
Di un radiotelescopio a grandissimo campo, LOFAR, abbiamo parlato in una curio precedente (vedi la curiosità di giugno 2011).
Ma la cara vecchia astronomia ottica?
Nell’ottico abbiamo la possibilità di costruire telescopi molto sensibili e
programmi per l’osservazione di campi molto grandi vengono portati avanti.
Ad esempio c’è la Catalina Real-Time Transient Survey (CTRS).
Il progetto copre 33000 gradi quadrati, cioè l’ottanta per cento del cielo e si basa su tre telescopi (due in Arizona e uno in Australia) che rendono pubblici i fenomeni transienti che
osservano entro pochi minuti dall’osservazione.
Informazioni si possono trovare su
http://crts.caltech.edu ed esiste persino un’applicazione per iPad per esaminare i dati.
Ma la vera rivoluzione avverrà quando entrerà in funzione il Large Synoptic Survey Telescope (LSST), che osserverà 20mila gradi quadrati di cielo dell’emisfero sud con un telescopio con uno specchio di 8.4 metri di diametro e con un campo di vista di
più di tre gradi (un tipico telescopio di quella dimensione ha un campo di vista
molto molto inferiore a un grado)!
Ogni zona del campo verrà osservata circa una volta ogni tre giorni. La sua entrata in funzione è prevista per il 2022, quindi ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Produrrà 30 Terabyte di dati ogni notte (ovviamente un telescopio ottico a terra può osservare solo di notte, a differenza dei satelliti artificiali).
Il telescopio verrà posizionato nel nord del Cile e produrrè così tanti dati che non soltanto è necessario pianificare molto accuratamente l’analisi automatica, ma renderà disponibili così tanti oggetti variabili e transienti che
sarà impossibile analizzarli tutti in tempo reale.
Ovvero: una volta che l’analisi automatica ha identificato un fenomeno transiente e ne ha estratto i dettagli, ci
vuole un astronomo che cerchi di capire di cosa si tratti. Con così tanti dati sarà necessario fare una selezione.
Insomma, passeremo dal non avere abbastanza dati all’averne troppi, che comunque è
sempre molto meglio, dato che i dati rimangono e possono essere analizzati anche in un secondo tempo.
Gli unici oggetti del nostro sistema solare che esercitano un effetto diretto su di
noi, ovvero che hanno una influenza macroscopica sulla nostra vita, sono il sole
(che ci dà luce e energia, oltre a tenerci a ruotare intorno a sè e a provocare
tempeste elettromagnetiche ogni tanto) e la luna (che provoca le maree), oltre
naturalmente ai meteoriti che cadono sulla terra ogni giorno.
Il resto della nostra galassia (e del sistema solare) è interessante da studiare, ma
di solito non ha nessun effetto pratico sulla terra.
Di solito.
Può succedere che un oggetto distantissimo e piccolissimo abbia un effetto ben
misurabile.
è successo il 27 dicembre 2004, proprio un giorno dopo lo tsunami che
ha devastato il sud est asiatico.
Dalla sorgente di raggi X SGR 1806-20, che si trova nella costellazione del Sagittario a 50mila anni luce dalla terra, è arrivato
un fortissimo impulso di raggi X e gamma, ad altissima energia.
In due decimi di secondo, questa sorgente ha rilasciato l’energia che il sole emette in 250mila anni!
Se SGR 1806-20 fosse stato a 10 anni luce da noi, avrebbe probabilmente causato
estinzioni di massa sul nostro pianeta.
Chissà sui pianeti nelle sue vicinanze.
Ma che effetto ha avuto sulla terra?
Anche da quella distanza, ha fortemente
disturbato la ionosfera terrestre fino a un’altitudine di 20 chilometri, poco sopra
l’altitudine degli aerei commerciali, causando disturbi alle telecomunicazioni e ai
satelliti artificiali.
Grazie all’atmosfera, non ci sono stati effetti al di sotto
di quell’altitudine e quindi nessun pericolo per noi.
Solo tre esplosioni di questo tipo sono state mai viste, da tre sorgenti diverse.
Questa esplosione è stata così forte che tutti i satelliti astronomici in grado di rivelare
raggi X e gamma l’hanno osservata, indipendentemente dalla direzione in cui stavano guardando in quel
momento: i raggi X sono entrati da dietro, passando tutti gli schermi di protezione
e hanno accecato momentaneamente gli strumenti.
Si è persino misurato un secondo
impulso di raggi X 1.25 secondi dopo il primo, corrispondente alla riflessione
dell’impulso da parte della luna (distante appunto dalla terra 1.25 secondi luce).
Ma che cosa diavolo è questo SGR 1806-20?
Si tratta di una stella di neutroni, il relitto di un’esplosione di supernova, ultimo stadio della vita di una stella molto
massiccia.
Un oggetto con un diametro di una decina di chilometri e una densità tale
che un cucchiaino da caffè dei suoi neutroni peserebbe 100 miliardi di chili.
Di stelle di neutroni ne conosciamo molte, e molte di più esistono sicuramente nella
galassia.
Cosa ha questa di così particolare per produrre una esplosione così
devastante?
Il suo campo magnetico è molto più forte: in pratica si tratta di una
potentissima calamita rotante.
Oggetti di questo tipo sono rarissimi e ne conosciamo
solo una manciata.
L’esplosione è causata da un fortissimo terremoto sulla
superficie della stella, che causa effetti esplosivi sul campo magnetico.
Nelle nostre calamite sulla terra fortunatamente non succede...
Quindi un terremoto in Indonesia il 26 dicembre e un terremoto su SGR 1806-20 il
giorno dopo.
Ovviamente una coincidenza.
Però i due eventi hanno un’altra cosa in comune.
Il forte terremoto in Asia, che purtroppo ha causato danni enormi e
moltissime vittime alle popolazioni locali, ha fatto vibrare tutta la terra.
Non soltanto le onde sismiche: il globo terrestre ha oscillato!
È stata misurata un’oscillazione particolare, corrispondente ai due emisferi oscillanti in modo
opposto con un periodo di 43 minuti.
Nella radiazione proveniente da SGR 1806-20 si è misurata un segnale di 90 impulsi al secondo che corrisponde alla stessa
oscillazione della stella di neutroni.
Lo studio di oscillazioni di questo tipo è importante per la comprensione della struttura interna dell’oggetto che vibra, la
terra per i geologi e la stella di neutroni per gli astrofisici.
Speriamo di poter osservare altre esplosioni da stelle di neutroni lontane e di non osservare più
eventi catastrofici come quello del 26 dicembre sulla Terra.
Sito della Nasa (in inglese)
Sito dell’Università di San Diego (in inglese)
Al momento in cui scrivo conosciamo più di 500 pianeti extrasolari nella nostra galassia e il loro numero è in costante aumento (vedi "Una gemella della Terra" curiosità di novembre 2010).
Recentemente è stata annunciata con grandi fanfare la scoperta di un altro pianeta in orbita intorno ad una stella.
La stella chiamata HIP 13044 (non tutte le stelle possono chiamarsi Sirio o Aldebaran, la maggior parte ha dei nomi molto meno interessanti) è una stella molto vecchia, che è passata attraverso lo stato di gigante rossa (ora è gialla) e si trova nella direzione della costellazione della Fornace nell’emisfero sud, a 2300 anni luce di distanza dalla terra.
Si tratta di un sistema interessante per diversi motivi, tutti abbastanza tecnici.
In particolare il fatto che la stella possiede una percentuale molto bassa di
elementi più pesanti di idrogeno ed elio.
Le teorie correnti prevedono che per
formare pianeti sia necessario avere più elementi pesanti, ma se è vero questo
pianeta come si spiega?
Si è formato in modo diverso da quello standard? Come?
Sono domande a cui non si ha ancora risposta e che potrebbero cambiare le nostre
conoscenze sulla formazione planetaria.
Ma gli elementi pesanti sono roba da professionisti.
Se c’erano dei pianeti più piccoli più vicini alla stella, sono stati inghiottiti dall’astro quando si è espanso diventando una gigante rossa.
Il pianeta di cui stiamo parlando si è salvato perchè stava abbastanza lontano dalla stella:
è un pianetone un po’ più grande di Giove e adesso passa molto vicino alla stella, ogni 16 giorni.
Perchè allora tanto clamore?
Quello che è peculiare in questo sistema non è tanto il pianeta, ma la stella.
Si tratta di una stella di un’altra galassia!
Adesso sì che diventa interessante, vero?
Ma un momento, non possiamo rivelare pianeti in altre galassie, sono troppo lontane.
E poi questa stella è a 2300 anni luce e con 2300 anni luce non si esce dalla galassia.
Io non ho detto che è una stella IN un’altra galassia, ma che è una stella DI un’altra galassia.
In realtà si trova all’interno della nostra galassia.
Piano.
C’è una stella nella nostra galassia che viene da un’altra galassia?
E come ci è arrivata?
Soprattutto, come faccio a saperlo? Da cosa si distingue una stella extragalattica dalle "nostre"? È l’assenza di questi metalli pesanti? No, ci sono anche stelle della galassia cui mancano. Deve essere qualcosa d’altro.
Lo si vede da come si muove ...
Spiego.
La nostra galassia è a forma di disco e tutte le stelle al suo interno orbitano intorno al centro.
Più all’interno si ruota più velocemente, all’esterno più lentamente.
Qualche stella va in direzioni leggermente diverse per nascita, altre prendono dei "calci" quando la loro compagna esplode in una supernova, ma in generale il moto delle stelle nella galassia è quello.
Ci sono però dei gruppi di stelle che hanno un moto completamente diverso.
Misurando la velocità di una stella (dallo spostamento verso il rosso o il blu della sua emissione), si può determinare se questa appartenga o meno a questi gruppi.
Da dove vengono?
Da un’altra galassia (o da un ammasso globulare) che è stata "cannibalizzata" dalla nostra.
Nel caso in questione, fra 6 e 9 miliardi di anni fa una piccola galassia compagna della nostra è stata distrutta dall’attrazione gravitazionale della via lattea e una parte di essa è stata "mangiata", ovvero le sue stelle sono ora all’interno della nostra, di galassia.
Come lo sappiamo? Perchè appunto queste stelle hanno una velocità molto diversa da quelle che stavano già nella via lattea.
Questa popolazione di stelle, intendo quella che comprende HIP 13044, si chiama "corrente di Helmi" ed è stata scoperta nel 1999 dall’astronoma Amina Helmi.
Insomma, abbiamo un pianeta che si è formato intorno a una stella di un’altra galassia e tutto porta a pensare che si sia formato quando ancora stava in quella galassia.
Poi le vicissitudini cosmiche ha portato stella e pianeta nella nostra galassia.
Si tratta del mondo più alieno che conosciamo!
Già l’idea di un pianeta extrasolare fa venire subito in mente l’esistenza possibile di altre forme di vita nella galassia.
Ma questo viene da un’altra galassia!
Un vero e proprio scambio intergalattico!
Vai al comunicato stampa INAF "Il lampo di Natale" - 30 novembre 2011
Vai al link animazione per vedere il filmato di questa curiosità (Crediti NASA).
Swift, un satellite per lo studio dei lampi di luce gamma (Gamma-Ray Bursts, GRsB - vedi anche le curiosità di maggio 2009 e di maggio 2011), nato dalla collaborazione tra USA, Italia e Gran Bretagna, non va in vacanza nemmeno il giorno di Natale (e nemmeno gli astrofisici che lavorano col satellite).
Infatti nel Natale dello scorso anno Swift ha rivelato un GRB molto particolare:
mentre i GRBs "normali" durano pochi secondi (o poche decine di secondi) il nuovo arrivato, GRB 101225A, è durato più di mezz’ora.
Come per ogni GRB, Swift si è velocemente riposizionato in modo
autonomo per continuare ad osservare il fenomeno con gli altri due telescopi che sono a bordo,
quello per raggi X e quello per i raggi ultravioletti e ottici (vai al link di Wikipedia spettro elettromagnetico).
Le sorprese non erano finite.
Nei GRB "normali" la luminosità X residua del GRB, detta "afterglow", persiste per diverso tempo (giorni e settimane, e in qualche caso anche mesi), mentre quella di GRB 101225 è sparita nel giro di 20 ore.
Inoltre, a differenza dei GRB che normalmente studiamo,
la luminosità X di questo evento mostrava delle variazioni molto
pronunciate e quasi periodiche su tempi di qualche ora.
Al contrario in ottico/ultravioletto l’emissione era abbastanza debole ed è rimasta osservabile per diversi mesi (includendo anche le osservazioni dei telescopi da Terra).
Queste osservazioni ci pongono davanti ad un problema di difficile interpretazione: le repentine variazioni di luminosità osservate nei raggi X, mai state
osservate in altri GRB, suggeriscono che GRB 101225A possa essersi originato durante un evento distruttivo, ma non durante un’esplosione di una Supernova, come osservato in passato per altri GRB.
Abbiamo provato a pensare a diverse sorgenti per spiegare le osservazioni ma
nessuna ci convinceva; alla fine ci siamo focalizzati sulla caduta di un asteroide su una stella di
neutroni della nostra Galassia.
Sappiamo che comete ed asteroidi cadono sul Sole o su Giove.
Quello che succede è che il raggio del Sole è molto grande e quindi
una cometa che vi cade sopra si allunga leggermente, per effetto della gravità, prima di venire
vaporizzata al contatto con la fotosfera solare.
Nel caso in cui il raggio del Sole fosse simile a quello di una stella
di neutroni (circa 10 km ma con una massa comparabile a quella del Sole),
la cometa o l’asteroide viene distrutto durante la caduta
dalle forze mareali dovute alla forza di gravità della stella di neutroni.
In particolare quello che succede è che l’asteroide non cade
direttamente sulla stella di neutroni, ma si deforma, allungandosi,
fino ad avvitarsi attorno all’oggetto compatto, formando una struttura a disco,
detta disco di accrescimento (per vedere l’animazione vai al link animazione - crediti NASA).
Gli attriti all’interno di questo disco portano poi la materia a cadere
sulla superficie della stella di neutroni emettendo radiazione X.
Il processo, sopratutto nelle prime orbite attorno alla stella di neutroni, è altamente variabile e questo rende conto del comportamento osservato nella banda dei raggi X.
L’emissione nella banda a noi visibile (ottica) si origina invece nel disco di accrescimento.
Rispondere a quanto possono essere frequenti questi eventi è difficile avendo un solo oggetto
conosciuto.
L’ipotesi più probabile è basata sul fatto che, recentemente, attorno alle pulsar radio al millisecondo (delle stelle di neutroni molto vecchie che ruotano su loro stesse centinaia di volte al secondo), sono stati scoperti dei pianeti.
Un meccanismo simile a quello che genera i pianeti potrebbe allora anche generare asteroidi che possono cadere sulla stella di neutroni.
Un’alternativa affascinante è che l’asteroide potrebbe essere stato catturato dalla stella di neutroni,
passando vicino ad un sistema planetario simile al nostro.
Osservato dal satellite Swift -
Il lampo di Natale da Media Inaf.
Competing Explanations Proposed for Strange Christmas Space Explosion da www.space.com (in inglese con animazioni).
The unusual gamma-ray burst GRB 101225A explained as a minor body falling onto a neutron star articolo su Nature (in inglese).
Asteroide cade su una stella di neutroni da Scienzainrete - Il gruppo 2003 per la ricerca.
Guardando il cielo da una grande città si può avere l’impressione che i colori delle
stelle non si vedano a occhio nudo.
In realtà spostandosi in località più buie si
può apprezzare come le stelle non appaiano tutte uguali. Ci sono quelle più rosse e
quelle più blu, con tutta una serie di sfumature intermedie.
Partendo da questo fatto, nel 1910 gli astronomi Ejnar Hertzsprung e Henry Norris
Russell ebbero l’intuizione di produrre un diagramma in cui ogni stella occupa una
posizione determinata dal suo colore e dalla sua luminosità.
Al tempo non si sapeva ancora che le stelle funzionassero tramite reazioni nucleari, quindi qualsiasi
informazione osservativa poteva essere cruciale.
Certo, per avere la luminosità vera
di una stella bisogna conoscerne la distanza, ma lavorando con stelle in un ammasso
stellare siamo sicuri che la distanza sia più o meno la stessa.
Il diagramma che se ne ricava, chiamato diagramma colore-magnitudine o diagramma
Hertzsprung-Russell (a seconda della definizione precisa) è sorprendente.
Le stelle non si distribuiscono ovunque nel diagramma, ma soltanto in alcune zone.
In particolare, su una fascia diagonale che parte dalle stelle molto luminose e molto
blu, ovvero calde (in alto a sinistra) e arriva alle stelle deboli e rosse, molto
più fredde (in basso a destra).
È quella che si chiama "sequenza principale", per
ovvi motivi.
Altre stelle occupano una regione abbastanza complessa in alto a destra
mentre stelline deboli e calde appaiono in basso a sinistra.
Al tempo le teorie sul funzionamento delle stelle prevedevano per il sole una vita
di solo qualche decina di milioni di anni, mentre si sapeva che la terra è molto più
vecchia di così.
Dopo la presentazione di questo diagramma, Arthur Eddington propose
una spiegazione per il diagramma, anche se l’energia termonucleare era ancora da
scoprire.
Poi negli anni 30 e 40, la scoperta della fusione nucleare ha permesso di
capire il funzionamento delle stelle e la natura del diagramma.
a vita di una stella può essere seguita (ipoteticamente, dati i tempi in gioco) sul
diagramma.
Dopo il (breve) periodo in cui si forma, la stella si piazza sulla
sequenza principale in una posizione dipendente dalla sua massa.
Le stelle più massive sono grandi e calde, quelle meno massive piccole e fredde.
Quando l’idrogeno come combustibile finisce, in un tempo che può andare dai milioni di anni per le
stelle più grandi ai miliardi di anni per quelle più piccole, ancora a seconda della
sua massa la stella evolve spostandosi in modo abbastanza complesso nella parte a
destra del diagramma, contribuendo agli altri bracci visibili nella figura.
Le stelle molto massive esplodono come supernove e non appaiono più sul diagramma,
lasciando un buco nero o una stella di neutroni.
Quelle meno massive finiscono la vita come nane bianche, poco luminose e calde, il braccio in basso a sinistra.
Tutto questo lo si può capire non seguendo una stella nella sua vita, cosa che sarebbe
ovviamente impossibile, ma studiando proprio questo diagramma, che ha rivoluzionato
lo studio delle proprietà fisiche delle stelle.
Abbiamo già parlato dei getti relativistici emessi da sistemi celesti
contenenti un buco nero (vedi la curiosità di febbraio 2010 - Tieni chiusa la bocca quando mangi!).
Ogni tanto il mostro al centro del sistema, che si tratti
di un sistema binario di stelle o del nucleo di una galassia, non mangia tutto il
gas che gli arriva, ma ne butta fuori una parte sotto forma di sottili getti che
vengono osservati con i radiotelescopi.
In realtà, non siamo completamente sicuri che si tratti di materia che viene espulsa: questi getti potrebbero portare molta energia ma poca materia.
Come al solito, non possiamo certo andare a toccare con
mano per vedere se ci sono degli atomi e dobbiamo accontentarci di osservazioni con
i telescopi.
Esiste una sorgente (SS 433) in cui c’è evidenza diretta della presenza di
materia nei getti, ma si tratta di un sistema peculiare con getti "lenti" (anche
se sempre con una velocità pari a una frazione consistente di quella della luce).
Recentemente una osservazione fatta da un gruppo di ricercatori in parte italiani ha
permesso di risolvere l’enigma, almeno per una sorgente (vedi MediaInaf del 13/11/2013 - Buchi neri "sparatutto").
Il telescopio è il satellite europeo per astronomia in raggi X XMM-Newton e la sorgente è un sistema binario contenente un buco nero, chiamato 4U 1630-47 (4U indica che è una sorgente
nel quarto catalogo del satellite Uhuru, il primo satellite per astronomia X, i
numeri sono le coordinate nel cielo).
Negli spettri in raggi X di questi sistemi binari viene spesso osservata una riga di emissione proveniente da atomi di ferro, le cui caratteristiche peculiari permettono di associarla al disco di accrescimento formato dalla materia che spiraleggia verso il buco nero.
Dato che la materia ruota molto rapidamente, queste righe sono molto larghe a causa dell’effetto Doppler associato alla materia che si muove intorno al buco nero (parte della quale si muove
verso di noi, spostando la riga verso il blu, parte si allontana, spostando la riga
verso il rosso, parte si muove trasversalmente, non spostando la riga).
Per la sorgente incriminata, la riga si vede molto bene, ma non è allargata (nè deformata) e non è all’energia giusta ma a energie troppo alte.
Simultaneamente, viene osservata
un’altra riga a energie più basse.
Nessuna di queste due righe corrisponde a una
riga di emissione conosciuta di un elemento chimico.
Son però consistenti con la riga del ferro di cui si parlava prima: quella a basse energie spostata verso il rosso da materia che si allontana da noi, quella a alte energie spostata in modo
equivalente verso il blu. La misura di queste due righe in definitiva può essere
spiegata come emissione da parte di atomi di ferro che in parte si allontanano e in
parte si avvicinano alla stessa altissima velocità.
Nello spettro c’è una terza riga, meno intensa, a energie più alte, consistente come emissione dell’elemento
nickel, anche lui in moto verso di noi alla stessa velocità.
Dato che simultaneamente (o quasi) vi sono osservazioni radio che rivelano la presenza di emissione radio associata a un getto relativistico, la spiegazione più ovvia è che
le righe provengano dai getti e non dal disco: quella più rossa dal getto che si allontana e quelle
più blu dal getto che si avvicina.
La velocità della materia dei getti viene stimata
intorno ai due terzi di quella della luce.
L’importanza di questa misura sta proprio nel fatto che è una prova della presenza
di materia nel getto.
Siamo di fronte a due veri e propri getti di materia che
vengono espulsi dal sistema a velocità prossima a quella della luce.
Questo permette di calcolare molto più accuratamente l’energia contenuta nei getti, parametro
fondamentale per capire la loro natura e soprattutto la loro origine fisica.
Quello che ancora non sappiamo è perchè parte della materia che arriva molto vicino al buco
nero, dove l’attrazione gravitazionale da parte del mostro è più forte, invece di
venire inghiottita viene sparata fuori sotto forma di getti molto sottili, e quindi
collimati, a una velocità prossima a quella della luce.
Buchi neri "sparatutto" - MediaInaf
New data on the composition of relativistic jets from black holes - Università di Barcellona
Nella Curiosità del Mese di Ottobre abbiamo visto come si può "vedere"
un buco nero tramite gli effetti che esercita su un’altra stella o,
nel caso dei buchi neri al centro delle galassie, sulla galassia
circostante (vai al link Come posso vedere un buco nero? - curiosità dell’ottobre 2008).
Il problema è che di stelle nella nostra galassia ce ne
sono più o meno cento miliardi, per non parlare delle galassie
dell’universo, mentre le misure che devo fare per stabilire la
presenza di un buco nero sono lunghe e complesse.
Come faccio a
scegliere quale stella o galassia guardare?
Nella prima figura possiamo vedere il campo stellare che contiene il
primo sistema binario contenente un buco nero in orbita intorno a una
stella supergigante: riuscite a capire qual è?
Impossibile, vero?
Stiamo guardando proprio nel piano della Via Lattea e la densità di
stelle è enorme.
Ciò che ci viene in aiuto è il fatto che un buco nero è un oggetto
vorace e in un sistema binario non si limita a girare intorno alla sua
stella compagna.
La sua attrazione di gravità è così forte che
riesce a strappare gas dalla compagna e a inghiottirlo!
Proprio così: la stella viene deformata assumendo una forma a pera e
perdendo gas dal "picciolo" verso il buco nero.
Come vedete dalla seconda immagine, il gas "rubato" alla stella non cade direttamente nel buco nero,
ma forma un disco.
Un po’ come l’acqua del lavandino non cade direttamente nello scarico, ma forma un gorgo.
Al contrario del lavandino dove l’acqua si comporta in modo tranquillo, qui stiamo
parlando dello spazio molto vicino a un buco nero.
Il gas del disco si scalda e quando arriva vicino al buco nero è così caldo che invece
della luce che possiamo vedere con i nostri occhi emette raggi X!
Una stella normale, ad esempio il nostro Sole, emette anch’essa raggi
X, ma milioni di volte molto più debolmente.
Mi aspetto quindi che
osservando stelle lontane, devo vedere molto poco (se non niente) le
stelle normali, mentre un sistema con un buco nero dovrebbe brillare in cielo.
Questo è esattamente quello che accade.
Nella terza figura possiamo vedere lo stesso identico pezzo di cielo della
prima figura, soltanto questa volta osservato con un telescopio per raggi X
(dal satellite tedesco ROSAT).
In questa immagine riuscite a capire qual è il buco nero?
Ora tornate alla prima figura, passateci sopra col mouse: vedrete comparire una freccia (solo se avete abilitato javascript!)
che indica la stella compagna del buco nero!
Nel caso del centro di una galassia, il principio è lo stesso.
Guardando l’immagine in raggi X si può capire se una galassia contenga un buco nero supermassiccio.
In realtà, gli astronomi ritengono che tutte le galassie ne contengano uno, ma quelli più
interessanti sono quelli in cui succede qualcosa... ovvero non una stella che viene "mangiata", ma diverse stelle che
trovandosi sfortunatamente troppo vicino al buco nero vengono
divorate, questa volta interamente, dal buco nero.
Un buco nero è un oggetto che divora materia.
L’abbiamo visto esattamente un anno fa in un paio di puntate di questa rubrica (curiosità di ottobre 2008 e febbraio 2009).
La materia che passa troppo vicina al buco non può che caderci dentro e al massimo ci lancia un ultimo "urlo cosmico".
Prendiamo un buco nero in un sistema binario con una stella normale.
Gli strati esterni della stella perdono gas che viene attratto dal buco nero: spiraleggia verso il buco come
in un lavandino e alla fine gli cade dentro. Nulla può uscire dal buco nero.
Capita però che anche in questa situazione drammatica il destino di cadere nel buco
possa essere evitato.
Certo, se si arriva a superare l’orizzonte del buco nero non c’è modo di uscirci.
Però abbiamo evidenza osservativa del fatto che una parte del
gas proveniente dalla stella, dopo avere spiraleggiato nel lavandino stellare, poco
prima di essere inghiottito dal buco nero riesca incredibilmente a scappare.
Come fa?
Non lo sappiamo ancora, però sappiamo che lo fa sotto forma di getti molto stretti
e veloci (bisogna essere veloci per sfuggire a un buco nero), che vediamo
direttamente nelle immagini ottenute con i radiotelescopi.
Questi getti (due, in direzione opposta) viaggiano così velocemente da raggiungere quasi la velocità
della luce e, per effetti di proiezione e di relatività ristretta, appaiono spesso
più veloci della luce. Un effetto ottico.
Le immagini di questi getti sono molto spettacolari, soprattutto quelle dei getti che fuoriescono dai buchi neri giganti nei centri delle galassie.
La materia accelerata collide con il gas interstellare e
alla fine di questi getti si formano dei lobi spettacolari.
Va bene, un po’ di gas riesce a scappare, ma sarà ben poco..
E invece no, a volte più della metà della materia non entra nel buco nero ma sfugge.
Un buco nero mangia in modo poco educato: molto del suo cibo non entra nella bocca ma schizza
fuori. Un processo così energetico ed esotico che non abbiamo ancora capito a cosa
sia dovuto, né come facciano questi getti a rimanere sottili.
Ma un buco nero mangia continuamente: cosa fa sì che ogni tanto sputi fuori
qualcosa?
In realtà sappiamo che mangiando continuamente sputano fuori
continuamente.
Ogni tanto capita che improvvisamente mangino di più e la cosa si
risolve in giganteschi bocconi sparati fuori (qui il discorso si ta facendo
disgustoso... fortuna che si tratta praticamente solo di idrogeno).
Nei buchi neri in sistemi binari le cose accadono così velocemente che possiamo
seguirle in tempo reale: i getti si vedono evolvere in pochi giorni, mentre nei centri delle galassie le dimensioni sono tali che bisogna aspettare anni.
Osservare questi fenomeni non è comunque facile.
Per sapere quando arriva il
boccone più grosso bisogna usare dei telescopi sensibili ai raggi X, quindi
posizionati su satelliti artificiali.
Per osservare i getti ci vogliono grandi radiotelescopi sulla terra.
È necessario coordinarsi molto bene, dato che il tempo di osservazione è difficile da ottenere ed è costoso.
Ma la ricompensa è succosa: guardando un buco nero che mangia e sputa si può capire come è fatto lo spazio (curvo) intorno a un buco nero, come si comporta il gas che ci si trova e come il
buco nero lo sputa via accelerandolo e rimandandolo nella galassia, dove potrà
essere riciclato in altre stelle.
Spesso la tentazione di aprire un oggetto per vedere come sia fatto dentro è molto forte,
ma non sempre è possibile farlo.
Figurarsi poi se l’oggetto è a migliaia di anni luce di
distanza.
Stiamo parlando di una stella di neutroni, un oggetto della dimensione di una
decina di chilometri e della massa paragonabile a quella del nostro sole.
Qualche mese fa è stata annunciata la misura precisa della massa di una stella di neutroni (in questo caso una pulsar): a differenza della solita massa superiore del 40%
a quella del sole, questo particolare oggetto risulta avere una massa doppia di quella
del sole. Una stella di neutroni pesante.
E allora?
Qui torniamo al voler sapere come le cose siano fatte al loro interno.
Una stella di neutroni non è una stella normale, ma un oggetto collassato.
Un cucchiaino da tè di materia neutronica "pesa" cento miliardi di chili!
Naturalmente ci sono teorie su come sia fatto all’interno un oggetto del genere, ma come si fa a sapere veramente quale
teoria sia quella corretta?
Abbiamo due famiglie di teorie.
La prima dice che la stella di neutroni è fatta di neutroni,
cioè di materia in qualche modo ancora normale.
In questo caso la stella di neutroni
avrebbe una proprietà molto peculiare: al contrario degli oggetti normali, più massiccia è la stella, più sarebbe piccola.
Una palla di piombo due volte più massiva di un’altra è
ovviamente più grande, una stella di neutroni è più piccola.
Se invece l’oggetto è molto più esotico ed è costituito da quark, particelle subnucleari
che normalmente non si trovano liberi, allora la relazione fra massa e dimensione
sarebbe quella solita.
Le teorie sono molto complicate ed evidentemente è impossibile andare a guardare
dentro a una stella di neutroni.
Però queste teorie fanno una predizione molto particolare:
data la massa di una stella di neutroni, prevedono quale debba essere il
suo raggio.
Potendo misurare con precisione sia massa che raggio di un oggetto di
questo tipo, possiamo vedere quale teoria sia quella corretta.
Il problema è che le masse si possono misurare con una certa precisione se la stella si trova in un sistema
binario, ma come posso misurare il raggio di pochi chilometri di una stella lontana?
Vi sono molti modi con cui gli astronomi stanno cercando di ottenne questa misura del
raggio e magari ne parleremo nella "curiosità" di un altro mese, ma non ci siamo
ancora.
Qui entra in gioco la scoperta di una stella di neutroni molto massiccia.
Molti modelli semplicemente non ce la fanno a prevedere una stella così massiccia.
In particolare quasi tutti i modelli "a quark" non ci riescono.
Questo rende la possibilità che le stelle di neutroni siano costituite da quark liberi molto più debole, anche se non si può scartarla completamente.
Per quello ci vuole una misura del raggio della stella.
Insomma, stiamo cominciando a guardare veramente dentro alle stelle di neutroni e a
capire come sia fatta la materia a pressioni così alte da non poter essere riprodotta in
laboratorio.
Poi c’è il problema di come si sia formata una stella di neutroni così massiccia, ma
questa è un’altra storia.
Una stella di neutroni da Guinness
(da MEDIA INAF)
Massive neutron star is exactly that
(dalla rivista naturenews.com - in inglese)
Non ci pensiamo mai, ma dovunque andiamo ci portiamo appresso un piccolo telescopio.
è il nostro occhio. L’unico strumento per guardare il cielo che l’uomo ha avuto per milioni di anni, fino all’inizio del 1600, quando Galileo Galilei alzò il suo cannone-occhiale (da cui cannocchiale) verso la Luna.
L’astronomia è nata grazie all’occhio: con la sua lente di circa 7 millimetri di diametro e la sua focale di circa 15 millimetri riusciamo a vedere qualche dettaglio della Luna, la Galassia di Andromeda, e le sette sorelle delle Pleiadi.
L’influenza dell’osservazione del cielo "ad occhio nudo" è stata enorme: pensiamo solo a quanto durano un anno (rivoluzione della Terra attorno al Sole), un mese (rivoluzione della Luna attorno alla Terra), una settimana.
Perchè i giorni della settimana sono 7?
Perchè 7 erano i corpi celesti, visibili ad occhio nudo, che si muovevano nel cielo: la Luna (lunedì), Marte (martedì), Mercurio (mercoledì), Giove (giovedì), Venere (venerdì), Saturno (sabato, e in inglese saturday) e il Sole (Sunday).
Quindi i fenomeni celesti visti dal nostro occhio hanno organizzato e scandito la nostra vita fin dall’inizio.
Ma quando è apparso l’occhio sulla scena evolutiva?
I primi organi sensibili alla luce sono apparsi 540 milioni di anni fa, durante "l’esplosione del Cambriano", chiamata così perchè in quel periodo apparvero in pochissimo tempo moltissime forme diverse per gli organi più disparati. È come se la natura avesse scatenato la sua fantasia per offrire moltissime soluzioni diverse per i bisogni degli organismi.
La Fig. 2 fa vedere che all’inizio "l’occhio" non fu che qualche cellula sensibile alla luce, ma ben presto queste cellule fotosensibili si trovarono all’interno di cavità e questo rese possible una certa sensibilità alla direzione dei raggi luminosi.
Poi la cavitè si fece più profonda, assomigliando sempre più ad un bulbo con un buco frontale, analogo al foro stenopeico delle prime machine fotografiche senza lenti. Poi apparve la lente e fu possibile mettere a fuoco l’immagine.
Si potrebbe pensare che l’evoluzione necessaria per tutti questi cambiamenti abbia richiesto decine di milioni di anni, invece ne sono occorsi solo mezzo milione.
Evidentemente il vantaggio evolutivo di possedere questo organo di senso era così grande da imprimere un ritmo veloce all’evoluzione. E così, in poco tempo, furono trovate le soluzioni "ottimali".
Guardate la Fig. 3: fa vedere un occhio composto di una trilobite vissuta centinaia di milioni di anni fa con l’occhio composto di una mosca "moderna": sono praticamente identici.
Come mai il nostro occhio è sensibile proprio alla luce del Sole e non all’infrarosso o all’ultravioletto?
È una fortunata coincidenza? No è un effetto dell’evoluzione.
Gli animali con occhi sensibili alla luce solare, la più abbondante sulla Terra, hanno un evidente vantaggio sugli animali con occhi sensibili all’ultravioletto o all’infrarosso, ma insensibili alla luce solare. Per questo motivo vivono di più, e fanno più figli.
Ma torniamo al nostro occhio-telescopio.
Che Universo appare al nostro occhio?
È un Universo di stelle, abbastanza tranquillo, poco variabile e poco violento, con una importante eccezione: le Supernovae, cioè le grandi stelle che esplodono, visibili anche ad occhio nudo.
Confrontiamo il nostro occhio con i cannocchiali più grandi di Galileo.
Avevano un’apertura di circa 37 mm. Quindi potevano raccogliere 28 volte più luce del nostro occhio (28 è il rapporto delle due aree, una di 37 e l’altra di 7 mm di diametro).
Con questo miglioramento rispetto all’occhio nudo Galileo potè scoprire i crateri lunari, le macchie solari, i satelliti di Giove e le fasi di Venere. Questo "piccolo" miglioramento è bastato a Galileo per fondare non solo l’ astronomia moderna, ma anche il metodo scientifico, pilastro della nostra civiltà.
Oggi, con telescopi del diametro di 10 metri, possimo raccogliere 2 milioni di volte più luce del nostro occhio. E non è l’unico vantaggio: il nostro occhio "scatta" immagini ogni decimo di secondo, e non è capace di sommare le istantanee che produce.
Gli strumenti moderni, invece, possono "scattare" fotografie (o immagini CCD) con tempi di posa molto lunghi, anche parecchie ore, e quindi rilevare dettagli anche molto deboli. Possiamo ricavare immagini splendide di Galassie lontane, di nebulose planetarie, di ammassi di Galassie. Anche questo è un Universo relativamente tranquillo, visto che la luce che riceviamo è principalmente prodotta da stelle.
Ma se crediamo che l’ Universo sia solo questo ci sbagliamo: ad esempio, se i nostri occhi potessero "vedere" i raggi X, scopriremmo un Universo ben più violento, popolato di buchi neri che divorano materia e di getti velocissimi di materia, che come giganteschi geyser vengono espulsi dale galassie.
Dall’inizio del tempo, dal Big Bang, l’Universo si espande, e quasi tutte le galassie, da quando sono nate, si allontanano tra loro.
Quasi tutte, ma non tutte.
In realtà esistono delle galassie che si stanno avvicinando tra loro. Sono quelle che si stanno attraendo l’una con l’altra perchè sono abbastanza vicine, quelle dove la gravità vince sul moto di espansione generale dell’Universo.
È proprio quello che sta capitando a noi, alla nostra Via Lattea, nei confronti della galassia di Andromeda, la nostra galassia gemella più vicina.
Chi è che si sta muovendo?
Siamo noi a muoverci verso Andromeda o è Andromeda a viaggiare verso la Via Lattea?
Tutte e due! Noi attraiamo Andromeda, e Andromeda attrae la Via Lattea, ed entrambe si muovono una verso l’altra.
Ma poco importa ... Possiamo descrivere quello che succede come se noi fossimo fermi, e fosse Andromeda a venirci addosso. Alla non piccola velocità di circa 120 km al secondo (al secondo, non all’ora ...), che corrisponde a 432.000 km all’ora, oppure 3 miliardi e 700 milioni di km all’anno ...
Se un’astronave viaggiasse a questa velocità, potrebbe raggiungere la Luna in un’ora, e il Sole in due settimane ...
Ma quindi Andromeda ci verrà addosso sul serio? Sì. E quando?
Beh, la distanza tra noi ed Andromeda è di circa 2 milioni e mezzo di anni luce, che corrisponde alla bellezza di 23 miliardi di miliardi di km ... .
Se la velocità di avvicinamento di Andromeda si mantenesse costante, ci metterebbe 6 miliardi di anni a raggiungerci, ma man mano che Andromeda si avvicina, la gravità aumenta, così come la sua velocità di caduta.
Fatti i conti, pare che il grande scontro avverrà tra circa 4 miliardi di anni.
Beh, non c’è da preoccuparsi, allora.
Ma per il Sole e la Terra sarà un disastro? Finiremo travolti in uno scontro colossale? Sarà questa la fine del Sistema Solare?
Pare proprio di no.
Il fatto è che lo spazio che ci circonda è fatto di ... niente.
Pensiamo al Sole: ha un raggio di 700.000 km, mentre la stella più vicina è a più di 4 anni luce, ovvero 38.000 miliardi di km.
Se il Sole fosse una monetina da 1 euro, la stella più vicina sarebbe a 1000 km di distanza ... Il Sole a Milano e alpha Centauri (anche lei trasformata in una monetica da un euro) a Londra, o ad Amburgo ... Impressionante, no?
Quello che succederà, quindi, non sarà un vero e proprio scontro, ma un compenetrarsi senza tante scosse.
E sarà magnifico ... Pensate: adesso Andormeda è più grande di un grado, nel cielo, ed è di magnitudine 3 e mezzo.
In una bella nottata il suo nucleo si può vedere ad occhio nudo. Ma fra un paio di miliardi di anni apparirà grande il doppio, e di magnitudine 2, perchè la sua distanza sarà la metà di adesso. Dopo un altro miliardo di anni, la distanza si dimezzerà ancora, e Andromeda sarà una splendida galassia di 12 gradi di lunghezza e circa 4 di altezza, e sarà di magnitudine totale 0.5.
E così via. Tra 3 miliardi e 950 milioni di anni Andromeda occuperà tutto il cielo visibile.
La sua magnitudine totale sarà uguale a quella della Luna al primo quarto.
Dovunque poseremo il nostro sguardo notturno, vedremo stelle di Andromeda.
Che però a questo punto sarà un tutt’uno con la Via Lattea.
Le due galassie diventeranno una sola, grande il doppio.
Lattomeda? Androlattea? Speriamo di trovare un nome migliore!
13 miliardi e mezzo di anni fa il tempo cominciò.
Gli orologi cominciarono il loro ticchettio...
Sapete come facciamo a saperlo? Beh, è relativamente facile.
Sappiamo che l’Universo si espande: le galassie sono sempre più lontane tra loro.
E più sono lontane e più si allontanano velocemente.
Spesso, per far capire quello cha sta succedendo, si usa l’immagine di un palloncino.
Quando è sgonfio ci disegniamo dei puntini, a simboleggiare le galassie.
Se adesso gonfiamo il palloncino, notiamo che i puntini vicini si allontanano di poco, mentre i puntini disegnati dalle parti opposte del palloncino si allontanano più velocemente.
C’è un’altra immagine che rende l’idea: quella di una impalcatura fatta di tubi, di quelle che si usano quando si devono fare dei lavori all’esterno delle case. Immaginiamola enorme, ed estesa in tutte le direzioni.
È fatta di tantissimi tubi incernierati tra di loro per mezzo di giunture.
Adesso immaginiamo che ogni tubo si allunghi di un metro al giorno.
Supponiamo di essere appollaiati su una delle giunture, e di osservare quello che succede. Vediamo che le giunture più vicine a noi si allontanano di un metro al giorno, mentre quelle un pò più lontane saranno più veloci, e così via....
È stato Edwin Hubble, nel 1929, a scoprire l’espansione dell’Universo, misurando le velocità delle galassie e mettendole in relazione con la loro distanza da noi.
Ma ci sono voluti altri 19 anni perchè gli scienziati si rendessero veramente conto delle implicazioni profonde che scaturivano da questa semplice osservazione, cioè che nel passato le galassie erano più vicine, e nel passato remoto dovevano essere a contatto...
Adesso sembra facile immaginare l’idea di una grande esplosione - il Big Bang - che ha dato il via al tempo e allo spazio, imprimendo una grande velocità a tutta la materia e all’energia contenuta, all’inizio, in un punto.
Ma allora tutti gli scienziati credevano in un Universo fisso e immutabile, che non evolveva.
Questo pregiudizio è resistito a lungo, ma alla fine si è accettato quello che le osservazioni andavano urlando da anni...
l’Universo (cioè tutto, compreso lo spazio e il tempo) ha avuto un inizio!
Immaginiamo che due due automobili partano insieme, e viaggino in direzioni opposte, mantenendo una velocità costante di 100 km/ora.
Noi le osserviamo quando la distanza tra le due automobili è di 200 km.
Ci chiediamo: quanto tempo fa sono partite?
Avete fatto il conto? Non c’è trucco non c’è inganno.... la risposta è: un’ora.
La stessa cosa succede per l’Universo.
Prendiamo una galassia distante da noi 3x1021 km (cioè 100 Mpc, per i più esperti, oppure se volete, 3mila miliardi di miliardi di km).
Misuriamo una velocità di allontanamento di 7000 km/s.
Quanto tempo fa questa galassia e la nostra erano "insieme"?
È lo stesso problema delle due automobili: devo fare 3x1021; diviso 7000, e ottengo un tempo, in secondi.
Il risultato è 4,3x1017 secondi.
Sapendo che in un anno ci sono circa 31,4 milioni di secondi, questo tempo equivale a 13,6 miliardi di anni....
Facile, no? E se avessimo preso una galassia distante il doppio? Beh, misureremmo una velocità esattamente doppia, e il risultato del conto non cambierebbe.
E prima? Cosa c’era prima di 13,6 miliardi di anni fa?
La domanda è spontanea, e ce la facciamo tutti... Ma non è detto che sia una domanda possibile.
Se il tempo ha avuto davvero un inizio, non si può dire: "prima".
Il prima semplicemente non c’era, non c’era il tempo.
Anche S. Agostino lo sapeva.
Dio non poteva esistere nel tempo, ma doveva averlo creato.
Da qui il seguente aneddoto, probabilmente inventato a posteriori, ma che rende bene l’idea: un giorno un fedele gli domandò:
"ma cosa faceva Dio prima di aver creato l’Universo?"
E lui, dopo aver guardato con compatimento il fedele, gli rispose: "stava pensando di creare l’inferno per quelli che fanno domande come la tua!".
Nella curiosità di novembre ("Cosa sono le Candele Standard?")
abbiamo visto come si è riusciti a misurare le distanze delle galassie vicine alla nostra, usando le Cefeidi come candele standard.
Le Cefeidi sono delle stelle particolari, di cui possiamo sapere con ragionevole certezza la luminosità misurando il loro periodo di pulsazione.
Ma se volessimo misurare la distanza di galassie un po' più distanti le Cefeidi non bastano perchè sono troppo poco luminose e dopo un po' non le vediamo più.
Occorre qualcosa di più potente.
Qualcosa di molto più luminoso di una stella normale e che oltretutto sia "standard": tutte le sorgenti di quel tipo devono avere la stessa luminosità.
Allora misurando la luce che riceviamo potremmo risalire alla distanza che ci separa da loro: se le vediamo fioche e deboli devono essere distanti, e se invece le vediamo belle brillanti devono essere "dietro l'angolo" (astronomicamente parlando...). Guarda la Fig. 1.
Per fortuna sorgenti cosmiche che rispondono a questi requisiti ci sono davvero: sono le supernovae.
Ma mica tutte, solo quelle di un tipo particolare che nel gergo sono chiamate di tipo Ia.
Se state pensando che allora devono esistere le Ib, Ic.., e magari anche le tipo II, non vi sbagliate: esistono davvero.
Ed è stata proprio questa varietà a confonderci per decenni: se infatti facciamo confusione e mettiamo supernovae di tipo diverso nello stesso calderone, allora non otteniamo per niente la stessa luminosità. Occorre pazienza.
Ovviamente tutto ciò non è un caso, ma dipende dalla natura - diversa - delle supernovae di tipo diverso.
Quelle di tipo Ia, per esempio, corrispondono all’esplosione di una stella che è già quasi alla fine della sua vita, appena più grande della Terra, ma con una massa un po' più grande del nostro Sole.
Ha già bruciato il suo idrogeno e il suo elio e quindi è fatta principalmente di carbonio e ossigeno.
Fosse da sola, se ne starebbe tranquilla in equilibrio e si spegnerebbe lentamente, diventando prima una nana bruna e poi una nana nera.
Ma la vicinanza di una stella compagna cambia il suo destino (vedi Fig. 2).
Se la distanza tra le due stelle non è tanto grande un po' di materia della stella compagna viene risucchiata dalla nostra nana, che così aumenta la sua massa.
Ma stranamente non aumenta in dimensioni, anzi, si stringe.
Per questo tipo di stelle non vale quello che succede di solito (cioè che i grassi sono più grossi dei magri).
Aumentando la sua massa, la stella nana rimpicciolisce. Questo perchè diventando più pesante aumenta la sua gravità e si deve stringere un po' per aumentare la pressione che si deve opporre alla sua stessa gravità.
E dai oggi e dai domani, alla fine la nana può crescere fino ad avere 1,4 masse solari.
Ed allora si scatena l’inferno perchè, per questa massa, la temperatura e la densità all’interno della nana sono diventate così grandi che il carbonio comincia a fondersi.
"Fondersi" vuol dire innescare reazioni termonucleari che riescono, da due nuclei di carbonio, a formare un nucleo più pesante principalmente neon e magnesio.
Il rilascio di energia è rapidissimo e colossale.
In pochi secondi si produce tanta energia quanto il Sole farebbe (se potesse) in 30 miliardi di anni (ma non vivrà così a lungo...).
La stella nana esplode. E diventa una supernova Ia.
Come quella scoppiata nel 1572, osservata dall’astronomo danese Tycho Brahe, di cui ancora oggi possiamo vedere i resti (in Fig. 3).
La cosa importante, per noi, è che tutto avviene quando la massa della nana supera un valore fisso, critico: 1,4 masse solari.
È per questo che tutte le supernovae di tipo Ia hanno quasi la stessa luminosità.
Quasi, ma non esattamente. Ci manca un pelo per essere standard. Un pelo importante, però.
E a pensarci bene, beh, possiamo immaginare che non tutte le nane, prima di scoppiare, avevano esattamente la stessa proporzione di ossigeno e carbonio, non tutte ruotavano alla stessa maniera... e così via.
Un po' di differenza ci sta, non è difficile da immaginare.
Ma noi vogliamo misurare l’Universo, e se non abbiamo un metro esattamente standard, non ce la facciamo.
Meno male che la storia non è finita qui.
Agli inizi degli anni '90 ci si è accorti di una cosa strana.
Misurando la luce ricevuta dalle supernovae Ia, si è visto che la luce diminuiva nel tempo, ma non con lo stesso ritmo (vedi Fig. 4).
C’erano supernovae che diminuivano piano e altre che diminuivano più velocemente.
E quelle più lente erano più luminose.
E quindi, misurando quanto velocemente la luce dimuisce nel tempo, possiamo sapere con molta più precisione la luminosità della supernova. Era il pelo che mancava...
Con questo trucco finalmente abbiamo il faro standard che volevamo.
Possiamo misurare distanze enormi, fino a qualche miliardo di anni luce.
Armati di telescopi potenti, una teoria valida e di tanta pazienza (le Supernovae scoppiano a caso nel cielo, in maniera impredicibile...), possiamo cominciare a misurare l’Universo...
Supernovae (da Wikipedia)
La Supernova del 1572 (da Wikipedia)
Tycho Brahe (da Wikipedia)
Sembra una domanda senza senso, vero?
Perchè per definizione l’Universo è l’insieme di tutto quello che esiste, e quindi non è possibile che ce ne siano tanti, uno è sufficiente...
Eppure i concetti di "Universi paralleli", o di "Multiverso" sono usciti dai romanzi di fantascienza e sono entrati di diritto nell’astrofisica.
È successo più di una trentina di anni fa, quando ci si è accorti di una cosa strana e insieme banale: viviamo in un Universo governato dalle leggi della fisica e dalle 4 forze fondamentali che operano dappertutto, ma non sappiamo perchè abbiamo queste leggi, e non altre, e non sappiamo perchè ci sono certe costanti fondamentali, come la velocità della luce, che hanno certi valori, e non altri (vedi il "Principio antropico").
Chi ha deciso che la luce, nel vuoto, viaggi a 300000 km al secondo? Chi ha deciso che un protone attiri un elettrone con la forza che misuriamo, e non il doppio? Chi ha deciso che la forza di gravità sia proprio questa, e non la metà?
Facciamo qualche esempio: consideriamo la forza di gravità e l’espansione dell’Universo.
La nostra Galassia, la Via Lattea, e il nostro sistema solare esistono perchè miliardi di anni fa c’era una leggera concentrazione di gas, più denso rispetto alla media. Questo ha fatto sì che la forza di gravità, in quella "piccola" regione di Universo (piccola per modo di dire, si tratta comunque di milioni di anni luce), vincesse la gara contro l’espansione dell’Universo: invece di disperdersi nel cosmo, il gas primordiale della Via Lattea si è quindi concentrato di più, facendo via via nascere le stelle, fino al nostro Sole e la nostra Terra.
Se la forza di gravità fosse stata più grande, allora la gara tra espansione dell’Universo e frenamento dovuto alla gravità avrebbe avuto un chiaro vincitore: la gravità, e l’Universo sarebbe ricollassato su se stesso, ancor prima di aver avuto il tempo di formare le galassie e le stelle.
Se la forza di gravità fosse stata più piccola, allora l’espansione avrebbe vinto, il gas primordiale si sarebbe disperso, e non ci sarebbe stata nessuna regione in grado di contrarsi e quindi dare origine alle stelle.
Quindi se la forza di gravità fosse più grande o più piccola le stelle non avrebbero potuto formarsi, e noi (proprio noi, uomini e donne) non potremmo esistere, dato che siamo letteralmente "polvere di stelle": siamo fatti di atomi che si sono stati formati nelle stelle (vedi curiosità "Noi siamo figli delle stelle" - settembre 2008).
Un altro esempio curioso: l’acqua ha una proprietà stranissima: quando diventa solida, cioè quando si forma il ghiaccio, aumenta di volume.
È per questo che il ghiaccio galleggia.
Questo dipende dai legami tra gli atomi di idrogeno e di ossigeno che formano l’acqua.
Se questi legami fossero diversi, un centimetro cubo di ghiaccio peserebbe di più di un centimetro cubo di acqua, e andrebbe a fondo.
Dato che invece il ghiaccio galleggia, può formare uno strato isolante, e far sì che l’acqua di un lago o di un mare non ghiacci completamente, e rimanga liquida, preservando gli organismi che ospita.
Se il ghiaccio andasse a fondo, piano piano i laghi e i mari ghiaccerebbero completamente, e non potrebbero più ospitare forme di vita.
La presenza della vita sulla Terra dipende quindi da come sono disposti gli atomi di idrogeno e di ossigeno nei cristalli di acqua, cioè nel ghiaccio, e a loro volta questi legami dipendono da come agiscono le forze fondamentali della natura.
Ma perchè allora le costanti fisiche hanno proprio i valori che hanno?
O più in generale: perchè le forze della natura sono quelle che conosciamo e non altre? E perchè hanno potuto generare delle stelle con attorno dei pianeti che ospitano delle forme di vita, e tra queste l’uomo?
È un caso oppure c’è un progetto?
Nel primo caso il nostro universo sarebbe veramente improbabile... con tutte le possibilità che ci sono, perchè è nato proprio un Universo adatto a noi?
E nel secondo caso, preferito da chi crede, il nostro Universo era veramente l’unica
possibilità? E siamo sicuri di essere, noi, così importanti?
Per risolvere questo dilemma gli scienziati hanno invece proposto una terza soluzione.
Hanno pensato che in realtà di Universi ce ne sono tanti, ognuno con delle costanti fisiche un po’ diverse, o addirittura con delle leggi fisiche diverse.
Nella stragrande maggioranza di questi Universi la vita non è potuta nascere, in pochi altri si è sviluppata, ma in modo diverso dal nostro, altri ancora sono vissuti solo per poco tempo, prima di ricollassare su se stessi, in altri l’espansione iniziale è stata così forte da disgregare il gas primordiale, che non ha mai potuto condensarsi.
Esisterebbero quindi innumerevoli altri Universi, che formerebbero il "Multiverso".
E come facciamo a sapere se gli scienziati che hanno proposto il Multiverso hanno ragione?
È difficile dirlo, perchè questi altri Universi potrebbero aver costruito il proprio spazio e tempo, completamente disgiunti dal nostro spazio e dal nostro tempo...
In questo caso non potremmo mai prenotare un viaggio nell’Universo X o Y.
Ma queste idee sono solo agli inizi, e chissà cosa ci riserverà il prossimo futuro...
Vai al comunicato stampa INAF "Buco nero, dica trentatrè" - 12 dicembre 2011
Quasi vent’anni fa, è apparsa nel cielo in raggi X una nuova sorgente molto
brillante, denominata GRS 1915+105.
In pochi anni, si è rilevato uno degli oggetti più peculiari conosciuti. Si tratta di un sistema binario contenente una stella normale e il buco nero stellare più massiccio conosciuto, circa 15 volte la massa del sole.
Non soltanto è stato il primo sistema di questo tipo a mostrare getti di materia a velocità prossime a quella della luce, ma è subito apparso come una sorgente "pazza".
Solitamente le osservazioni in raggi X di queste sorgenti mostrano variabilità molto veloce, sotto al secondo, ma in una tipica osservazione della durata di un’ora la loro emissione è relativamente costante se la si misura una volta al secondo.
GRS 1915+105 mostra invece comportamenti apparentemente assurdi. Se
a volte si rivela tranquilla, altre volte oscilla in luminosità con grande
regolarità, alternando periodi di emissione debole a oscillazioni veloci.
Durante molte osservazioni, si sono registrate oscillazioni regolari: vere e proprie
"pulsazioni cardiache" a volte più veloci (ogni 40 secondi), a volte più lente
(due minuti).
L’interpretazione di questo comportamento particolare vede delle
oscillazioni della materia che viene strappata alla stella compagna e orbita il buco
nero: parte della materia cade nel buco nero, ma parte riesce a fuggire ogni
"pulsazione" e forma i getti osservati.
Perchè questo si vede solo in questa
sorgente? Perchè in questa sorgente il tasso di materia che cade verso il buco nero è
molto più alto che nelle altre, naturalmente in relazione alla massa del buco nero
(il concetto di mangiare troppo dipende dala stazza di chi mangia: un elefante
mangia normalmente molto più di un topolino).
Nel febbraio di quest’anno, è apparsa un’altra sorgente X in cielo.
Niente di strano, succede spesso e poi questa era una vecchia conoscenza: la si era già vista
nel 2003 e nel 2007.
Dopo un’inizio convenzionale, in cui si è comportata come
tutte le altre, inaspettatamente questa sorgente (dal nome ancora meno mnemonico
della precedente, IGR J17091-3624) ha iniziato a comportarsi esattamente come GRS
1915+105, con due importanti differenze: si tratta di una sorgente molto più debole
e le sue variazioni sono più veloci. I battiti arrivano a una pulsazione di un
battito ogni due secondi.
Ci sono due motivi per cui una sorgente celeste (ma anche una non celeste) può
essere più debole di un altra. O è veramente meno intensa, ovvero emette meno
radiazione, oppure è più distante.
Se supponiamo che le due sorgenti siano ugualmente intense, dobbiamo concludere che la più debole sia più lontana. In questo caso la sua distanza la porterebbe addirittura a stare al di fuori della
nostra galassia, cosa poco probabile.
Se invece è più debole ... come fa a
comportarsi un questo modo? L’unica possibilità è che la sua massa sia
inferiore: da un elefante che mangia molto a un topolino che mangia molto.
Fra un elefante e un topo c’è anche un’altra differenza, oltre il peso: il battito
cardiaco del topo è molto più veloce. Esattamente come il "battito" della nuova
sorgente è più veloce di quello della vecchia.
Facendo un po’ di conti si vede che per avere la sorgente nuova nella nostra
galassia, il confronto con quella vecchia la porta ad avere una massa cinque volte
più bassa, dell’ordine di tre volte quella del sole.
Questa nuova sorgente risulta quindi contenere il buco nero più leggero conosciuto, vicino al limite inferiore per la produzione di un buco nero di massa stellare.
Naturalmente si tratta di una misura molto indiretta, ma è curioso che il più pesante e il più leggero siano
proprio quelli che si comportano in modo diverso.
Il confronto fra i due sistemi (GRS 1915+105 dopo vent’anni è ancora là e non si è ancora spento, contrariamente alle previsioni, e IGR J17091-3624 non accenna a spegnersi per niente) potrà
fornirci ancora più informazioni sia sulle loro peculiarità sia sul funzionamento
del meccanismo che produce la radiazione dalla materia intorno a un buco nero e
sulla produzione dei getti.
Il più piccolo mai scoperto? -
Buco nero, dica trentatré da Media Inaf.
NASA's RXTE Detects 'Heartbeat' of Smallest Black Hole Candidate dalla NASA (in inglese con animazione).
RXTE Detects "Heartbeat" Of Smallest Black Hole Candidate su Goddard Multimedia del Goddard Space Flight Center (in inglese).
Smallest black hole just a heartbeat su Astronomy Now Online (in inglese).
E non di vergogna ...
Ci sono tre modi per cui la luce può diventare rossa. Oppure blu.
Cosa vuol dire?
Prendiamo la luce di una lampadina gialla ...Cioè è gialla quando la lampadina è ferma, e chi la osserva si trova vicino alla lampadina stessa.
Ebbene, se la lampadina si muove, e si allontana da noi, oppure è vicina ad un buco nero, oppure è in una galassia lontana, allora noi vedremo una luce rossa, non gialla.
In inglese lo spostamento verso il rosso della luce della lampadina si chiama "redshift", parola che probabilmente avete già sentito e che significa arrossamento.
Andiamo a vedere un po’ meglio di cosa si tratta.
Muoviti, ed arrossisci ... (redshift dovuto al moto).
Il più comune (e anche il più noto) modo di arrossire della luce è dovuto all’effetto Doppler. È lo stesso effetto che agisce sul suono, oltre che sulla luce.
Il suono di una monoposto al Gran Premio è diverso quando la macchina si avvicina e quando si allontana ... l’avete notato?
Quando si avvicina il suono è più acuto (lunghezza d’onda più piccola), mentre quando si allontana il suono diventa più grave (lunghezza d’onda più lunga). Se invece della monoposto avessimo una lampadina, avremmo la stessa cosa con la luce. Quando la lampadina si avvicina a noi vediamo la sua luce più blu (lunghezza dù onda più piccola) e quando si allontana la vediamo più rossa (lunghezza d’onda più lunga).
Arrampicati, e arrossisci ... (redshift gravitazionale)
Un altro modo per far arrossire la luce è mettere la lampadina vicino ad un buco nero, e guardarla da una certa distanza ...
Vedremmo che quanto più la lampadina è vicina al buco nero, tanto più la luce diventa rossa. Si chiama "redshift gravitazionale".
È come se la gravità agisse sulla lunghezza d’onda, "stirandola", cioè facendola diventare più lunga.
Ma il buco nero è veramente necessario? No, è solo che l’arrossamento della luce diventa eclatante nel caso del buco nero, perchè la sua gravità è grande.
Ma in realtà l’effetto c’è dovunque ci sia gravità. Quindi anche sulla Terra.
Pensate che è pure stato misurato, da Pound e Rebka, due fisici di Harvard, nel 1959.
Hanno trovato il modo di misurare l’impercettibile cambio di colore della luce che partiva dal primo piano del loro istituto e arrivava all’ultimo piano, circa 20 metri più in alto. Un dislivello minimo, ma sufficiente a provocare un rossore misurabile (vedi la pagina in inglese di wikipedia relativa all’esperimento)
Viaggia nello spazio che si espande, ed arrossisci ... (redshift cosmologico)
E infine, c’è il "redshift cosmologico", che spesso viene confuso con l’effetto Doppler.
Si dice: le galassie, nell’Universo, si stanno tutte allontanando tra loro, ed è per questo motivo che vediamo la loro luce arrossata. Cioè stiamo insinuando che è il moto delle galassie a produrre l’arrossamento.
Per quanto strano possa sembrare, non è così.
La verità è molto più strana e affascinante.
Facciamo un esempio per capirci meglio, e pensiamo per assurdo ad un Universo strano. Un Universo che si espande, poi sta fermo per un po’, poi si espande, e poi sta fermo ancora ...
E immaginiamo che adesso sia fermo. Supponiamo di guardare una galassia lontana, che ha emesso tanto tempo fa la luce che riceviamo adesso.
Alla partenza, quando la luce è stata emessa, l’Universo strano era fermo, e dopo si è espanso ancora un po’.
Adesso, quando la riceviamo, l’Universo è fermo di nuovo. La luce che riceviamo sarà arrossata? Oppure no, perchè alla partenza e all’arrivo di quel particolare raggio di luce l’Universo era fermo?
È arrossata ... è arrossata. Ed è tanto più rossa quanto più l’Universo si è espanso (tra quando era fermo e adesso, che è fermo di nuovo). Attenzione: questo è solo un esperimento concettuale ... fatto immaginando un Universo diverso dal nostro (pare che il nostro non si sia mai fermato).
Ma è un esempio che rende l’idea.
Quando riceviamo la luce di una galassia lontana, misuriamo la lunghezza d’onda della "lampadina" che ci sta mandando la sua luce.
E sappiamo che quanto più è arrossata, tanto più l’Universo è diventato grande, espandendosi.
Cioè quello che misuriamo è di quante volte l’Universo si è ingrandito dal momento dell’emissione della luce ad adesso, nel momento in cui riceviamo quella stessa luce.
E in questo modo riusciamo a ricavare la distanza della lampadina.
Ed è proprio così che riusciamo a misurare le distanze delle galassie lontane.
Sui lunghi tempi caratteristici dell’astronomia, l’universo è
variabile e tutto è in evoluzione.
La vita sul nostro pianeta è possibile grazie a una lunga serie di fattori, il più importante dei
quali è senz’altro la presenza del sole al centro del sistema solare.
L’energia che ci proviene dalla nostra stella e molto costante, una
pila atomica su cui possiamo contare, ma sappiamo che la vita delle
stelle ha una sua durata.
Nel caso del Sole, sappiamo che si è formato
circa 4-5 miliardi di anni fa e fra 4-5 miliardi di anni passerà a una
nuova fase della sua vita, espandendosi come gigante rossa (Fig. 1).
È difficile pensare che la vita sulla terra possa sopravvivere
all’evento.
Oltre al fatto che 4-5 miliardi di anni ci danno un margine sufficiente per non preoccuparci particolarmente, la stima è
evidentemente molto rozza.
C’è una bella differenza fra 4 e 5 miliardi di anni!
Naturalmente, c’è sempre la possibilità che succeda qualcosa di
catastrofico ben prima di allora.
La razza umana possiede attualmente la capacità di autodistruggersi in un tempo brevissimo e sappiamo bene
che questa è sempre una possibilità (Fig. 2).
Oppure, eventualità spesso evocata dalla stampa, un asteroide di grandi dimensioni potrebbe
colpire il pianeta, con effetti disastrosi (Fig. 3).
In questo caso la speranza è che ce ne si possa accorgere abbastanza in anticipo, diciamo qualche
decina d’anni prima, in modo da poter cercare di deviarlo in qualche modo.
Comunque sia, si tratta di eventi assolutamente imprevedibili al momento ed è naturale che sia così.
C’è però un nuovo elemento da considerare.
Nel 2003, un team guidato da un’astronoma italiana, Marta Burgay dell’INAF - Osservatorio
Astronomico di Cagliari ha scoperto un sistema stellare molto speciale (PSR J0737-3039).
Si tratta di due oggetti estremi, due stelle di neutroni, in orbita una intorno all’altra.
Due stelle di massa di poco superiore a quella del sole, ma la cui materia è compresa in un raggio di pochi
chilometri, raggiungendo densità altissime.
Un cucchiaino da caffè di materia di una stella di neutroni pesa 100 miliardi di chilogrammi!
In questo sistema, localizzato a quasi 2000 anni luce dalla terra,
queste due stelle compattissime orbitano una attorno all’altra in circa 2 ore e mezza ad una distanza media di circa due volte e mezza la separazione Terra-Luna.
La peculiarità di questa binaria è che entrambe le stelle
ruotano e mostrano impulsi regolari dovuti alla loro rotazione: sono pulsar. Una ruota su se stessa 50 volte al secondo, l’altra ci mette
quasi tre secondi a fare un giro intorno al suo asse (Fig. 4 e animazione).
La loro rotazione è cosi regolare che possiamo considerarle veri e propri
orologi in orbita.
Utilizzando il fatto che un orologio che viene verso di noi appare andare più veloce di quando non si allontana
(effetto analogo al cambiamento del suono prcepito di un’ambulanza al
suo passaggio), con due orologi posso misurare con estrema precisione
le caratteristiche dell’orbita.
La teoria della Relatività Generale di
Einstein prevede che in questo caso l’orbita rimpicciolisca per via
dell’emissione delle "onde gravitazionali", previste ma non ancora
osservate direttamente.
L’orbita di queste due pulsar in effetti si stringe di circa 7 millimetri al giorno (notare la precisione, visto
che l’orbita ellittica ha una dimensione media di 800mila chilometri!), in perfetto accordo con le previsioni della teoria di
Einstein.
Cosa c’entra questo con la fine del mondo?
Semplice: se l’orbita si stringe, alla fine le due stelle finiranno con lo scontrarsi.
E quando due stelle di neutroni si scontrano, il risultato è una fusione non
particolarmente pacifica.
Noi siamo a meno di 2000 anni luce da loro, troppo poco per essere al sicuro.
Con la precisione che abbiamo a disposizione possiamo dire che i due orologi si scontreranno fra circa
86 milioni di anni, con un’incertezza di solo 10000 anni.
Se l’esplosione risultante sarà orientata nella nostra direzione, il suo
effetto sulla terra sarà catastrofico.
86 milioni di anni è sempre molto, ma molto meno di 4 miliardi di
anni.
Sempre un tempo lontano in modo rassicurante, ma inferiore e
soprattutto preciso. Molto preciso.
Se non sarà successo altro, si
spera che i nostri pro-pro-pro.... nipoti avranno trovato il modo di
fare qualcosa per evitarne gli effetti.
Sempre che ci saranno: è calcolato che il tipico tempo di sopravvivenza di una tipica specie di
mammiferi è di circa 2 milioni di anni e l’Homo sapiens sapiens (ovvero l’uomo moderno) è sulla terra da circa 200 mila anni (Fig. 5).
Per saperne di più sulla pulsar doppia PSR J0737-3039:
Gli investigatori hanno fatto un buon lavoro. Sanno chi è il colpevole, sanno come
ha agito perfino nei dettagli.
C’è un unico problema: non possono provarlo, hanno
ancora bisogno di un elemento per poter procedere all’arresto.
In questo caso c’è una sola cosa da fare: aspettare che il sospetto faccia un passo falso.
Questo significa settimane o mesi di appostamenti, pedinamenti, intercettazioni. Un lavoro
lungo e noioso, che però alla fine da’ i suoi frutti.
Il sospetto commette il passo falso che tutti si aspettavano e fornisce alla polizia la prova mancante. Viene
arrestato.
Bella trama per un romanzo poliziesco, ma cosa ha a che fare con l’astronomia?
Come faccio a dimostrare di non avere qualcosa?
Se mi chiedono di dimostrare che ho un computer non ho problemi, basta che lo faccia vedere. Ma dimostrare che non ce
l’ho?
Bel problema filosofico, ma cosa ha a che fare con l’astronomia?
Un buco nero è un oggetto che non ha una superficie solida, non emette luce, non ha un campo magnetico.
È piccolo e pesante, ma anche una stella di neutroni
è piccola e un po’ meno pesante.
Abbiamo già visto come si fa a scovare un buco nero "pesandolo" (Come posso vedere un buco nero? - curiosità di ottobre 2008).
Ma se non posso pesarlo?
Quando un buco nero o una stella di neutroni si trova in un sistema binario con una
stella normale può strapparle materia.
Questa materia forma un disco, si muove a spirale verso il centro e alla fine raggiunge l’oggetto compatto [l’abbiamo già visto l’anno scorso - Come trovo un buco nero? - curiosità di febbraio 2009].
Qui c’è una ovvia differenza.
Una stella di neutroni possiede una superficie, quindi la materia si deposita sulla stella.
Nel caso di un buco nero, il gas ci cade dentro e sparisce alla vista (il buco è appunto nero).
La materia che si accumula sulla superficie della stella di neutroni è compressa ad
alta densità e temperatura dalla forza di gravità.
È possibile, sotto certe condizioni, che in questo strato di gas si raggiungano le condizioni per innescare
una reazione nucleare improvvisa.
Se succede, la superficie della stella di neutroni esplode e l’oggetto diventa molto brillante: è quello che si chiama "burst" termonucleare. Improvvisamente l’oggetto diventa molto più brillante in raggi X, fenomeno caratteristico che normalmente dura circa un minuto.
È evidente che quando osservo un fenomeno di questo tipo da una sorgente X, questa
non può essere un buco nero: sto vedendo una prova diretta che l’oggetto ha una
superficie. È una stella di neutroni.
E se non lo vedo? Non dimostro che non ha una superficie: l’assenza di evidenza non
si traduce in evidenza di assenza.
Venticinque anni fa sono stati osservati alcuni "burst" da una sorgente X brillante
nella costellazione del compasso, Circinus X-1.
La sorgente à molto strana e difficile da classificare.
I burst sarebbero una prova che il sistema contiene una stella di neutroni, ma sfortunatamente lo strumento di 25 anni fa non produceva immagini e osservava una regione di cielo piuttosto grande intorno alla sorgente:
era sempre possibile che il burst venisse da un’altra sorgente, dato che in quella
zona di cielo la densità stellare è molto alta.
Cosa si poteva fare? Aspettare e osservare il più possibile Circinus X-1.
Pedinarla. Intercettare la sua emissione X.
Lavoro lungo, 25 anni di appostamenti, di osservazioni.
Finalmente il lavoro ha dato i suoi frutti. Il satellite della NASA Rossi X-Ray
Timing Explorer (RXTE), in orbita da quindici anni, dopo avere osservato Circinus
X-1 piu di settecento volte, il 15 maggio di quest’anno ha visto un burst a cui
sono seguiti diversi altri.
Il satellite Swift, una missione NASA che vede una forte
participazione italiana, ha puntato Circinus X-1 e ha visto altri burst, confermando
che vengono proprio da li’.
Prova trovata, colpevole arrestato!
Era il numero uno nella lista dei criminali a
piede libero, venticinque anni di latitanza sono finiti quest’anno.
La lista è
ancora lunga, ma gli astronomi non demordono mai.
Sito ufficiale della missione NASA Rossi X-ray Timing Explorer (pagina in inglese)
Sito ufficiale della missione NASA Swift Gamma-Ray Burst (pagina in inglese)
Sito del nostro istituto della missione NASA Swift Gamma-Ray Burst (pagina in inglese)
Sito divulgativo del nostro istituto della missione NASA Swift Gamma-Ray Burst (pagina in italiano)
Tieni chiusa la bocca quando mangi! (febbraio 2010 - Tomaso Belloni)
Come trovo un buco nero? (febbraio 2009 - Tomaso Belloni)
Quanto è complicato un buco nero? (dicembre 2008 - Tomaso Belloni)
Come posso vedere un buco nero? (ottobre 2008 - Tomaso Belloni)
I telescopi moderni possono prendere forme molto diverse.
Si va dai cristalli per rivelare raggi gamma da satelliti artificiali a sistemi di specchi a terra di forme
e configurazioni più disparate.
Per osservare nelle onde radio, la classica immagine
è quella di uno o più grossi paraboloidi che possono essere puntati nella direzione
voluta (oppure fissi, come il gigantesco radio telescopio di Arecibo).
In Europa esiste ora un telescopio molto diverso.
Si tratta di LOFAR (LOw Frequency
ARray, ovvero schiera a bassa frequenza), il più grande radio-telescopio al mondo,
con un’area di raccolta di un chilometro quadrato.
Data la sua dimensione, non si tratta di un grande paraboloide, ma di una schiera di antenne omni-direzionali:
10000 piccole antenne, molto semplici, raggruppate in 40 stazioni, sparse per
l’Olanda (il progetto è olandese), con alcune antenne in altri paesi come Germania, Francia, Gran Bretagna e Svezia. Vedi la dislocazione delle antenne alla pagina web LOFAR status map (pagina in inglese).
Trattandosi di basse
frequenze radio, le lunghezze d’onda "viste" da LOFAR sono grandi, da 1.3 a 30
metri.
Ognuna delle antenne vede tutto il cielo e l’immagine viene ricostruita
mettendo insieme le informazioni provenienti da tutte le antenne, tramite un
supercalcolatore, che deve elaborare qualcosa come mille miliardi di operazioni
complesse al secondo.
La prima stazione è stata aperta nel 2006 e il 12 giugno 2010 la regina d’Olanda ha
inaugurato ufficialmente il telescopio, che stan lentamente entrando in funzione.
La possibilità di tenere sotto osservazione il cielo nella banda radio aprirà nuovi
orizzonti per la comprensione dei fenomeni celesti che producono onde radio.
In particolare, sarà possibile scoprire fenomeni transienti, ovvero di durata molto
limitata, difficilmente accessibili da strumenti che vedono solo una piccola parte
di cielo.
LOFAR permetterà di studiare la cosiddetta "epoca di rionizzazione"
dell’Universo.
Si potranno fare campagne di osservazione di sorgenti radio molto
deboli al di fuori della nostra galassia.
Come sempre inoltre, l’apertura di una nuova "finestra" di osservazione porterà alla
scoperta di fenomeni nuovi e inaspettati.
LOFAR è un radio-telescopio, ma non si limiterà a osservare il cielo.
La struttura de-localizzata dello strumento offre l’opportunità di studiare fenomeni molto
diversi nei campi della geofisica e dell’agraria.
La presenza di sensori sismici
nelle varie stazioni permetterà di tenere sotto controllo i movimenti della crosta
terrestre e di studiare la sismicità naturale e indotta.
Un grande numero di piccoli
sensori sparsi nei campi intorno alle stazioni di LOFAR trasmetteranno temperatura,
umidità, pressione e illuminazione, oltre alla loro posizione.
Con questi dati si potrà studiare il microclima locale nei campi di patate e combattere le infestazioni di phytophora, un fungo che attacca le piante di patata.
In un prossimo futuro, sarà possibile avere sensori della dimensione di piccole biglie, ciascuno con i suoi
misuratori e la sua antenna radio per trasmettere le informazioni all’antenna
principale della sua stazione LOFAR, uno scenario quasi da fantascienza.
Inoltre, un sistema come questo è ovviamente estendibile, in particolare se altri paesi europei
entreranno nella collaborazione.
In definitiva, un radio-telescopio delocalizzato, non spettacolare da vedere quanto
un grande paraboloide, ma che promette di raggiungere grossi risultati astronomici,
mentre allo stesso tempo permetterà di capire i fenomeni sismici locali e di
ottenere le informazioni per contrastare efficacemente i parassiti dei campi di
patate.
LOFAR - Sito ufficiale della missione (in inglese)
Filmato su LOFAR dal sito ufficiale (in inglese)
LOFAR - Wikipedia (in inglese)
Artcoli relativi a LOFAR da MEDIA INAF - Notiziario on-line di INAF
Noi crediamo di conoscere abbastanza bene l’Universo che ci circonda, ma in realtà sappiamo qualcosa di quel misero 4% fatto dalla materia "normale" (protoni, neutroni, elettroni ...) che forma le stelle, i pianeti, le galassie, cioè tutto ciò che vediamo.
E il resto?
La parte del leone la fa l’energia oscura (di nome e di fatto) che costituisce i 3/4 della sostanza di cui è fatto l’Universo.
Sappiamo qualcosa delle proprietà che deve avere questa energia misteriosa, ma non sappiamo che cos’è.
E poi c’è un 21% di materia oscura. Che cos’è questa materia oscura?
È un po’ meno bizzarra dell’energia oscura, perchè almeno fa quel che la materia deve fare: attrarre (mentre l’energia oscura spinge ...). Ma non sappiamo di cosa è fatta.
Pianeta | Distanza dal Sole (milioni di km) | Periodo (anni terrestri) | Periodo (giorni terrestri) | Velocità orbitale (km/s) |
---|---|---|---|---|
Mercurio | 0.58 | 0.24 | 88 | 47.9 |
Venere | 1.08 | 0.3 | 225 | 34.9 |
Terra | 149.5 | 1 | 365 | 29.8 |
Marte | 227.9 | 1.9 | 687 | 24.1 |
Giove | 778.3 | 11.9 | 4333 | 13 |
Saturno | 1427.0 | 29.5 | 10759 | 9.6 |
Urano | 2869.6 | 84.1 | 30685 | 6.8 |
Nettuno | 4496.6 | 164.9 | 60195 | 5.4 |
Plutone | 5900.0 | 247.9 | 90475 | 4.7 |
Tabella 1: le distanze, il periodo di rivoluzione e le velocità orbitali
dei pianeti del nostro sistema solare. In omaggio al passato, abbiamo incluso anche Plutone, che recentemente è stato declassato a corpo minore del sistema solare. |
L’opinione prevalente è che sia fatta da una nuova particella, che interagisce molto poco con la materia normale, dato che i nostri strumenti non l’hanno ancora rivelata. E chissà se interagisce con se stessa, a parte la forza gravitazionale che produce e che a cui soggiace ...
Si parla di neutralini, di wimps, di assioni, nomi esotici per una materia sfuggente. Siete scettici?
Beh, avete torto, perchè anche se non sappiamo che cos’è, sappiamo con sicurezza che c’è.
E come facciamo a saperlo?
Pensate al nostro sistema solare, ai pianeti che girano a varie distanze dal Sole, e chiedetevi qual è la loro velocità. La Terra fa un giro in un anno, e la sua distanza dal Sole è di circa 150 milioni di km. Quindi percorre circa un miliardo di km (l’intera lunghezza dell’orbita) in un anno. Cioè 30 km al secondo, o centomila km all’ora ...
E secondo voi Mercurio, che è più vicino al Sole, va più piano o più forte?
Più forte? Bravi. Perchè? Perchè Mercurio sente una gravità più forte di quella che sente la Terra, dato che è più vicino al Sole: per non caderci dentro, deve contrastare questa gravità più grande con una maggiore forza centrifuga, che implica una velocità maggiore. Mercurio deve viaggiare a 48 km al secondo, se non vuole cadere sul Sole.
E Giove? Giove è più lontano, sente una gravità minore, e può permettersi una andatura da crociera di 13 km al secondo ... Per non parlare di Plutone, il più lontano (ex)-pianeta (è stato declassato a corpo minore ...): 4.7 km al secondo, "appena" 17mila km all’ora.
Insomma, più ci si allontana dal Sole, più si va piano. Adesso pensiamo ad una galassia. Il suo nucleo brillante ci dice che la maggior parte delle stelle sono concentrate li’, nel centro della galassia. E quindi anche la massa delle stelle di una galassia è concentrata li’. Ci aspettiamo quindi che le altre stelle, un po’ in periferia, girino attorno al centro come fanno i pianeti attorno al Sole: più queste stelle sono lontane, più dovrebbero andare piano.
E invece no. Con nostra sorpresa, hanno tutte la stessa velocità.
Il Sole, per esempio, gira attorno al centro della Via Lattea a 220 km al secondo, ma anche le stelle più lontane del Sole, e anche quelle più vicine.
Com’è possible? Abbiamo sbagliato i conti? No, I conti sono giusti, solo che la materia che vediamo non è l’unica materia che c’è: la materia luminosa, quella delle stelle, deve essere piccola cosa in confronto ad un’altra materia che non emette luce. La materia oscura, appunto.
E deve succedere anche un’altra cosa. Se tutta la materia oscura fosse concentrata nel nucleo della Galassia, allora il nostro ragionamento di prima varrebbe ancora (più siamo lontani, più siamo lenti). No, dato che la velocità non cambia, la materia oscura deve essere più diffusa della materia visibile, deve essere distribuita in un "alone" grande, che deve estendersi a tutta la Galassia visibile e anche oltre ...
E noi nuotiamo in questo mare invisibile.
Nella curiosità di settembre 2012 avevamo parlato della nube di gas che si stava
avvicinando al buco nero al centro della nostra galassia.
L’arrivo previsto era per l’estate di quest’anno.
Il mese scorso, il satellite Swift della NASA ha rivelato un forte incremento della radiazione X dal centro della nostra galassia, la cui sorgente
è conosciuta come Sgr A* (Sgr sta per Sagittario, la costellazione dove si trova, A* sta per sorgente stellare nella nube chiamata A).
È la nube che arriva in anticipo?
Sarebbe un anticipo notevole, ma questa scoperta ha messo in allerta la comunità
astronomica.
Il giorno dopo, lo strumento X a grande campo BAT, sempre a bordo del satellite
Swift, ha rivelato un picco di radiazione X della durata di 32 millisecondi
proveniente da questa sorgente.
Il buco nero al centro della galassia, con una massa
di centinaia di migliaia di volte quella del nostro sole non può produrre un evento
del genere, troppo breve.
Una variabilità su un tempo di 32 millisecondi non può
provenire da un oggetto più grande di 32 millisecondi luce, corrispondente a circa
diecimila chilometri.
Questo perchè niente può sincronizzarsi a una velocità
superiore a quella della luce.
Questo picco è tipico però delle sorgenti chiamate
SGR. Niente a che vedere con il Sagittario, qui SGR sta per Soft Gamma-ray Repeater,
ripetitore di raggi gamma molli, ovvero di bassa energia, ripetitore perchè ne fa
tanti.
Si tratta di stelle di neutroni isolate dotate di un fortissimo campo
magnetico, molto superiore a quello delle pulsar tradizionali [vedi anche la curiosità di dicembre 2009].
Per dare un’idea, il campo magnetico della terra è mille miliardi inferiore a quello
di una pulsar normale; quello di una magnetar è cento volte superiore.
Nel frattempo anche i radiotelescopi hanno cominciato a rivelare questa
sorgente.
Ancora un giorno e l’ipotesi viene confermata. Il satellite NuSTAR della NASA
osserva la sorgente e rivela una periodicità di 3.76 secondi: la sorgente pulsa, e
lo fa con un periodo di rotazione tipico degli SGR.
La conferma definitiva che non si tratta di Sgr A* ma di un SGR (peccato per la nomenclatura infelice) viene da un terzo satellite NASA, Chandra, che permette di localizzare con maggiore precisione la sorgente, che risulta a 3 secondi d’arco da Sgr A*.
Si è acceso un SGR che prima non si conosceva.
L’entusiasmo si spegne e i riflettori pure?
In fin dei conti si conoscono già molte di queste sorgenti, ora denominate "magnetars" per il loro alto campo magnetico.
Solo che non se ne conoscono così vicine al centro della galassia.
Una sorgente pulsante è un orologio e questa è un orologio che orbita intorno a un buco nero
supermassivo, un oggetto perfetto per studiare gli effetti della Relatività
Generale.
Secondo questa teoria, il tempo in un forte campo gravitazionale rallenta,
come risultato della deformazione dello spazio-tempo.
Se l‘orbita di questa sorgente è ellittica, l’orologio verrà visto accelerare o rallentare mentre si allontana o
avvicina al buco nero, permettendo di verificare la teoria in un caso estremo, nelle
vicinanze di un buco nero.
Un oggetto da seguire con molta attenzione nel futuro.
Scusa, ma non si capisce nemmeno il titolo!
Lo so, è fatto apposta per incuriosire...
Allora, cominciamo con il Megaparsec.
È una distanza che usano gli astronomi... Equivale a circa 3 milioni di anni luce.
Cioè è la distanza che la luce percorre in 3 milioni di anni...
E cosa c’entra il correre? mica possiamo "correre il Megaparsec"...
Noi no, ma ci sono delle particelle strane che sí, percorrono questa distanza, anzi, in realtà fanno anche più strada. Si chiamano raggi cosmici.
Sa di guerre stellari. Fanno male?
Di solito no.
Pensa che ad ogni istante ce ne sono decine che attraversano il nostro corpo...
Però non sono tutti uguali: ce ne sono tanti con energia bassa, pochi con energia alta, e pochissimi con energia altissima...
E di cosa sono fatti?
Sono protoni o nuclei di atomi come il ferro. Quindi sono piccolissimi.
È per questo che quelli che ci attraversano non ci fanno poi un gran male. Anche se dicono che possono essere tra i responsabili delle mutazioni..
O mamma, ci fanno OGM? (Organismi Geneticamente Modificati, ndr)
Ma no, gli OGM sono modificati dall’uomo, qui è tutto naturale.
Però "naturale" non vuol dire sempre "innocuo".
Pensa che i raggi cosmici più energetici, pur essendo dei protoni, hanno la stessa energia di una palla da tennis che va a 100 km all’ora...
E quando li hanno scoperti?
Circa un secolo fa.
Ci si era accorti di qualcosa di strano, di qualcosa che somigliava alla radioattività (che era stata appena scoperta). Per questo si pensava che provenisse dalla terra.
Allora Victor Hess, nel 1912, ha avuto l’idea di andare in mongolfiera per vedere se questa cosa strana diminuisse con l’altezza (Fig. 1).
L’idea era: se à prodotta dalla Terra, allora questo tipo di "radioattività" dovrebbe diminuire andando in alto... Invece ha trovato che aumentava.
E così ha scoperto che questi "raggi" venivano da fuori, dal "cosmo". Raggi cosmici, appunto.
Scusa, ma a noi comuni mortali perchà dovrebbero interessare, questi raggi cosmici?
Per almeno due buoni motivi.
Il primo è che sono dei messaggeri da altri mondi, al pari della luce prodotta da altre stelle, da altre galassie.
Il secondo è che sono le particelle più energetiche che conosciamo.
Pensa che il CERN, che serve ad accelerare le particelle, non arriva neanche lontanamente vicino alle energie che misuriamo nei raggi cosmici. E infatti, è proprio con i raggi cosmici che per esempio abbiamo scoperto l’antimateria (Fig. 2). Quando non c’erano gli acceleratori, si usavano i raggi cosmici...
E allora perchè adesso spendiamo così tanti soldi per il CERN, se i raggi cosmici sono meglio?
Non ho detto che sono meglio, ho detto che possono avere delle energie anche molto più grandi di quelle che si possono fare al CERN.
Ma anche ad energie più piccole i raggi cosmici sono pochi e sparpagliati.
Invece al CERN ne posso fare tanti e concentrati. E questo fa tutta la differenza.
E adesso come si fa a studiare i raggi cosmici?
Adesso ovviamente non ci si accontenta più di andare in mongolfiera.
Quelli di altissima energia sono rari, però sono anche quelli più interessanti. E misteriosi. Dopo un secolo non sappiamo ancora chi li fa.
Siccome sono rari, bisogna avere degli strumenti grandissimi per riuscire a vederne uno ogni tanto. Ma proprio ogni tanto..
Pensa che in Argentina hanno sparpagliato migliaia di strumenti su un’area di migliaia di km quadrati... E di questi raggi cosmici iper-energetici ne vedono solo una ventina all’anno....
Senti, mi hai fatto dimenticare il titolo: cosa c'entra con quello che mi stai raccontando?
C’entra, c’entra.
Ci sono buone probabilità che i raggi cosmici più enegetici siano dei protoni.
Se questo è vero, allora, per avere l’energia che misuriamo, dovrebbero nuoversi quasi alla velocità della luce.
Pensa che la loro velocità sarebbe lo 99, 999 99999 99999 99999 995 per cento della velocità della luce.
E allora? Tu mi hai detto che la luce ci impiega 3 milioni di anni per percorrere un Megaparsec. Quindi questi raggi cosmici ci metterebbero lo stesso tempo, anzi, un pizzico di più.
Vero, se chi tiene l’orologio sei tu che li guardi andare in giro.
Ma se l’orologio lo tengono loro, cioè i raggi cosmici, allora ci mettono solo 1000 secondi!
Ma vah!
Ma si, è tutto vero... Se è vera la relatività di Einstein, allora succede che i due orologi segnano dei tempi diversi, e per i raggi cosmici correre un megaparsec è una faccenda che sbrigano in un quarto d’ora...
Altro che Usain Bolt!
Ogni tanto, durante gli incontri con il pubblico, o anche con amici, mi sento chiedere: ma voi servite a qualcosa?
Per "voi" si intende "voi astronomi", ma la stessa domanda viene fatta anche ai ricercatori in altri campi.
Il tono della domanda può essere diverso lasciando spesso intendere l’opinione di chi la fa.
C’è il tono curioso di chi si aspetta una risposta positiva, c’è il tono un po' scettico di chi in cuor suo ha già deciso che serviamo a poco e c’è anche (raramente) il tono ammirato di chi è inebriato dal mistero e dall’immenso, e vuole sapere se c’è dell’altro, oltre allo stupore.
In comune, di solito, c’è la domanda sottintesa, che se espressa suonerebbe così:
ma la vostra ricerca ha delle ricadute tecnologiche?
E che c’è di strano? direte voi.
È una domanda più che legittima, onesta e sensata. Io invece, dentro di me, sento una gran rabbia.
Non fraintendetemi, non è rabbia verso chi mi fa la domanda, è una rabbia verso un mondo, il nostro, bislacco.
Provo a spiegarvi il perchè.
Punto numero uno: sgomberiamo il campo dagli equivoci.
La ricerca astronomica e astrofisica ha ricadute tecnologiche di tutto rispetto. Pensate agli strumenti sempre più sofisticati che siamo obbligati ad inventare per raccogliere più luce a tutte le lunghezze d’onda.
Le stesse invenzioni possono essere usate per guardare meglio le cose qui sulla terra.
Pensate a tutti gli accorgimenti inventati nel nostro campo per ridurre le distorsioni provocate dalle turbolenze dell’atmosfera, per restituire una immagine molto precisa delle sorgenti che stiamo guardando.
Anche queste invenzioni hanno applicazioni "normali".
E poi pensate al navigatore che avete in macchina, con la sua vocina che vi guida. Senza le correzioni dovute alla relatività generale (nientemeno!) il vostro tom-tom vi porterebbe a sbattere. E si potrebbe continuare.
Punto numero due: tutte queste belle ricadute tecnologiche non contano un piffero al confronto del vero valore della ricerca in generale, e della ricerca astrofisica in particolare.
Il vero valore è la conoscenza. Punto.
E perchè è un valore? Perchè produce piacere.
È un fatto evolutivo: tra tutti gli animali siamo quelli che ricevono piacere da un nuovo sapere, anche se, lì per lì, non sappiamo cosa farcene, della scoperta stessa.
Notate anche che questo piacere investe non solo chi la scoperta la fa, ma anche chi riceve l’informazione della scoperta.
È contagioso.
Punto numero tre: sarebbe facile fare una analogia con le arti.
Provate a chiedere a Dante cosa serve la sua Divina Commedia. Con che faccia vi guarderebbe?
Andate da Michelangelo a chiedergli a cosa serve la volta della Cappella Sistina.
Non avete il coraggio di farlo? E perchè allora avete il coraggio di chiedere a me a cosa serve sapere che c’è stato il Big Bang?
Punto numero quattro: l’analogia arte-scienza, come tutte le analogie, ha dei limiti.
Noi non siamo artisti. Siamo scienziati. E c’è una differenza.
Però forse il piacere che proviamo davanti ad un’opera d’arte è fratello del piacere che proviamo nel sapere e tutti e due hanno avuto origine ai primordi della storia dell’uomo.
Gli esseri umani portati ad accorgersi di certe simmetrie, o anomalie, del mondo circostante, hanno probabilmente avuto un vantaggio sui loro simili che già allora gridavano Fannullone! a chi si perdeva, durante un temporale, a guardare i fulmini, capendo che ogni tanto un albero si incendiava.
O che la rottura di qualche simmetria nell’erba della savana preannunciava l’arrivo di un animale pericoloso.
Gli individui che provavano piacere nello scoprire cose nuove hanno evidentemente avuto dei vantaggi sui loro simili che non si facevano domande mentre cercavano bacche o cacciavano tutto il giorno.
Così questa caratteristica si è tramandata, come gene vincente.
Punto numero cinque: A cosa serve avere un vestito alla moda? A sentirsi parte del branco.
Ma chi è il capo-branco? Qualcuno se le fa ancora queste domande? Qualcuno, ogni tanto, si chiede quali siano i bisogni primari e quali siano quelli indotti?
È vero, posso essere felice nel comprare finalmente il copri-telefonino del colore che volevo. Anche questo è un piacere, mi direte voi. Ma è un piacere che deriva dal soddisfare un bisogno indotto (indotto da qualcun altro), e non primario.
Non è scritto nei nostri geni, il colore giusto che il nostro telefonino deve avere.
Ultimo punto: E allora, di fronte alla fatidica domanda: ma tu a cosa servi? Rispondo con orgoglio: io cerco di fornire piacere, che renda la nostra vita un poco più degna di essere vissuta.
Il 28 marzo di quest’anno il satellite Swift ha captato una emissione improvvisa in raggi X da un punto della Costellazione del Dragone (Draco).
Sulle prime si pensava che fosse un Gamma Ray Burst (vedi le curiosità di maggio 2009 e di maggio 2011), ma nel caso dei Gamma Ray Bursts l’emissione si spegne dopo qualche decina di secondi, mentre in questo caso l’emissione è continuata per giorni e giorni, variando la sua intensità anche più di cento volte.
A cosa è dovuta?
Ad una sorgente nella nostra Galassia, e quindi relativamente vicina, oppure a qualcosa di molto più lontano e potente in un’altra galassia?
Sulle prime si propendeva per una sorgente vicina, perchè qualche raro esempio di comportamento simile (accensione improvvisa della sorgente e grandi sbalzi del suo flusso) si erano già visti provenire da una particolare e rara famiglia di oggetti galattici.
Però, dopo pochissimo tempo, ci si è dovuti ricredere.
Infatti nella direzione di provenienza dei raggi X c’è una galassietta dall’apparenza innocua, più piccola e meno luminosa della Via Lattea.
La sorgente misteriosa coincide con il suo centro.
A questo punto abbiamo saputo la distanza di questa sorgente, che è di qualche miliardo di anni luce, cioè la luce che vediamo adesso è partita qualche milardo di anni fa.
Data la grande distanza, il flusso che riceviamo deve corrispondere ad una potenza enorme.
E quale macchina può fare, improvvisamente, delle potenze così grandi e poi durare così a lungo?
Non può essere uno scoppio simile a quello dei Gamma Ray Bursts, perchè questi ultimi durano molto meno; non può essere l’esplosione di una Supernova, perchè in questo caso non si fanno raggi X; non può essere l’emissione che spesso riceviamo dal centro delle galassie attive, perchè non è mai così variabile, e non si "accende" in modo così brutale.
Deve essere qualcosa che non abbiamo mai visto ... e quindi qualcosa che succede raramente.
Le idee hanno cominciato a fiorire immediatamente nella testa degli astronomi, e ben presto (solo qualche giorno dopo) è prevalsa l’idea seguente.
Nel centro di quasi tutte le galassie, compresa la nostra, c’è un buco nero enorme, che ha una massa da qualche milione a qualche miliardo di soli.
E più è grande la galassia, più è grande il buco nero.
Per esempio, il buco nero che abita nel centro della Via Lattea pesa quanto 4 milioni di Soli.
La stragrande maggiotanza di questi "mostri" sono "in letargo", cioè non fanno niente di eclatante.
Però nel centro delle galassie esiste anche una moltitudine di stelle, anzi il centro delle galassie è proprio il posto più affollato.
Ogni tanto può capitare che una stella si avvicini troppo al buco nero centrale.
La parte della stella più vicina al buco nero sente una gravità più forte della parte più lontana.
Per questo la stella viene "stirata", fino a rompersi.
Una parte dei "detriti" della stella cadono ancora più vicino al buco nero, e lo alimentano, provocandone il "risveglio".
La gravità è così grande da comprimere fortemente la materia che cade, che si scalda e produce luce.
Ma ancora non abbastanza, nel nostro caso ....
Occorre ancora qualcosa.
La cosa veramente curiosa che è successa al nostro mostro è che parte della materia e dell’energia liberata dalla caduta verso il buco nero hanno preso una strada opposta: invece di cadere nel mostro, sono state espulse a velocità vicine a quelle della luce in due getti in direzioni oppposte.
La velocità folle della materia nei getti fa sì che la luce venga emessa tutta davanti, lungo la direzione della velocità: ogni getto si comporta come un faro, molto direzionale.
È dal getto che provengono i raggi X che riceviamo.
Se fossimo fuori dal fascio di emissione, non vedremmo niente: siamo nel mirino di questo faro cosmico.
Questo significa anche che questi eventi devono essere abbastanza rari.
Se avessimo la possibilità di guardare sempre tutto il cielo nei raggi X, ne vedremmo circa uno all’anno ...
Intervista al responsabile italiano del satellite Swift, Gianpiero Tagliaferri da MEDIA INAF - Notiziario on-line di INAF
Articolo corrispondente su MEDIA INAF - Notiziario on-line di INAF
Torniamo all’argomento stelle di neutroni.
Una stella di neutroni nasce da una supernova e come abbiamo visto nella curiosità dell’ottobre 2010 ha una vita interessante se è in un sistema binario.
Alcune stelle di neutroni, in un certo periodo della vita del sistema binario, strappano materia alla stella compagna. Questa materia non soltanto le accelera fino a farle diventare pulsar veloci, ma cadendo sulla superficie dell’oggetto compatto forma una struttura a disco che emette radiazione di alta energia (che fa sì che possiamo vedere il sistema).
Ora, la materia che cade accelera la stella di neutroni, ma poi dove va a finire?
Rimane sulla superficie naturalmente. La crosta di una stella di neutroni è spessa solo un chilometro, ma la materia che si deposita forma uno strato molto molto più sottile, data la immensa pressione a cui è sottoposta, meno di un metro.
Dato che continua ad arrivare, si accumula. A un certo punto, le condizioni di temperatura e pressione diventano così estreme che in un punto di questo strato di materia (formata principalmente da idrogeno o elio) si innesca una reazione di fusione nucleare, la stessa che fa funzionare le stelle.
Rapidamente, il "fuoco" nucleare si propaga su tutta la superficie e lo strato di materia catturata letteralmente esplode, diventando in pochi secondi luminosissimo e espandendosi anche leggermente.
Si ha quello che si chiama un "burst termonucleare": in pochi secondi la stella di neutroni diventa luminosissima e quello che vediamo è in gran parte questa reazione nucleare.
Nel giro di qualche minuto è tutto finito e si torna alla situazione di prima, con nuova materia che arriva e si deposita.
Ci sono sistemi molto regolari che mostrano un burst ogni poche ore e sistemi in cui questo fenomeno è rarissimo.
Se le condizioni sono particolari, si può avere una reazione nucleare meno catastrofica, in cui la materia continua a "bruciare" con continuità.
Qual è l’importanza di questo fenomeno?
Viene dalla superficie della stella di neutroni e tutto quello che ci fa vedere la superficie è essenziale, dato che è l’unica parte della stella che possiamo vedere.
I burst sono usati anche come indicatori di distanza (per approfondire vedi la curiosità di novembre 2009).
Quando sono molto luminosi ci si aspetta che abbiano tutti la luminosità massima per un oggetto che accresce materia (la cosiddetta luminosità di Eddington). Dato che il raggio di una stella di neutroni più o meno lo conosciamo (dell’ordine di una decina di chilometri, e le misure più precise sono molto importanti per capire come è fatta dentro, vedi curiosità del febbraio 2011).
Sapendo quanto è la superficie che emette e la luminosità, si può stimare la distanza con una precisione non ideale, ma buona per gli standard astronomici.
Poi si vedono delle altre cose se si guarda al momento giusto, ma questo lo vedremo in una prossima curiosità.
Come si muore quando si viene inghiottiti da un buco nero?
Immaginiamo che il mostro sia la’, alla stessa distanza del nostro Sole dalla Terra.
Se il buco nero avesse la stessa massa del Sole, noi non avvertiremmo una maggiore gravità. La Terra, e noi con essa, continuerebbe ad orbitare intorno al nostro Sole-buco nero come se niente fosse.
Solo che non ci sarebbero più i giorni ... Non più luce. Ma per il resto, non saremmo attratti di più.
E allora, perchè si dice che il buco nero è un mostro di gravità? Che niente può sfuggirgli, neanche la luce?
Perchè il buco nero, a confronto con il nostro Sole, è molto più piccolo. E quindi possiamo avvicinarci molto di più.
Più piccola è la distanza che ci separa dal suo centro, maggiore la forza di gravità che sentiamo.
E se il nostro Sole diventasse davvero un buco nero (ma possiamo stare tranquilli, in realtà solo le stelle molto più grandi del Sole possono diventare buchi neri...), allora avvicinandoci a meno di 3 km dal suo centro saremmo spacciati, e saremmo condannati a essere inghiottiti.
Ma sarebbe davvero quella la nostra fine?
No, purtroppo succede qualcosa prima ... Almeno per buchi neri di taglia stellare.
Abbiamo appena ricordato che la forza di gravità dipende dalla distanza.
Quindi immaginiamo di stare cadendo, attratti dal buco nero, e di essergli vicino, ma ancora al di fuori del "raggio di non ritorno", cioè a più di 3 km dal suo centro.
Succede allora una cosa molto molto spiacevole ... I nostri piedi sarebbero più vicini al buco nero di quanto lo sia la nostra testa.
Quindi i piedi sarebbero "tirati" di più della nostra testa dalla forza di gravità.
La sensazione risultante sarebbe quella di essere stirati. Come se ci attaccassero collo e piedi ad una vecchia macchina di tortura, di quelle che stiravano i corpi dei poveri malcapitati.
Ad un certo punto lo stiramento si fa così grande che vince sui legami tra le molecole: il nostro corpo si spezza in due. E ben presto la stessa cosa succede alle due metà, anche loro sono stirate così tanto che si spezzano, e così via.
E non è finita.
La forza di gravità è sempre diretta verso il centro del buco nero (o di qualsiasi altro corpo).
Così tutte le linee di forza applicate al nostro corpo non sarebbero parallele, ma leggermente convergenti.
La sensazione risultante sarebbe quella di essere schiacciati. Effetto pasta di dentrificio fatta uscire dal tubetto ...
Alla fine, saremmo convertiti in una lunga fila indiana di atomi staccati tra loro, in caduta libera verso il centro del buco nero, come una fila di spaghetti.
Ed è per questo che il vero nome scientifico di questo processo di stiramento e di di schiacciamento è proprio "spaghettification" ...
Un nome, una garanzia.
La gara è iniziata negli anni ’20, quando si è scoperto che la nostra galassia non era l’unica nell’Universo, ma che ne esistevano molte altre.
Per un po’ i partecipanti alla gara erano solo della categoria "galassie", poi, all’inizio degli anni ’60, si sono aggiunti i partecipanti della categoria "quasar".
Mentre le galassie usano, per farsi vedere, solo la luce prodotta dalle loro stelle, i quasar usano un motore diverso: al loro centro hanno un buco nero grandissimo (tra un milione e un miliardo di masse solari), che attira la materia che passa li’ intorno.
La materia ci cade dentro, ma poco prima viene compressa e riscaldata così tanto da emettere luce.
Nonostante l’accusa di doping (avanzata dalle galassie), la giuria decretava che anche i quasar potevano continuare a gareggiare senza problemi, dato che non usavano nessun trucco: la fisica è la fisica...
I quasar, che nel frattempo erano balzati in testa alla gara, potevano così dormire sonni tranquilli.
E infatti così fecero, ma si adagiarono troppo sugli allori, nella certezza di una vittoria facile.
Non si accorsero che le galassie svilupparono una tecnica nuova per farsi vedere, ai limiti della fantascienza.
Ingaggiarono come coach niente di meno che Einstein, convinte (da lui) che una grande massa può funzionare da lente, e una lente può funzionare da telescopio.
Furono mandati talent scouts in giro per scoprire candidati ideali per fungere da lenti cosmiche.
Alla fine trovarono quello che faceva per loro: gli ammassi di galassie (Fig. 1).
Si fece un contratto, mentre i quasar dormivano.
Le prime prove furono incoraggianti: gli ammassi di galassie funzionavano davvero, anche se distorcevano un poco le immagini delle galassie, che risultavano allungate come in quegli specchi che smagriscono.
Poco male. All’inizio del terzo millennio le galassie tornavano in testa alla gara, tra il tripudio dei loro fan e le proteste (inutili) dei quasar.
Quasi nessuno si era accorto che dal 1997 si era aggiunta un’altra categoria di partecipanti: i Gamma Ray Bursts.
All’inizio non sembravano poi così pericolosi, come concorrenti.
Ma erano una categoria giovane, ben determinata e assolutamente agguerrita. Usavano tecniche nuove, per farsi scoprire.
Invece di usare luce visibile, usavano raggi X e raggi gamma. E li concentravano tutti in poco tempo, per fare un flash potentissimo.
All'inizio si era tutti così affascinati dai loro lampi da dimenticarsi quasi di guardarli anche dopo, quando finalmente c’era l’emissione in luce visibile e infrarossa, indispensabile per misurare la loro distanza ed essere così ammessi alla gara vera.
Quando lo si fece, la faccia dei giudici era incredula.
Si dicevano: ma come è possibile che una stella sola (non decine di miliardi, come le galassie, e non l’attrazione di buchi neri grandissimi, come i quasar) possa generare quelle incredibili potenze?
"È la fisica, bellezza!", rispondevano gli allenatori dei Gamma Ray Burst.
E lo scorso mese è avvenuto il sorpasso (Fig. 2) .
Chi conduce la gara, adesso, è un Gamma Ray Burst... Si chiama GRB 090423, che sta per 2009, Aprile 23, il giorno della scoperta (Fig. 3 - vedi il comunicato stampa dell’INAF-Istituto Nazionale di Astrofisica).
È la sorgente più lontana che conosciamo, scoppiata quando l’Universo era in fasce: dato che adesso ha 13,7 miliardi di anni, e possiamo dire che è adulto, quando ne aveva solo 630 milioni era un bambino.
Eppure già allora si formavano delle stelle, anzi delle stellone (dalla massa un centinaio di volte il nostro sole).
Stelle così grandi vivono una vita intensa, ma breve. In pochi milioni di anni nascono, vivono e muoiono.
La fine è un fuoco d’artificio doppio: gli strati esterni della stella scoppiano e formano una supernova, mentre il nucleo interno implode e forma un buco nero voracissimo, che attira e mangia in qualche secondo tanta materia quanta ne contiene il nostro Sole, e così facendo diventa il motore più potente che conosciamo: un Gamma Ray Burst, appunto.
Il 36enne Albert Einstein, nel 1915, pubblicava la sua teoria della relatività generale.
Era già famoso, dopo aver passato vari anni della sua vita a lavorare all’Ufficio brevetti di Berna di giorno, e a sconvolgere la fisica classica nel tempo libero (che non era molto, visto che doveva lavorare 8 ore al giorno per 6 giorni alla settimana...).
La sua nuova teoria soppiantava la teoria di Newton sulla gravità, e cambiava per la seconda volta (dopo la teoria della relatività speciale di 10 anni prima) la nostra concezione dello spazio e del tempo.
Le sue equazioni dicevano (e dicono tuttora) come lo spazio deve obbedire alla materia, incurvandosi, e come la materia deve muoversi nello spazio.
Poco più tardi, nel 1917, Einstein stava cercando di spiegare, con le sue nuove equazioni, nientemeno che l’Universo stesso.
Come stanno insieme le galassie? A quale forza di attrazione, dovuta alla gravità, devono soggiacere? E possono muoversi o devono rimanere ferme? E come è fatto lo spazio tra le galassie?
Quasi cent’anni più tardi la risposta sembra ovvia: c’è stato il Big Bang, l’Universo si sta espandendo...
Ma allora si stava giusto cominciando a discutere se esistevano altre galassie al di fuori della nostra...
Dobbiamo così apprezzare l’enorme importanza anche solo di farsi queste domande, indipendentemente dalla risposta.
Armato di comune carta e matita, ma di materiale cerebrale eccezionale, Einstein giunse ad una prima risposta.
Le galassie non potevano rimanere ferme. Potevano allontanarsi l’una dall’altra o avvicinarsi, ma non rimanere ferme.
Incredibile, direte voi: aveva scoperto l’espansione dell’Universo! 12 anni prima che si avesse la prima prova!
Infatti fu solo nel 1929 che Edwin Hubble scoprì che le galassie si allontanano l’una dall’altra. (vedi curiosità di gennaio 2009 L’inizio del tempo).
E invece lo stupito Einstein non era per niente contento. Fu assalito dal dubbio che nelle sue equazioni ci fosse qualcosa di sbagliato.
Com’era possibile pensare ad un Universo che cambia? Non poteva sopportarlo. Nessun poteva, in quegli anni.
Tutti erano convinti che l’Universo per definizione dovesse essere immutabile. Migliaia di anni di sedimenti culturali pesavano sulla mente di Einstein, spingendo la sconvolgente novità sempre più in basso.
Non poteva accettare che l’Universo cambiasse, ma non poteva neanche accettare l’idea che la sua costruzione intellettuale più straordinaria fosse sbagliata. Che fare?
La soluzione fu una specie di trucco lecito: invece di accettare la soluzione più semplice che le sue equazioni gli offrivano, decise di accettare la soluzioni, di poco più complicata, dove compariva un termine, una innocente costante, che lui chiamò con la lettera lambda (λ).
Piccola cosa permessa dalla matematica, ma dal grande effetto di cambiare un Universo in moto in uno fermo.
Corrisponde ad una proprietà dello spazio, qualcosa di misterioso, come se lo spazio stesso fosse una specie di molla che spinge, contrapponendosi alla gravità. La relatività generale è salva, l’immobilità dell’Universo è salva, si disse Einstein.
Lo possiamo immaginare affannato ma felice, seduto ad un tavolo che guarda compiaciuto la sua λ salvatrice appena comparsa sul foglio pieno di equazioni...
12 anni più tardi invece, un pugile professionista mancato, Edwin Hubble, scriveva su altro foglio di carta le distanze e le velocità di alcune galassie che erano state appena osservate da lui stesso...
E c’era una regolarità: le galassie più distanti si muovevano più velocemente lontano da noi.
A raccontarla così forse non si capisce la posta in gioco e l’eccitazione nella testa di Hubble. In fondo anche noi qualche volta guardiamo dei pezzi di carta con dei numeri che mostrano una regolarità, per esempio il nostro conto in banca che inesorabilmente diminuisce nel tempo... E siamo si’ presi da un brivido, ma di tristezza...
Invece le due file di numerelli che Hubble aveva davanti mostravano che l’Universo si stava espandendo. Altro che immobile...
Einstein si rese conto del treno perduto. Avrebbe potuto essere lui lo scopritore dell’espansione dell’Universo, se solo avesse dato più credito alla soluzione più semplice delle sue equazioni.
E allora disse, riguardando la sua λ: sei la mia più grossa cantonata!
E questa era la storia fino al 1979.
In quell’anno un 32enne fisico americano, Alan Guth, dopo aver assistito ad un seminario sul Big Bang, se ne andò a casa, cominciò a scrivere equazioni e idee su un block notes, seduto in poltrona, e vi rimase tutta la notte.
In quelle ore resuscitò λ dalla sua tomba, e le diede nuova gloria...
Poi, la mattina, corse in ufficio per annunciare la sua nuova scoperta e la resurrezione di λ.
Secondo Alan Guth, l’Universo appena nato aveva avuto una fase di crescita parossistica, una super-espansione molto, ma molto più veloce di quello che avviene oggi.
E poi, dopo un battito di ciglia, l’Universo aveva ripreso il suo ritmo normale.
E come facciamo ad essere sicuri che è andata proprio così?
Beh, come al solito: la teoria fa delle predizioni, e se le sbaglia allora abbandoniamo la teoria senza rimpianti, mentre se le imbrocca... E in anni recenti si sono avute conferme spettacolari dell’idea di Guth...
E così la bistrattata λ è tornata in vita... Perché è lei la responsabile della super-espansione... Come una molla compressa che scatta quando togliamo la sicura.
Ma non è finita qui.
C’è un’altra data da ricorda nella nostra storia. È il 1998.
Allora ben due gruppi di ricerca erano impegnati a scoprire supernovae (vedi curiosità di gennaio 2010 Fari nel buio).
La posta in gioco era grande. Con queste misure si voleva sapere se l’Universo si sarebbe espanso per sempre, seppur frenando un po’, oppure se si sarebbe fermato, per invertire il suo moto, per finire in un grande scontro finale, un Big bang al contrario (e infatti è stato chiamato Big Crunch).
Nessuno si aspettava che l’Universo, invece di rallentare la sua corsa, mostrasse segni di accelerazione! Oggi, dopo un po’ di anni, ne siamo un po’ più sicuri: l’Universo accelera! C’è qualcosa che è più forte della gravità (che tenderebbe a frenare), che spinge, invece di tirare... E ancora una volta guardiamo alla piccola λ: sarà lei la responsabile? Che vuole la sua grande rivincita?
Circa una volta al giorno, da punti impredicibili del cielo, riceviamo un lampo di raggi gamma, o Gamma Ray Burst, come vengono chiamati in inglese.
Durano circa 10 secondi, e per questo tempo sono le sorgenti più brillanti del cielo.
Sono stati scoperti nel 1969, anche se la notizia della loro scoperta è stata resa pubblica solo qualche anno dopo, nel 1973.
Per 30 anni gli scienziati hanno cercato disperatamente di capire cosa fossero, e solo nel 1997, grazie al satellite italo-olandese BeppoSAX, si è riusciti a localizzarli in maniera sufficientemente precisa da permettere di puntare i nostri telescopi a terra.
Si è quindi scoperto che oltre all’emissione di breve durata di raggi gamma c’è una emissione nella luce visibile, chiamata afterglow, che dura più a lungo, e che ha ci ha permesso di misurare la distanza di questi lampi.
Sono tra le sorgenti più lontane che possiamo vedere (vedi curiosità di maggio 2009).
La loro luce viaggia per miliardi di anni per arrivare fino a noi.
Se sono così lontani, eppure sono così brillanti, devono avere una potenza mostruosa.
E così è, infatti: i Gamma Ray Bursts in quanto a potenza sono secondi solo al Big Bang.
Oggi sappiamo che corrispondono alla morte violenta di una stella, e alla nascita di un buco nero nel suo centro.
Parte del materiale che circonda il buco nero neonato viene risucchiato dal vortice della sua gravità, ma una parte invece viene accelerata verso l’esterno, a velocità molto vicine a quella della luce.
È quest’ultima la responsabile di quello che vediamo.
Le energie in gioco sono pazzesche: un Gamma Ray Burst può emettere, in 10 secondi, quello che una intera galassia come la nostra (fatta di 100 miliardi di stelle) emette in 100 anni. E tutto proviene da una stella morente.
La maggior parte di questa enorme energia è emessa in raggi gamma e in raggi X.
Luce penetrante e pericolosa, come quella delle radiografie, ma fortunatamente la nostra atmosfera ci protegge e riesce ad assorbire praticamente tutti i raggi gamma e i raggi X di queste sorgenti.
Non per niente, per scoprirle, dobbiamo mandare degli strumenti in orbita, al di sopra dell’atmosfera.
Oggi sappiamo che nonostante ne vediamo circa uno al giorno, sono tutto sommato eventi rari: ce n’è all’incirca uno per galassia ogni 10 milioni di anni.
Ma seppur rari, anche nella nostra Galassia ne sarà capitato qualcuno, o magari capiterà.
Ed è legittimo chiedersi se un burst che scoppia vicino alla Terra possa farci del male.
Supponiamo allora che un Gamma Ray Burst scoppi nella nostra Galassia, a circa 3000 anni luce dalla Terra.
Lontanuccio, direte voi.
Vero, eppure non abbastanza lontano dal metterci al riparo da suoi effetti.
Bisogna però precisare subito una cosa: i Gamma Ray Bursts sono altamente direzionali, come dei cannoni, e la maggior parte di loro non "punta" verso la Terra.
Noi vediamo solo quelli che ci puntano addosso.
Supponiamo quindi che questo ipotetico burst posto a 3000 anni luce ci punti addosso.
Se succedesse, saremmo investiti, per circa 10 secondi, da una "luce" pari ad un centinaio di Soli.
Ma lo vedremmo?
Beh, se per "vedere" intendiamo con i nostri occhi, allora no, perchè il grosso di questa radiazione sarebbe in raggi X e gamma, non in luce visibile, quindi è probabile che vedremmo accendersi nel cielo, per dieci secondi, una stella magari brillante come Sirio, ma probabilmente niente di eccezionale.
Ma circa un minuto dopo, invece, vedremmo accendersi proprio lì, dove la nuova stella era appena scomparsa, un piccola stella brillante come il Sole, molto probabilmente non giallo come il Sole vero, ma blu.
Poi, dopo qualche altro minuto, il Sole blu diventerebbe invisibile.
Pensate a che spavento, e a quale meraviglia.
Ma ci sarebbero morti, o feriti, o danni?
No: per ora solo spavento e meraviglia. Il peggio deve ancora venire, il vero danno si deve ancora compiere, ed è dovuto ad un effetto sottile...
La radiazione del burst infatti inizia una catena chimica e alla fine di questo valzer chimico l’effetto netto è che si distrugge l’ozono (vedi box sotto).
Sappiamo tutti, in questi tempi di buchi dell’ozono, quanto questa molecola (fatta da tre atomi di ossigeno) sia importante per proteggere la vita sulla Terra: l’ozono assorbe circa il 98 per cento della radiazione untravioletta del nostro Sole.
Quindi se esplodesse un Gamma Ray Burst a 3000 anni luce dalla Terra, l’effetto principale sarebbe una diminuzione dello strato dell’ozono, e molti più raggi UV arriverebbero sulla superficie della Terra e soprattutto sulla superficie degli oceani.
Qui vive la base della catena alimentare degli animali: il fitoplancton.
Che purtroppo è molto sensibile alla radiazione UV: se ne arriva troppa, muore....
E con lui se ne potrebbero andare gli animali che si nutrono di fitoplancton, poi gli animali che si nutrono degli animali che mangiano il fitoplancton... e così via. Un discreto disastro.
Ed infatti è stato proposto che un Gamma Ray Burst scoppiato relativamente vicino alla Terra sia all’origine di una delle 5 grandi estinzioni di massa, quella dell’Ordoviciano, quando si estinsero circa un terzodelle specie viventi a quell’epoca, circa mezzo miliardo di anni fa.
BOX: Come viene distrutto l’ozono
Quando la radiazione principale, quella che dura 10 secondi, attraversa l’atmosfera,
incontra tantissime molecole di azoto, fatte da 2 atomi di azoto (N2, in simbolo).
Infatti la nostra atmosfera è fatta principalmente da azoto (per il 78 per cento) e da ossigeno (per il 21
per cento).
Il potere penetrante dei raggi X e gamma spacca molte molecole N2 e libera
gli atomi di azoto, che, quando sono da soli, trovano conveniente legarsi con
l’ossigeno, formando ossido di azoto (NO).
L’ossido di azoto, infine, si lega con l’ozono
(O3), per formare una molecola di biossido di azoto (NO2) e una molecola di ossigeno (O2).
Il biossido di azoto assorbe bene la luce visibile del nostro Sole (quello vero, giallo...).
Ci sarebbe insomma una situazione paradossale: la luce del Sole sarebbe un pochino di meno nella sua parte visibile, ma amplificata nella sua parte ultravioletta, che non viene più assorbita dallo strato protettivo di ozono.
Fino dall’antichità l’uomo ha dato nomi alle stelle.
Le stelle più luminose hanno nomi derivanti dall’arabo, dal latino o dal greco, come Capella (in latino piccola
capra), Altair (in arabo una abbreviazione dell’espressione aquila volante), Procione (che non ha nulla a che fare con l’animale omonimo, ma origina dal greco
prokyon, prima del cane, dato che precede Sirio).
I nomi che cominciano per "al"
sono di solito nomi di provenienza araba, con un’eccezione: la stella Albireo della
costellazione del Cigno. La stella aveva un nome greco che è stato tradotto
erroneamente in latino e poi considerato un errore di stampa di un nome arabo, per
cui qualcuno gli ha appiccicato il prefisso "al".
Le stelle però sono tante e non si è potuto dare nomi a tutte.
Diviso il cielo in costellazioni, ovvero in regioni che lo coprono completamente, si sono assegnate
delle lettere greche: la stella più luminosa della costellazione del Cigno è alpha
Cygni, la seconda è beta Cygni e così via. Ma anche quello non basta e si sono
scelti altri nomi molto meno interessanti.
Curiosamente, negli anni trenta per la compilazione dell’almanacco nautico della
aeronautica britannica (Royal Air Force - RAF), contenente le stelle più brillanti da usare per la
navigazione, ci si è accorti che due delle 57 stelle non avevano nome.
La RAF ha
insistito che tutte le stelle dell’almanacco dovevano avere un nome e così un
ufficiale si è inventato dei nomi. La stella più luminosa della costellazione del
Pavone è diventata Peacock (pavone in inglese, una scelta più che banale), mentre la stella epsilon nella costellazione Carina (la carena delle nave) è stata nominata Avior. Nessuno sa da dove venga o cosa significhi il nome Avior.
Sto divagando.
Un esempio di sistema di numerazione e nomenclatura che ha una storia molto meno
antica è quello delle sorgenti di raggi X.
La prima di queste, nella costellazione
dello Scorpione, è stata chiamata Scorpius X-1, la prima sorgente X della costellazione dello Scorpione. E così via.
È evidente che anche qui non si poteva
andare avanti molto e ben presto si è abbandonato il sistema, passando a dare nomi
consistenti di una abbreviazione del nome del satellite che ha scoperto la sorgente
e delle coordinate celesti della stessa.
Quindi per esempio "4U 1636-53" è una sorgente scoperta dal satellite Uhuru (il primo satellite per astronomia X),
catalogata nel quarto catalogo del satellite, e posizionata a ascensione retta 16 ore e 36 minuti, declinazione 53 gradi sud.
Non è bello come Albireo, conciso come
Cygnus X-1, ma non è impossibile da ricordare.
Da diversi anni si fa precedere una "J" alla parte numerica per specificare il sistema di coordinate preciso (l’asse della terra di sposta nel tempo e le stelle cambiano un po’ coordinate).
Il problema sorge quando la sensibilità e precisione degli strumenti sui satelliti migliora di
molto. È evidente che la precisione delle coordinate deve essere maggiore, e si
passa quindi a mostruosità come "XMM J004243.6+412519", sorgente scoperta dal
satellite europeo XMM-Newton.
Naturalmente la stessa sorgente può essere in cataloghi diversi e quindi avere nomi
multipli, come può essere associata a una stella che ha essa stessa i suoi nomi. Ad
esempio, 4U 1636-53 è anche conosciuta come SWIFT J1640.8-5343 (satellite Swift), o 1RXS J164055.5-534505 (primo catalogo della mappatura del cielo del satellite
ROSAT), oppure V801 Ara, una stella variabile nella costellazione dell’Ara.
Di solito si usa comunemente il nome più semplice da ricordare, ma non è una regola.
Chi scrive all’inizio della sua carriera cercava invano in un catalogo di
osservazioni qualche dato della sorgente brillante Vela X-1, prima di rendersi conto
che era catalogata come 4U 0900-40. Pochi saprebbero riconoscere lo stesso oggetto
dal nome 2MASS J09020686-4033168, corrispondente a un catalogo di stelle osservate
in ottico.
Insomma, come Shakespeare faceva dire a Giulietta,
"What’s in a name? That which we
call a rose by any other name would smell as sweet".
"Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo".
Prima della televisione digitale terrestre, potevamo accendere il nostro televisore non su uno dei nostri canali preferiti, ma su nessun canale.
Vi ricordate quelle schermate che sembravano puro rumore (Fig. 1)? Bene, circa l’un per cento di quel rumore proveniva in realtà dalla profondità remota dell’Universo, era la radiazione di fondo che si materializzava sul nostro televisore di casa.
Prodotta circa 380.000 anni dopo l’ora zero, il Big Bang.
Radiazione in viaggio da 13 miliardi e mezzo di anni, un resto fossile di un’epoca estremamente densa e calda, creata molto tempo prima che esistessero le stelle e le galassie.
Prodotta sin dai primi istanti di vita dell’Universo, è stata intrappolata per più di 300.000 anni dagli elettroni, condannata fino ad allora ad essere prigioniera di un flipper cosmico, a zig-zagare per l’Universo giovane.
Poi, all’improvviso, gli elettroni si sono uniti ai loro compagni naturali, i protoni, per dare origine agli atomi di idrogeno e di elio.
Così legati ai nuclei, gli elettroni hanno lasciato libera la radiazione, che fino ad allora non ha incontrato nessun ostacolo, nessuna antenna, fino alla nostra antenna televisiva.
In ogni momento, in ogni luogo dell’Universo, trovate circa 400 di questi fotoni primordiali in ogni centimetro cubo.
Se moltiplicate per il numero di centimetri cubi dell’Universo, viene un numero colossale. Ci sono circa un miliardo di questi fotoni per ogni protone (o elettrone) esistente. E tutti vagano senza sosta dall’inizio del tempo.
Sono testimoni delle piccolissime differenze di concentrazione di materia dell’Universo primordiale, che noi possiamo ancora oggi scoprire a patto di saper guardare con occhi accurati.
Possiamo addirittura fare la fotografia di come erano distribuiti questi fotoni al momento della loro liberazione, il 25 aprile di 13.5 miliardi di anni fa.
E scoprire che l’Universo non era esattamente uguale dappertutto.
Certo, le differenze erano piccole. Circa una parte su centomila.
Ma se siamo capaci di vedere queste differenze, possiamo fare una mappa delle piccolissime increspature, piccolissime differenze di temperatura e densità che col tempo hanno dato origine alle galasssie e agli ammassi di galassie.
Possiamo fare la foto dell’Universo bambino, o addirittura una ecografia dell’Universo embrione, prima della nascita di tutte le stelle e di tutte i corpi celesti come li conosciamo adesso.
E l’abbiamo fatta, questa ecografia. Anzi l’abbiamo fatta varie volte, con strumenti sempre più precisi.
L’ultima, in ordine di tempo, è stata fatta da un satellite chiamato Planck, in onore del fisico che nel 1900, con la sua spiegazione della radiazione prodotta da un corpo caldo, qualsiasi corpo caldo, ha rivoluzionato la fisica (Fig. 2 e Tab. 2 ).
E cosa abbiamo visto?
Abbiamo visto con un dettaglio senza precedenti le parti leggermente più calde e leggermente più fredde.
Abbiamo visto quanto sono grandi, e come sono distribuite. Le parti blu sono più fredde, quelle rosse sono più calde (Fig. 3).
Attenzione, la differenza in temperatura è solamente di una decina di milionesimi di grado. Una inezia. Però importantissima.
Se non ci fossero queste differenze noi non esisteremmo.
Infatti queste differenze minuscule di temperature stanno ad indicare piccole concentrazioni (o rarefazioni) di materia.
Con il tempo, i "grumi" sono diventati più densi, e hanno generato l’Universo come lo conosciamo adesso, dove in mezzo a colossali spazi vuoti troviamo concentrazioni di galassie.
La precisione delle misure permette di calcolare anche quanti anni ha l’Universo. Quanto tempo è passato dal Big Bang. 13,82 miliardi di anni (e non sentirli!).
Circa cento milioni di anni in più di quanto si credeva.
E sappiamo anche, con piu precisione, di cosa l’Universo è fatto. Per la gran parte, il 95 per cento, è fatto di energia e materia "oscura", oscura sia perchè non la possiamo vedere (non emette luce), sia perchè non sappiamo cosa sia. Solo il 5 per cento è fatto dalla materia che conosciamo, e di cui siamo fatti noi, il Sole, la Terra, le altre stelle, le galassie. Un misero 5 per cento.
Il nostro Universo dopo la missione Planck | |
---|---|
ETÀ | 13,82 miliardi di anni |
Energia oscura | 68.3% |
Massa Oscura | 26.8% |
Massa luminosa | 4.9% |
Scheda del satellite Planck | |
---|---|
Luogo di nascita | Europa |
Lancio | 14 Maggio 2009 |
Peso | 1.95 tonnellate |
Dimensioni | 4.2 x 4.22 metri |
Tempo di vita | minimo 15 mesi, dipendente dal degrado del sistema di refrigerazione |
Orbita | punto Lagrangiano L2, a 1.5 milioni di km dalla Terra |
Obiettivi |
1) contenuto dell’Universo; 2) conferma dell’inflazione; 3) scoprire quando l’Universo è stato ri-ionizzato; 4) cercare le onde gravitazionali primordiali |
Sono passati quasi 517 anni da quando il grido "Terra, Terra Terra!" è risuonato a bordo delle tre caravelle di Cristoforo Colombo.
Possiamo immaginare la felicità profonda di Colombo e dei suoi marinai quando sentirono quel grido.
Per loro, senza esagerazioni, era questione di vita o di morte, oltre che di soddisfazione per una fantastica scoperta.
Partiti credendo di raggiungere la Cina, avevano scoperto l’America..., a dimostrazione che non avevano una idea precisa di cosa li aspettava.
E i viaggi allora erano veramente pericolosi, in balia di venti e correnti imprevedibili, e di strumenti rudimentali per calcolare dove ci si trovasse.
E noi ci meravigliamo ancora, e ancora celebriamo, quel coraggio.
A proposito di coraggio: adesso sappiamo che l’Australia è stata raggiunta dagli esseri umani circa 40.000 anni fa, senza caravelle, ma con delle barchette commoventi e ridicole. Senza sestanti o bussole. Senza avere la minima idea di cosa ci fosse al di la’ del mare.
Per quanto incredibile possa sembrare, alcuni uomini presero il largo per navigare in mare aperto decine di migliaia di anni prima che Omero celebrasse Ulisse e il superamento delle Colonne d’Ercole. Probabilmete in molti morirono, ma alcuni ce la fecero, e raggiunsero l’Australia.
Il 21 luglio 1969 l’Uomo raggiunse e sbarcò sulla Luna.
Fu uno sforzo collettivo gigantesco, figlio di un misto di motivazioni nobili e meno nobili.
Fu uno sforzo promosso dalla guerra fredda e dalla voglia di rivincita degli americani, dopo lo scacco del primo bip bip dello Sputnik e del primo uomo in orbita, il russo Yuri Gagarin.
Ma fu anche una tappa fondamentale per l’umanità tutta.
E anche allora i pericoli erano molti, e i mezzi, tutto sommato, erano modesti, se paragonati all’oggi.
Pensate che la "potenza di calcolo", come si dice oggi, dei computer di bordo era equivalente alla vostra calcolatrice tascabile. Però, per quanto incredibile, affascinante, romatico, importante e fondamentale sia stato mettere il nostro piede sulla Luna, avevamo un vantaggio indiscutibile rispetto a Cristoforo Colombo: la Luna si vede, e si sa dov’è.
A bordo dell’Apollo 11 non c’era nessun astronauta-vedetta a gridare: "Luna, Luna, Luna!"
La sfida vera è trovare nuovi pianeti, nuove Terre.
Dimostrare che la nostra Terra non è sola, ma non è che uno dei miliardi di pianeti che orbitano attorno ad altre stelle.
Ed è da una ventina d’anni che la sfida è stata raccolta e vinta: a tutt’oggi sono stati scoperti circa 300 pianeti extra-solari.
Come mai li abbiamo potuti scoprire solo così recentemente? Perchè per scovarli ci vogliono degli strumenti precisi, così precisi da rilevare dei movimenti periodici piccoli della stella attorno a cui i pianeti orbitano, oppure che possano rilevare delle differenze minuscole del flusso della stella, quando il pianeta le passa davanti (cioè si pone fra la stella e noi).
Per ora queste tecniche riescono a scoprire pianeti grandi, come il nostro Giove o più, ma presto le tecniche miglioreranno, e così finalmente potremo di nuovo gridare: "Terre, Terre, Terre!"
Non si può andare più veloci della luce, vero?
Vero, ma perché me lo chiedi? Ormai lo sanno tutti...
Perchè ho letto che esistono delle sorgenti cosmiche superluminali, che invece si muovono a velocità più grandi di quella della luce!
Altolà: sembrano muoversi più veloci della luce, che è un’altra cosa...
Spiegati meglio.
Va bene è una storia lunga ma cerco di farla breve...
Allora, è da qualche decennio che abbiamo imparato ad osservare il cielo con i radiotelescopi, e non con uno solo alla volta, ma addirittura con una schiera di paraboloni, distanti anche migliaia di km, tutti che guardano la stessa cosa.
E che vantaggio c’è?
Se facciamo così riusciamo a vedere dei dettagli incredibili. È come se potessimo distinguere, guardando da Milano, se uno a Palermo ha in mano una monetina da cinque centesimi di euro o una moneta da un euro. Mica male no? Adesso pensa a delle sorgenti lontane miliardi di anni luce. Riusciamo a distinguere dei particolari grandi poco più di un anno luce. Un anno luce sembra tanto, ma ti assicuro che per quelle distanze è un bel risultato!
E cosa c’entra con l’andare più veloci della luce?
Aspetta, adesso ci arrivo. Pensa adesso di fare delle mappe radio di queste sorgenti lontanissime, come delle fotografie. Pensa di farne una ogni anno, della stessa sorgente... Tu guardi la prima e noti una zona centrale molto brillante e poi delle macchie tutte allineate. Sembrano formare un getto, come quella che vedi in Fig. 1, che mostra appunto il getto di una di queste sorgenti. Adesso immagina che la "foto" che fai l’anno dopo non sia esattamente la stessa, ma mostri che le macchioline - che noi astronomi chiamiamo "blobs" - si siano spostate, verso l’esterno. E così quella che fai l’anno dopo ancora. E così via.
Le blobs sembrano essersi mosse lungo la stessa direzione, quella del getto. Un po’ come nella Fig. 2.
Beh, ma saranno spostamenti minuscoli...
Cucù minuscoli! Sembrano minuscoli sullo schermo del tuo computer, ma prova a pensare: quella sorgente è a miliardi di anni luce da noi, e qualsiasi piccolo spostamento corrisponde a distanze enormi... Possiamo fare il conto. Guarda la copertina di Nature in Fig. 3: mostra quattro mappe radio, diciamo 4 foto, e ti fa vedere che nel luglio 1977 c’era una blob a 62 anni luce di distanza dal centro, mentre 3 anni dopo, nel luglio 1980, la blob era a 87 anni luce...
Aspetta, faccio il conto io: in tre anni si è quindi fatta 87-62.... ah, 25 anni luce, che fa 8.3 anni luce all’anno...
Non ti semba strano? in un anno la luce fa un anno luce, no? Invece la blob sembra muoversi più velocemente. E mica di poco: ha più di 8 volte la velocità della luce!
Ma non mi avevi detto che c’era il trucco? Fin qui sembra tutto regolare!
No, il trucco c’è. Pensa che il trucco è stato pensato perfino prima della scoperta...
È come se tu avessi scoperto il trucco di un prestigiatore prima che quello inventasse il numero da fare al suo spettacolo.
Non è facilissimo da spiegare, però.
Devi prima di tutto pensare a quello che abbiamo fatto. Abbiamo fatto delle mappe radio e abbiamo diviso una distanza (25 anni luce) per un tempo (3 anni, il tempo tra la prima e l’ultima foto). Fin qui, niente di strano. Adesso però immagina che la blob si muova velocemente sì, ma un pochino meno della velocità della luce, e che si muova quasi esattamente nella nostra direzione. Attenzione, ho detto quasi esattamente, non proprio esattamente. Mi segui?
Comincio a fare fatica, perché non capisco dove vuoi arrivare...
Adesso arriva il bello. Però devo farti un disegnino (Fig. 5). Immagina che la blob si trovi nel punto A e quando passa di lì emette le sue onde radio che ci raggiungeranno -diciamo- nel 2000. La macchiolina va quasi alla velocità della luce, facciamo il 95 per cento.
10 anni dopo, si trova a passare dal punto B e lì manda il suo secondo impulso di onde radio. Queste onde, però, non ci raggiungono nel 2010, ma prima...
Ma no, ma se la blob le ha fatte 10 anni dopo...
Sì, ma queste devono fare meno strada per raggiungerci. Perche' nei dieci anni che sono passati, la blob si è mossa verso di noi, e ha fatto un bel po’ di strada... un po’ meno di 9 anni luce nella nostra direzione... Quindi le onde radio emesse 10 anni dopo devono fare circa nove anni luce in meno delle onde del primo impulso, e ci raggiungeranno nel 2001.
A noi sembrerà allora che sia passato poco più di un anno, mentre in realtà il secondo impulso è stato fatto 10 anni dopo. Cominci a capire?
Quasi... Mi stai truccando il tempo.
Ma no, pensa che potrei farti la stesso esempio con un treno....
pensa ad un treno che vada al 90 per cento della velocità del suono (che è 330 metri al secondo, quindi il treno va a 300 metri al secondo). supponi che vada dritto, e di essere sui binari davanti al treno (ma molto distante, altrimenti ti spiaccica).
Adesso immagina che il manovratore faccia fischiare la sirena quando il suo orologio fa le 10.00 esatte, e poi una seconda volta 10 secondi dopo.
Tu che intervallo di tempo misurerai?
No, dai, qui mi fai un trucco e mi fai fare brutta figura. Mi rifiuto di rispondere...
Ma no, non c’è trucco non c’è inganno.
Hai che le onde sonore vanno a 330 m/s, e il treno va a 300 m/s.
Quindi, dopo 10 secondi, il fronte delle onde sonore (il primo fischio) sopravanza il treno di 300 metri
[10 secondi per (330-300) m/s]. E parte il secondo fischio. Una volta partite, le onde sonore del secondo fischio hanno la stessa velocità delle onde sonore del primo fischio, e quindi i due "fischi" rimangono separati di 300 metri, e tutti e due viaggiano a 330 metri al secondo.... Quando senti il primo fischio, il secondo è solo 300 metri indietro, e arriverà in poco meno di un secondo...
Mi sono perso...
Riprenditi! Tutto l’ambaradan della faccenda è che noi misuriamo un tempo (il tempo tra le due mappe radio, il tempo tra i due fischi) e crediamo che quello sia anche il tempo passato tra le accensioni della blob o tra le due fischiate del treno.
Invece no... Se la blob (o il treno) va forte, allora è come se "rincorresse" la luce (o il suono) che emette, e la sua seconda emissione deve fare meno strada...
Quindi è il tempo di ricezione che è molto più breve di quello di emissione?
Bene hai capito tutto!
Qui sulla Terra siamo immersi in un mare di atomi e di molecole.
In un centimetro cubo di aria ci sono circa 27 miliardi di miliardi di molecole (2.7x1019, per gli esperti).
È un numero così grande che non si riesce ad immaginare: se ogni molecola d’aria fosse lunga un centimetro, e le mettessimo una dietro l’altra, faremmo una fila indiana lunga 27 anni luce...
E quanto pesa un centimetro cubo di aria? Poco, circa un milligrammo.
Ogni volta che respiriamo i nostri polmoni si riempiono di circa 4 litri d’aria, cioè di centomila miliardi di miliardi di molecole.
Durante la nostra vita è praticamente sicuro che inspiriamo parecchie molecole che hanno inspirato altri esseri umani. Qualche molecola respirata da Leonardo da Vinci è passata o passerà anche per i nostri polmoni...
Sappiamo tutti che in alta montagna l’aria è più rarefatta, perchè ogni centimetro cubo contiene meno molecole, e infatti dobbiamo moderare gli sforzi, perchè insipiramo meno ossigeno.
Però ad un’altezza di 3000 metri ci sono ancora parecchi miliardi di miliardi di molecole d’aria per ogni centimetro cubo.
Man mano che si sale la densità dell»aria diminuisce, tanto che solo persone allenate riescono a scalare l’Everest senza bombole, e a 10,000 metri rischiamo di morire. Ma saliamo ancora.
A 50 km di altezza la densità dell’atmosfera è scesa di 1000 volte rispetto a quella al suolo, e a 100 km di altezza la densità è "solo" un milionesimo.
Questo vuol dire che un centimetro cubo contiene "solo" 27 mila miliardi di molecole...
All’altezza della stazione spaziale internazionale (circa 350 Km) o dello Shuttle in orbita la densità è all’incirca mille miliardi di volte meno che alla superficie (cioè ci sono circa 27 milioni di molecole per ogni centimetro cubo).
Questo valore di densità è simile a quella del miglior vuoto che riusciamo a creare in laboratorio: 3 milioni di molecole per centimetro cubo.
Ma siamo ancora lontani dal "vuoto", non credete?
Proviamo allora ad avventurarci nello "spazio aperto", lontano dalla nostra Terra.
Nel nostro sistema solare la densità dipende dalla distanza dal Sole, che con le sue "eruzioni" inietta grandi quantità di materia nello spazio.
Non stiamo però parlando di molecole, ma di singoli nuclei di idrogeno, cioè di protoni.
Dalle parti dell’orbita della terra il vento solare è di circa 5 protoni per centimetro cubo, ma può arrivare fino a 100 protoni per centimetro cubo a seguito di grandi "eruzioni" solari.
Oltre ai protoni, esistono però anche altre particelle più strane, come neutrini e fotoni.
I neutrini provengono dal centro del Sole, proprio dove avvengono le reazioni termonucleari che lo tengono acceso, e i fotoni non sono altro che le particelle di luce che provengono dalla superficie del Sole.
Man mano che ci allontiamo dal Sole il numero di tutte queste particelle diminuisce: sarà possible quindi raggiungere il Nulla, se ci allontiamo abbastanza? Andiamo a vedere.
Siamo ormai nello spazio tra le stelle, lontano dal Sole e da ogni altra stella.
Ebbene, anche qui lo spazio non è proprio vuoto: c’è un protone ogni centimetro cubo.
D’accordo, è quasi niente, ma non è il nulla.
Oltre a questo unico protoncino per centimetro cubo troviamo anche qualche raro raggio cosmico che sfreccia via ad altissime velocità e gli onnipresenti fotoni.
E allora continuiamo il viaggio, ed andiamo addirittura fuori dalla nostra galassia.
Abbiamo finalmente raggiunto il vuoto assoluto? No, neanche qui.
Dobbiamo però cambiare scala, invece di particelle per centimetro cubo dobbiamo adesso parlare di particelle per metro cubo (un metro cubo è un milione di volte più grande di un centimetro cubo).
In media troveremmo un protone per ogni metro cubo, ma noteremmo anche una grande diversità: ci sono filamenti cosmici dove ci sono 10 o 100 protoni per metro cubo e grandi "vuoti cosmici" dove la densità è 10 volte minore della media.
Tutto qui? No, anche se fossimo in un "vuoto cosmico", dove ogni protone "occupa" 10 metri cubi, troveremmo sempre dei fotoni onnipresenti, di cui non riusciamo a liberarci.
Sono i fotoni della radiazione di fondo, quella generata durante il Big Bang, che da allora viaggiano imperterriti.
Sono circa 400 fotoni per ogni centimetro cubo. E altrettanti neutrini, anche loro nati durante il Big Bang.
E per quanti sforzi facciamo, di loro proprio non riusciamo a liberarci.
Ma c’è stata un’epoca in cui il vuoto esisteva? Magari tanto tempo fa? No, dato che l’Universo si sta espandendo, nel passato era più denso, e quindi meno vuoto...
E nel futuro? Beh, proprio per via dell’espansione, lo spazio tra i grandi ammassi di galassie, che adesso sono i luoghi più vuoti dell’universo, saranno ancora più vuoti.
Per ogni centimetro cubo, ci saranno meno fotoni e neutrini nati nel Big Bang. Potreste pensare che quindi è solo questione di tempo: basta aspettare, e il Nulla conquisterà zone sempre più vaste dell’Universo.
Ma questo è vero solo in parte, cioè per quelle particelle "normali"che conosciamo bene.
In realtà però la fisica moderna è arrivata a dimostrare che il Nulla assoluto non può proprio esistere.
Per quanto bizzarro possa sembrare, la natura si ribella al vuoto assoluto: non lo permette.
Il modo con cui lo fa è curioso: fa vivere e morire delle particelle per brevissimo tempo.
Quanto più grossa è la particella, tanto più breve è la sua effimera vita.
Tanto effimera che queste particelle vengono chiamate virtuali. Tutto lo spazio pullula di questa attività, di questo ribollire ultramicroscopico.
Anche quello tra le galassie. Quindi anche nel futuro, quando la densità delle particelle normali sarà sempre più piccola, esisteranno sempre queste particelle virtuali ad abitare lo spazio, e la loro densità sarà sempre la stessa, indipendentemente da quanto l’Universo si sarà espanso.
Saranno loro ad abitare per sempre lo spazio, dandosi il cambio in continuazione...
In una bella nottata serena possiamo vedere un gran numero di stelle a occhio nudo.
L’assenza di nubi nell’atmosfera permette alla debole luce stellare di raggiungerci,
anche se naturalmente l’atmosfera assorbe sempre molto e non averla sarebbe molto
utile (anche se, purtroppo, letale).
Il telescopio spaziale Hubble supera questo
problema stando in orbita intorno alla terra, a un’altezza tale che l’atmosfera è
praticamente inesistente.
Però non abbiamo solo la luce visibile, le radiazioni elettromagnetiche vanno dalla
banda radio (bassa energia e grande lunghezza d’onda) ai raggi gamma (alta energia e piccola lunghezza d’onda).
La nostra atmosfera è completamente opaca alla maggior parte della radiazione elettromagnetica. Solo alcune "finestre" sono aperte fra cui
naturalmente quella visibile con i nostri occhi.
Ad esempio, i raggi X e gamma non arrivano fino alla superficie della terra, il che è un bene perché sarebbero
estremamente nocivi.
Il problema però non è limitato all’atmosfera.
Lo spazio interstellare all’interno della nostra galassia è vuoto, ma non così tanto.
La densità media del gas è di circa 1 atomo per centimetro cubo (nell’aria che respiriamo ci sono dieci
miliardi di miliardi di atomi per centimetro cubo).
In più c’è una piccola
percentuale di polvere, sotto forma di piccoli granelli. Naturalmente ci sono anche
nubi interstellari e nebulose dove la densità è più grande, ma lasciamole stare per
il momento.
Con un atomo per centimetro cubo potrebbe sembrare che il problema della trasparenza
non sia poi così grande. In realtà non dimentichiamo che la densità sarà anche
minima, ma le distanze sono enormi. Proviamo a fare un breve conto.
Facciamo un anello con indice e medio della mano, con il buco centrale della dimensione di circa
un centrimetro quadrato. Puntiamo il nostro "telescopio" artigianale verso la stella
più vicina, Proxima Centauri, che sta a "solo" 4.2 anni luce da noi.
4.2 anni luce sono circa 4 miliardi di miliardi di centimetri. Questo vuol dire che
la luce di Proxima Centauri che passa per il nostro anello ha
incontrato 4 miliardi di miliardi di atomi, più la polvere. Insomma, la galassia non
è proprio trasparente.
Sempre tralasciando le nubi interstellari, spostiamoci in direzione del centro della
nostra galassia, a 27mila anni luce da noi nella direzione della costellazione del
Sagittario.
Stiamo guardando nel piano della nostra galassia, quindi l’assorbimento
si fa pesante. La polvere che assorbe la radiazione visibile fa sì che le stelle
vengano assorbite moltissimo, tanto che quelle più deboli diventano inosservabili.
Il gas invece assorbe la radiazione a più alte energie: i raggi X vengono assorbiti
e tutto diventa più difficile da osservare.
Dato che guardiamo a una distanza 6500
superiore a quella di Proxima Centauri, l’assorbimento è 6500 volte più forte.
Come nel caso dell’atmosfera terrestre, ci sono lunghezze d’onda di radiazione a cui
la galassia è molto più trasparente: per esempio nell’infrarosso si può addirittura
guardare attraverso le nubi più dense.
Inoltre non è necessario guardare in direzione del centro della galassia, e quindi all’interno del disco della via
lattea. Se guardiamo fuori dal disco, lo spessore della galassia è molto minore e
al suo esterno c’è lo spazio integalattico, dove la densità è molto minore.
Si può vedere più lontano senza avere problemi di assorbimento, ma attenzione: le distanze
sono molto maggiori e il problema non è competamente risolto.
Insomma, nulla è completamente vuoto e quindi nulla è completamente trasparente.
Il 15 Febbraio 2013 ha visto una straordinaria coincidenza: all’alba, in Russia, un asteroide è entrato in atmosfera ed è esploso, provocando un migliaio di feriti, e alla sera un altro asteroide, chiamato 2012 DA14, è passato ad "appena" 27700 km dalla Terra.
Quello che ha fatto più impressione è stato certamente l’asteroide russo, anche perchè ha prodotto danni notevoli a cose e persone, anche se fortunatamente nessun morto.
È caduto in una zona relativamente popolata, in una zona della Russia dove tanti automobilisti hanno una telecamera a bordo della macchina, per premunirsi in caso di incidente.
La scia e lo scoppio dell’asteroide sono stati inquadrati benissimo, diventando dei video popolarissimi sul web (vedi anche APOD del 18 febbraio 2013).
Quanto era grosso?
Si stima che avesse un diametro di circa 15 metri. Non sappiamo la sua composizione, quindi il suo peso, ma una stima è che avesse una densità di circa 2600 kg per metro cubo. Quindi una massa totale di 4.600 tonnellate (calcolato facendo densità per volume).
Qual era la sua velocità
All’ingresso in atmosfera le stime variano da 17 a 30 km/s. Una velocità molto grande: dai 61mila ai 108mila km/h. Queste sono comunque le velocità "tipiche" degli asteroidi, prima che l’attrito dell’aria li rallenti. 30 km/s è anche la velocità della Terra nella sua orbita intorno al Sole. A questa velocità potremmo andare sulla Luna in meno di 4 ore.
I danni:
circa 1000 persone ferite. Ma non direttamente dall’asteroide, bensì dall’onda d’urto provocata dal suo scoppio, che ha spaccato migliaia di finestre. Le persone sono state ferite soprattutto dalle schegge di vetro.
Quanta energia?
Si può fare una stima sapendo la massa e la velocità dell’asteroide. L’energia cinetica è E=(1/2) mv², quindi ipotizzando una massa di 4600 tonnellate e una velocità di 17 km/s troviamo una energia corrispondente a 160 volte quella della bomba atomica di Hiroshima. Questa è una buona stima dell’energia totale: l’energia dello scoppio sarà un po’ meno.
È un evento raro o comune?
Esiste una stima della probabilità che un asteroide di una data dimensione caschi sulla Terra. Innanzitutto: ci sono molti più asteroidi piccoli di quelli grandi, e quindi il rischio che ci caschi addosso un asteroide grande è molto minore del rischio d’impatto con un asteroide piccolo. La Figura 5 in basso a destra fa vedere ogni quanti anni ci aspettiamo l’impatto con un asteroide di una data dimensione. Un asteroide di 15 metri di diametro, come quello russo, ci cade addosso - in media - ogni 27 anni: circa 4 al secolo. Non è quindi un evento molto raro. Invece un asteroide di 50 metri ci cade addosso ogni 700 anni circa. Si pensa che l’asteroide che è esploso nel 1908 a Tunguska (bruciando milioni di alberi), fosse di quel tipo.
È solo una coincidenza che il 15 Febbraio avessimo due asteroidi nelle vicinanze?
Si’, assolutamente. Le loro orbite erano molto diverse. Non c’è nessun nesso tra i due, solo il caso ha voluto che passassero qui vicino proprio lo stesso giorno.
Perchà l’asteroide russo non è stato previsto?
In parte perchè era troppo piccolo. Esistono programmi di osservazione per catalogare tutti gli asteroidi di dimensioni superiori ai 150 metri, ma non corpi più piccoli. E poi l’asteroide russo era nel cielo di giorno (prima dell’impatto), e quindi non era visibile.
Quando arriverà "the big one"? Che cosa intendiamo per "big one"?
Beh, un asteroide così grande da provocare la nostra estinzione, insieme a quella della maggior parte degli organismi viventi.
Ma davvero potrebbe esistere questa possibilità? Si’, anzi, è già successo varie volte ... L’ultima è la famosa estinzione dei dinosauri, avvenuta 65 milioni di anni fa.
Ci sono molte ragioni per credere che il responsabile sia stato un asteroide delle dimensioni di 10 km. Un impatto con un mostro del genere avviene ogni centinaio di milioni di anni. Che è un tempo lungo, ma se pensiamo all’età della Terra (4.5 miliardi di anni), scopriamo che sono già avvenuti 45 disastri di questo tipo, senza contare che quando il Sistema Solare era nella sua infanzia, c’erano molti più asteroidi in giro, e quindi gli impatti erano molto più frequenti di adesso ... L’energia sprigionata da un evento del genere è veramente grande, tanto che si fa fatica a rendere l’idea.
Proviamoci: secondo la nostra formula [E=(1/2) mv²], è 300 milioni di volte l’energia dell’asteroide russo, quindi circa 47 miliardi di volte la bomba atomica di Hiroshima. Dato che sulla Terra ci sono circa 7 miliardi di persone, è come se ci toccassero 7 bombe atomiche di Hiroshima a testa ...
Potremmo salvarci? Se ci cadesse addosso sul serio no, ma per quell’epoca potremmo avere la tecnologia necessaria per avvistarlo per tempo, calcolare con precisione la sua orbita, e nel caso deviarla un pizzico, in modo che ci passi vicino, ma non ci becchi (vedi anche APOD del 21 febbraio 2013).
Quando non c’erano le luci elettriche, e le notti erano buie, l’umanità guardava il cielo per molto più tempo di adesso e lo conosceva molto meglio di noi.
L’impressione di essere sovrastati da qualcosa di grande e maestoso ha fatto sì che il Sole, i pianeti e la Luna fossero identificati con divinità.
Dall’alto degli ziggurat, gli astronomi babilonesi di 4000 anni fa già registravano le posizioni dei corpi celesti, che identificarono con le loro divinità.
Per farlo, inventarono il sistema sessagesimale, che usiamo ancora oggi quando dividiamo un cerchio in 360 gradi, ogni grado in 60 minuti, e ogni minuto in 60 secondi.
Nella ricca Mesopotamia (la terra tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate), gli astronomi babilonesi, scoprirono che ogni 365 giorni il cielo si ripresentava uguale, e che la luna compiva il suo ciclo in poco più di 29 giorni. E questo ciclo si poteva dividere in 4 parti: luna nuova, primo quarto, luna piena, ultimo quarto, e nuovamente luna nuova.
Era quindi naturale pensare all’anno e al mese come divisioni naturali del tempo.
Scrutando attentamente il cielo ogni notte, si scoprì che c’erano sette corpi che cambiavano posizione rispetto alle stelle fisse.
Erano, e sono, il Sole, la Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno.
Cioè i 5 pianeti visibili ad occhio nudo più il Sole e la Luna.
La parola "pianeta" deriva dal greco "planetes asteres", cioè stelle erranti, stelle vagabonde, e il nome includeva anche il Sole e la Luna.
In Mesopotamia, si credeva che gli dei si prendessero cura di ogni giorno, ma a turni di un’ora ciascuno.
Il nome del giorno è derivato quindi dal dio a cui toccava la prima ora.
Naturalmente i nomi degli dei sono cambiati, ma gli dei sono gli stessi: il dio associato alla luna "governava" il lunedì anche nei tempi antichi, il dio associato a Marte il martedì, e così via.
La suddivisione in sette giorni non fu adottata subito da tutti i popoli antichi.
Gli antichi romani, per esempio, suddividevano il mese, che era di 30 o 31 giorni, in nundine che erano di 8 giorni.
Ma già nel primo secolo dopo Cristo la divisione in settimane di 7 giorni era diventata popolare.
I nomi latini dei giorni erano:
Da notare che i Cristiani, all’inizio, onoravano il sabato, come gli Ebrei.
Anche il nome "sabato" è in realtà associato al pianeta Saturno: in ebraico il nome del pianeta è "Shabtai" che significa "pianeta del sabato".
Con il passare del tempo però il giorno dedicato al Signore passò dal Sabato al giorno successivo, per onorare la resurrezione di Gesù.
L’imperatore Costantino (274 - 337 d.C.) nel 313 d. C. diede libertà di culto ai romani, e nel 321 d.C. cambiò il nome del dies Solis in dies Dominica.
Ma se pensiamo all’inglese (Saturday e Sunday) è evidente che nel mondo anglosassone il nome del sabato e della domenica hanno mantenuto l’origine antica.
Anche se non ce ne accorgiamo, i nostri legami con il cielo sono più forti di quanto pensiamo ...
No, non sono le candele della nostra auto, nè quelle di cera, anche se la luce c’entra.
Tanta luce. Le Candele Standard sono delle sorgenti astronomiche che emettono sempre la stessa quantità di luce.
Hanno cioè, tutte, la stessa luminosità.
Per anni sono state una chimera, per gli astronomi, alla ricerca di un modo sicuro per misurare le distanze.
Sí; perchè non è mica facile misurare distanze grandi, come quelle che ci separano dalla nostra galassia gemella più vicina, la galassia di Andromeda.
Infatti, se ci pensate un momento, vi chiederete subito: ma come diavolo si fa a sapere quanto è distante la galassia di Andromeda?
Non c’è mai stata nessuna sonda con il suo bravo contachilometri ad essere andata fin là...
I metodi tradizionali, che si usano per sapere la distanza Terra-Luna, la distanza dei pianeti dal sole e così via, sono basati sulle leggi di Keplero: in pratica si usa il fatto che per rimanere in orbita vicino al Sole dobbiamo viaggiare alla velocità giusta, sennò la gravità ci farebbe cadere sul Sole stesso, oppure, se andiamo troppo veloci, non saremmo più legati al Sole e cominceremmo a vagare per lo spazio.
Ma questo metodo vale per pochi oggetti vicino a noi, come i pianeti, appunto, oppure qualche stella doppia, in orbita una intorno all»altra, e per i pianeti extrasolari scoperti esistere attorno ad altre stelle.
Ma se vogliamo misurare la distanza addirittura di un’altra galassia, allora questi metodi non bastano.
Gli astronomi del secolo scorso pensavano: sarebbe bello se scoprissimo che un tipo particolare di stelle ha sempre la stessa luminosità, così il solo fatto di misurare quanta luce arriva fino a noi ci farebbe scoprire la sua distanza: se la stella appare fioca sarà molto distante, mentre se al contrario è molto brillante, beh, allora deve essere molto vicina.
Ma come facciamo ad essere sicuri che quella che stiamo guardando è proprio il tipo di stella giusto?
Le stelle sono così varie... Beh, però ci sono quelle grandi (cioè con una massa più grande del nostro Sole) e blu, quelle piccole e rosse... Magari possiamo usare solo le stelle blu... Ma non è così semplice, perchè qualche volta succede che anche delle stelle piccoline diventano molto calde, e quindi blu, ma hanno una luminosità diversa dalle altre.
Che fare allora? Beh, si dice che la fortuna aiuta gli audaci, ma non è sempre vero.
A volte la fortuna aiuta i pazienti. Come Henrietta Leavitt, che lavorando duramente, per anni, sulla lastre fotografiche prese all’Osservatorio dell’Harvard College, negli Stati Uniti, nel 1912 pubblicò una scoperta grandiosa, nonostante, a quel tempo, alle donne non fosse permesso di manovrare i telescopi...
Henrietta Leavitt notò che c’erano alcune stelle che variavano la loro magnitudine, in modo regolare, secondo un ciclo che poteva durare qualche giorno.
Scoprì anche che quelle più luminose avevano un ciclo (un periodo) più lungo.
Aveva soperto le stelle Cefeidi, le prime candele standard della storia.
Per la prima volta si potevano misurare le distanze veramente grandi.
E infatti, qualche anno dopo, agli inizi del 1920, Edwin Hubble riuscì a identificare alcune Cefeidi in quella che allora si chiamava la "nebulosa" di Andromeda (vedi: http://apod.nasa.gov/apod/ap960406.html ).
E quindi riuscì a misurarne la distanza, che poneva la "nebulosa" di Andromeda addirittura al di fuori della nostra Galassia.
Fino ad allora si pensava che la nostra galassia, la Via Lattea, fosse l’intero Universo.
Ma non è così: l’Universo è molto, molto più grande!
Alla prossima puntata per saperne di più...
In montagna, in una notte tersa e senza luna, guardate il cielo: quante stelle vedete?
Sembrano tante, (milioni?) ma sono meno di tremila. E sono tutte abbastanza vicine alla Terra: nel senso astronomico, si intende, per cui mille anni luce sono una inezia.
Chissà se ci sono dei pianeti che girano intorno a qualcuna di quelle stelle. E chissà se sono pianeti grandi come il nostro Giove, o piccolini come il nostro Mercurio, oppure se ce n’è qualcuno grande come la Terra...
Ve lo siete mai chiesto? Sicuramente sì.
Per millenni l’umanità non ha potuto rispondere sul serio a questa domanda, e ha cercato di fare del proprio meglio inventandosi fiabe mitologiche e religiose.
Da una quindicina di anni, invece, sappiamo.
Siamo riusciti a scoprire sul serio un sacco di altri sistemi solari, o meglio, sistemi stellari, oltre al nostro.
Ormai il censimento dei pianeti extra-solari arriva a più di 500 unità (vedi "Terre, Terre, Terre!", curiosità di marzo 2009).
Ci siamo riusciti perchè gli strumenti che abbiamo adesso sono molto più precisi di prima, e riescono a scoprire se una stella sta ferma o se oscilla, anche se di poco, anche di pochi metri al secondo.
Pensate che un centometrista fa 10 metri al secondo. Quindi, se fosse abbastanza luminoso, potremmo misurare la sua velocità anche se corresse a qualche anno luce di distanza...
Ma perchè la stella oscilla?
Se la stella non è da sola, ma ha un pianeta che le gira intorno, allora non può rimanere ferma, ma deve per forza "essere in orbita" anche lei, intorno al pianeta.
Solo che la stella è migliaia di volte più pesante del pianeta, e quindi la sua orbita è molto molto piccola... e quindi la stella può permettersi di andare piano e prendersela comoda.
È per questo che è stato così difficile trovare altri pianeti.
Però adesso ce la facciamo e li abbiamo trovati.
E il mese scorso ne abbiamo trovato uno speciale.
Per dieci anni il telescopio Keck, nelle Hawai, ha osservato una stellina insignificante, dal nome molto poco poetico di Gliese 581, che emette un centesimo della luminosità del Sole, e che dista da noi 10 anni luce.
Si sapeva già che attorno a questa stellina giravano non uno, ma ben 4 pianeti.
Ma nessuno di questi 4 era alla distanza giusta dalla stella madre per ricevere il giusto grado di calore dalla stella, tale da permettere all’acqua di essere liquida: o erano troppo lontani (e troppo freddi) o troppo vicini (e quindi troppo caldi).
Però il sistema planetario di Gliese 581 era promettente, così lo si è seguito con pazienza infinita.
E così, dopo 10 anni di raccolta di dati, si sono scoperti due nuovi pianeti, e uno di questi è alla distanza giusta...
È il primo pianeta, tra tutti quelli scoperti, che può ospitare l’acqua allo stato liquido.
La sua stella madre è piccolina, per cui il pianeta le deve orbitare più vicino di quanto fa la Terra con il Sole.
Noi siamo a 150 milioni di chilometri, mentre il pianeta "nostro gemello" dista solo 22 milioni di chilometri.
Ed è più grosso della Terra: ha una massa circa 3 volte più grande, e se fosse un pianeta roccioso come la terra sarebbe un 30-50 per cento più grande.
Una persona che pesa 70 chili sulla Terra, lì peserebbe circa 100 chili o poco più.
Ma perchè è così importante avere l’acqua liquida?
Perchè l’acqua è un solvente formidabile.
Nell’acqua si possono disciogliere i minerali, e fare in modo che elementi diversi si combinino tra loro fino a formare molecole via via più complesse.
L’acqua liquida è quindi necessaria per la nascita della vita. Non per niente i pianeti che la permettono sono posti nella "zona di abitabilità".
Se poi pensate che aver trovato solo un pianeta su ben 500 nella zona di abitabilità significa che i gemelli della Terra sono molto rari, beh, vi sbagliate di grosso.
Cominciamo solo ora ad avere gli strumenti per poterli trovare, e con grande fatica.
Quindi dovete pensare l’opposto: averne trovato già uno adesso, con strumenti sofisticati sì, ma pur sempre molto limitati, significa che i gemelli della Terra siano comunissimi.
Si può addirittura stimare quanto: ne dovrebbero esistere tra 1 e 5 ogni 10 stelle.
Beh, ci sono 100 miliardi di stelle nella nostra galassia: quindi i pianeti nella zona abitabile potrebbero essere tra 10 e 50 miliardi (e solo nella Via Lattea).
Questo non vuol dire che ci sia vita, e neanche che ci sia acqua liquida (anche la Luna è nella zona di abitabilità, ma sulla Luna non c’è nè acqua liquida nè vita)...
Ma con questa abbondanza di gemelli della Terra sembra davvero strano che su nessuno sia nata la vita...
Jared Diamond ha scritto un libro, intitolato "Collasso", che descrive come alcune civiltà ricche e fiorenti del passato si sono estinte, spesso in pochissimo tempo e spesso in modo misterioso. Sono "collassate". Ebbene, anche le stelle, come le civiltà antiche, possono collassare, e farlo in pochissimo tempo, dopo una vita di splendore.
È un po’ paradossale, ma sappiamo addirittura di più del collasso delle stelle di quanto possiamo conoscere e ipotizzare del collasso delle civiltà antiche.
Nella puntata precedente (vedi curiosità di settembre) abbiamo visto quello che succederà al nostro Sole, quando giungerà la sua ora (tra 5 miliardi di anni). Questa volta invece andiamo a vedere quello che succede a stelle più grandi del nostro Sole.
Più la stella è pesante e meno vive - La prima cosa da sapere è che più una stella ha massa, e più la sua vita diventa intensa e brillante, ma breve. Se il Sole vive 10 miliardi di anni, una stella dalla massa doppia vive 1,8 miliardi di anni. Una stella che ha una massa 10 volte quella del Sole vive "solo" una trentina di milioni di anni. Questo perchè più la stella ha massa, e più velocemente brucia il suo combustibile: anche se parte con un serbatoio più grande, brucia così velocemente da vivere di meno.
Il nucleo brucia - Supponiamo che una stella abbia all’incirca 8 volte la massa del Sole. Data la maggiore gravità, al suo centro si sviluppano temperature e pressioni enormi, che aiutano le reazioni termonucleari ad avvenire più in fretta, ed in breve tutto l’idrogeno che la stella aveva nel suo nucleo si trasforma in elio. Ma le reazioni, per una stella così massiccia, continuano, e l’elio si trasforma in carbonio, mentre anche gli strati più esterni, che prima non bruciavano, adesso raggiungono una temperature sufficiente per poter bruciare il loro idrogeno. Infatti al centro della stella, dove l’elio si trasforma in carbonio, si raggiungono i 100 milioni di gradi. Un inferno? Si, ma c’è di peggio.
L’inferno dentro - Infatti, dopo un po’ di tempo, tutto l’elio del nucleo si è trasformato in carbonio. Il nucleo, non più sostenuto dalla pressione, si contrae un po’, fino a raggiungere il mezzo miliardo di gradi.
E a questo punto brucia il carbonio, che forma nuclei di neon. Appena fuori da questo forno (cioè negli strati immediatamente superiori) si riesce a bruciare l’elio, e appena sopra si riesce a bruciare l’idrogeno. Comincia a delinearsi una struttura a cipolla, con tanti strati che bruciano combustibili diversi, più pesanti nel centro e più leggeri un po’ al di fuori. Gli eventi, intanto, incalzano, e le cose diventano sempre più veloci. Adesso non mancano più miliardi o milioni di anni, ma un migliaio di anni alla fine.
Stella a cipolla - La stella riesce a fare ancora un sacco di cose in questo poco tempo. In breve, anche tutto il carbonio del nucleo si esaurisce. È la volta del bruciamento del neon, che si trasforma in ossigeno. Nel frattempo gli strati esterni bruciano le scorie che sono rimaste dai bruciamenti precedenti: la stella diventa una cipolla, come si vede in figura ... La temperatura intanto è salita a circa due miliardi di gradi. Abbastanza da fondere due nuclei di ossigeno che formano un nucleo di silicio. E così via, fino alla formazione del ferro.
Il ferro non brucia - Il ferro è diverso dagli altri nuclei. Per "bruciare" ha bisogno di energia. Quindi, se bruciasse, invece di scaldare farebbe diventare il nucleo più freddo. E questo fa iniziare il collasso: il nucleo della stella non è più sostenuto dalla pressione sufficiente per resistere a tutto il peso degli strati superiori: il nucleo si restringe, senza essere più contrastato da nuove reazioni termonucleari.
Collasso! - Il nucleo collassa, collassa, e nel frattempo quasi tutti i protoni dentro ai nuclei di ferro diventano neutroni. è come se si formasse un nucleo solo, enorme, fatto di soli neutroni. La stella è diventata una stella di neutroni. Se la massa iniziale della stella è minore di circa due dozzine di masse solari il collasso si ferma quando il raggio diventa una decina di chilometri.
Lo "spazio vitale" dei neutroni - Ai neutroni l’affollamento esasperato non piace. Cercano di tenere le distanze, e nel farlo sviluppano una pressione. è questa pressione che ferma il collasso. Una massa enorme, più di quella del nostro Sole, concentrata in una sfera di una decina di chilometri di raggio ...
Il rimbalzo - Il nucleo è il primo a collassare, e lo fa più velocemente degli strati esterni, che quindi si sentono mancare "la terra sotto i piedi". Anche loro cadono nel vuoto, acquistando velocità. Alla fine si schiantano contro la superficie dura della stella di neutroni, e l’urto scatena una quantità prodigiosa di energia, che li fa rimbalzare.
Supernova! - Il rimbalzo è così efficiente da far accelerare qualche massa solare verso l’esterno, fino a velocità di qualche migliaio di km al secondo. È nata una supernova. L’energia in gioco è così grande che se scoppiasse a un migliaio di anni luce da noi la potremmo vedere in pieno giorno (e qualche volta è successo! Ma molti anni fa ...).
Una calamita gigante - La neonata stella di neutroni è anche una calamita gigante, con un campo magnetico mille miliardi più forte di quello terrestre (o solare).
Una super-trottola - Oltre ad essere fortemente magnetica, la neonata stella di neutroni gira su stessa circa mille volte al secondo, facendo ruotare anche il campo magnetico ad essa collegato. Questo fa sì che la stella di neutroni emetta come un faro: se noi siamo nel cono di luce di questo faro, allora vedremo degli impulsi di luce arrivarci "ad ogni giro", vedremo quindi una stella pulsante - una pulsar.
Buchi neri - E se la stella, all’inizio, avesse circa due dozzine o più di masse solari? Allora la storia sarebbe più o meno uguale fino agli ultimi istanti. Però in questo caso neanche la claustrofobia dei netroni riuscirebbe a resistere contro il peso degli strati esterni. Il nucleo inesorabilmente collasserebbe di più, diventerebbe sempre più compatto, sempre più compatto. Fino a scomparire in un buco nero.
Vai alcomunicato stampa dell’INFN e al comunicato stampa dell’INAF (23/10/2012)
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un incontro piuttosto proficuo tra lo studio dell’infinitamente grande (stelle, galassie, l’intero Universo) e l’infinitamente piccolo (le particelle elementari e le loro interazioni).
La natura della materia oscura che sembra dominare le galassie e l’origine dell’accelerazione dell’espansione cosmica (attribuita a una non ben specificata energia oscura) sono solo due dei temi che vedono astrofisici e fisici delle particelle lavorare gomito a gomito.
Recentemente, la collaborazione si è estesa al campo in vivace sviluppo del’astrofisica dei raggi (o fotoni) gamma, la radiazione elettromagnetica alla frequenze più elevate.
I raggi gamma, schermati dall’atmosfera, non giungono fino a Terra: la loro rivelazione diretta coinvolge quindi strumenti installati su satellite.
I raggi gamma alle frequenze molto elevate vengono invece rilevati indirettamente sfruttando speciali telescopi (Cherenkov) capaci di rilevare i flebili lampi di luce emessi dallo "sciame" di particelle prodotte dai raggi gamma nell’interazione con l’atmosfera. (vedi curiosità del novembre 2008).
Tra le sorgenti cosmiche di raggi gamma più potenti ci sono i blazars, galassie lontane nel cui nucleo un buco nero pesante come un miliardo di Soli ingoia enormi quantità di gas.
Nei blazars il buco nero, oltre a mangiare materia espelle del gas in due enormi getti, con velocità prossime a quella della luce.
Questi getti, capaci di emettere radiazione dalle onde radio ai raggi gamma, nei blazars sono puntati direttamente verso di noi.
L’alta velocità della materia che emette fa sì che la radiazione osservata sia enormemente amplificata.
Questo rende i blazars le sorgenti persistenti più luminose del cielo - dei veri fari cosmici - specialmente in banda gamma.
Da queste caratteristiche nasce l’idea di usare il potente fascio di raggi gamma dei blazar per studiare diversi problemi astrofisici ancora irrisolti.
Uno di questi problemi è la sopravvivenza stessa dei raggi gamma.
Se nascono non tanto lontano dal buco nero, devono attraversare una regione molto densa di altri fotoni.
E il viaggio è pieno di pericoli mortali.
Il fotone gamma può scontrarsi con gli altri fotoni e trasformarsi in una coppia particella-antiparticella.
Lui (il fotone) muore per dare alla luce un elettrone e un positrone (l’antiparticella dell’elettrone).
Ma se questo accadesse realmente non ci aspetteremmo di osservare fotoni gamma di alta energia da queste sorgenti ... dovrebbero essere tutti morti!
E invece, dal blazar chiamato PKS 1222+216 riceviamo proprio questi fotoni, raccolti dal telescopio Cherenkov MAGIC, posto sull’isola di La Palma (Canarie).
Non ce li aspettavamo, ed invece eccoli qui, sopravvissuti.
La sorpresa è stata così grande da stimolare nuove idee: e se i fotoni gamma potessero trasformarsi in un qualcosa d’altro, che riesce a superare indenne il mare di fotoni killer?
Una specie di "sottomarino" capace di riemergere al momento giusto?
Beh, per quanto strano possa sembrare, è proprio questa l’idea nuova che è stata proposta (link al comunicato stampa dell’INFN e al comunicato stampa dell’INAF 23/10/2012)
Il fotone gamma, sotto certe condizioni, si tramuterebbe in un assione, una particella per ora prevista solo teoricamente (e finora mai osservata).
Con questo "travestimento" i fotoni gamma passerebbero indenni la zona pericolosa.
Dopo un po’ gli assioni si trasformerebbero di nuovo in fotoni gamma, ma ormai, a quel punto, il pericolo sarebbe passato ...
Per ora questa è una teoria stimolante, e intrigante è il modo per confermarla: non nel chiuso dei laboratori e degli acceleratori di particelle, ma attraverso le osservazioni di sorgenti cosmiche, poste a miliardi di anni luce da noi. Infinitamente piccolo ed infinitamente grande si uniscono ...
È da una quindicina di anni che sappiamo che al centro di ogni galassia risiede un mostro.
Un buco nero enorme, pesante da un milione ad un miliardo di masse solari.
Anche la nostra Via Lattea ne ha uno, da 4 milioni di masse solari.
Una taglia tutto sommato "small".
La grande maggioranza di questi buchi neri se ne sta buona, in silenzio e al buio.
Ma uno su cento invece, attirando il gas vicino, oppure catturando una stella incosciente che si avvicina troppo (vedi curiosità del luglio 2011), riesce a produrre luce quantità (vedi Fig. 2). Addirittura più dei 100 miliardi di stelle che formano una galassia come la nostra.
Pensate alla Via Lattea, ai suoi bracci a spirali pieni di stelle. Pensate a quanto è grande: per attraversarla da un capo all’altro la luce impiega centomila anni. E pensate a quel minuscolo angolino, vicino al braccio di Orione, dove vive il nostro sistema solare (vedi Fig. 3). Una cosa insignificante, un volume piccolissimo.
Però è proprio da un volume come il nostro Sistema Solare, ma posto al centro della Via Lattea, che certi buchi neri scatenano l’Inferno. Il nostro no, adesso è tranquillo, ma nel passato anche lui ha avuto una vita violenta. E probabilmente ci sarà qualche fuoco d’artificio molto presto, visto che sta arrivando una nuvola di gas che alimenterà il mostro per un po’
(vedi curiosità del settembre 2012).
Un buco nero, si sa, è nero.... Non è lui che emette luce. È la materia che gli cade dentro che lo fa, prima di sparire nel gorgo di gravità da cui niente può sfuggire, neanche la luce.
Il sistema è molto semplice: la materia, cadendo, si comprime, si scalda ed emette luce.
Dato che l’energia così liberata aumenta avvicinandosi al buco nero, anche la luce emessa aumenta all’avvicinarsi del buco nero.
Non troppo però! Perchè molto molto vicini alla distanza di "non ritorno" la luce viene catturata dal buco nero, e quindi non ci raggiunge.
Se il buco nero è di taglia stellare (taglia S), allora la "luce" che ci raggiunge è sottoforma di raggi X (gli stessi che usiamo per fare le radiografie), mentre se il buco nero è supermassivo (taglia XXL), come quelli al centro delle galassie, allora la maggior parte della luce è emessa nella banda ultravioletta.
Ma quanta ne viene emessa?
Dipende da quanta materia cade dentro il buco nero. Più ne cade, più grande è la luminosità.
Però c’è un limite massimo. Perchè la luce esercita una pressione sulla materia che sta cadendo, e se la luminosità è sufficientemente grande riesce a "soffiarla" via.
Ma quando questo succede la materia non cade più, non si riscalda e la luce non viene prodotta... E quindi la pressione svanisce, e la materia può cadere di nuovo, ricominciando a produrre luce.
Stiamo parlando comunque di luminosità enormi: se il buco nero al centro della Via Lattea producesse la massima luminosità possible, questa sarebbe equivalente a quella prodotta da 100 miliardi di stelle come il Sole, cioè sarebbe pari alla luminosità dell’intera nostra Galassia (che è fatta appunto di 100 miliardi di stelle ...).
C’è stato un tempo, quando il nostro buco nero si stava formando, in cui produceva sul serio una luminosità simile. In altre galassie vediamo proprio questo: un centro brillantissimo, con una luminosità pari o superiore a quella di tutte le stelle della galassa ospite.
Vengono per questo chiamate Nuclei Galattici Attivi.
Come abbiamo detto, 4 milioni di masse solari, che è la stazza del buco nero della Via Lattea, sono tutto sommato poca cosa al confronto con la stazza dei veri giganti, cioè di quei buchi neri che hanno un miliardo o più di masse solari.
È da un quindicina di anni che abbiamo scoperto una cosa interessante: più la massa della galassia ospite è grande, e più è grande la massa del buco nero centrale. Il rapporto è di circa mille a uno: cioè i buchi neri da un miliardo di masse solari abitano in galassie che hanno mille miliardi di stelle come il nostro Sole (vedi Fig. 4).
Come mai c’è questa relazione?
Sarà valida per tutte le galassie, oppure solo per le galassie per cui abbiamo misurato la stazza del buco nero, galassie che sono tutto sommato vicine e di mezza o terza età? La relazione varrà anche per le galassie giovani, nel periodo della loro infanzia e adolescenza? Come fa il buco nero centrale, che è sì un mostro, ma piccolo e leggero in confronto al totale delle stelle, ad influenzare la loro formazione? E poi, chi nasce prima: il buco nero centrale o le stelle?
Questo è quello che si cerca di scoprire oggi ...
La classica immagine dell’astronomo professionista con l’occhio
appoggiato all’oculare di un telescopio è ormai obsoleta da diverso
tempo.
I telescopi moderni sono collegati ai computer, che ricevono i
dati e li immagazzinano per l’analisi.
L’astronomo moderno siede di
fronte a un computer per guardare i risultati delle sue osservazioni.
Anzi, dato che i grandi telescopi sono oggetti enormi e delicati,
l’astronomo siede in un’altra stanza.
A volte, la stanza è in un altro
continente e l’osservazione viene eseguita "in remoto".
Però esistono anche telescopi posizionati su satelliti artificiali in
orbita intorno alla terra.
Come si osserva con questi strumenti?
Chiaramente l’osservazione non può che avvenire in remoto, data
l’inaccessibilità del telescopio.
La procedura è questa.
Avuta l’idea di una interessante osservazione da fare con un
telescopio spaziale, bisogna convincere l’agenzia spaziale che lo
opera che l’idea è veramente interessante, dato che il tempo di
osservazione è limitato e molto costoso.
Si scrive quindi una
motivazione per l’osservazione e la si manda all’agenzia.
Questa riunisce periodicamente un comitato internazionale per decidere quali
proposte scegliere, di solito molte meno di quelle che ha ricevuto.
La nostra proposta deve competere con tutte le altre e uscirne
vincitrice. Se capita che io stesso faccia parte del comitato,
naturalmente non avrò parola quando la mia proposa verrà discussa, per
evitare un conflitto di interessi.
Una volta che la proposta è accettata, entra nel programma di
osservazione.
È importante decidere bene quali strumenti debbano
essere usati e in che modalità, per ottimizzare il ritorno di dati.
In qualche momento l’osservazione sarà fatta, un momento scelto
dall’agenzia a meno che non abbia specificato io quando farla.
A volte, non lo so nemmeno io fino a poche ore prima: quando la
situazione è matura (la mia sorgente astronomica diventa più
brillante, o meno brillante, o ha avuto luogo un altro cambiamento)
scrivo all’agenzia e chiedo di osservare.
A seconda del satellite, l’osservazione può tardare di ore o giorni.
Esistono però casi in cui un ritardo di ore non è sufficiente e
l’osservazione deve essere fatta il più presto possibile, entro minuti
o addirittura secondi.
È questo ad esempio il caso dei lampi gamma,
che durano pochissimo.
Però solo il tempo di ricevere l’informazione
che è successo qualcosa (di solito da un altro satellite), decidere di
osservare, chiamare l’agenzia, convincerli a puntare il telescopio,
più i tempi tecnici per il puntamento (un satellite non si manovra
con un joystick come nei videogiochi, ogni movimento va pianificato
attentamente) e siamo già in pesante ritardo.
Il satellite Swift della NASA ovvia a questo problema: fa tutto lui.
Riceve le informazioni da altri satelliti (o da un altro suo strumento), decide se ne vale la
pena ed è fattibile sulla base di un algoritmo complesso, si gira e
osserva. Tutto senza intervento umano.
E poi?
Poi i dati vengono elaborati a bordo del satellite e trasmessi a terra
quando possibile.
Noi osservatori li riceveremo, via internet, dopo
un’elaborazione successiva a terra, che può prendere ore o giorni.
Una volta sul nostro computer, tocca a noi.
Nel caso di Swift, tutto questo è naturalmente molto più veloce, ma il concetto è lo stesso.
Tutta la procedura si può riassumere in: scrivo in modo convincente
cosa voglio fare e se va tutto bene i dati arrivano sul mio computer
pronti per l’analisi.
Non vado da nessuna parte (posso rimanere a casa), non sto alzato la notte (ma con Swift le cose sono veloci e se
succedono di notte...) e non mi curo delle previsioni meteorologiche
(di quelle terrestri, ma di quelle solari sì: una tempesta solare
disturba le osservazioni e il satellite).
Certo, non c’è il fascino
del cielo stellato, ma quello rimane disponibile tutte le notti serene.
In aprile, parlando di pulsar avevamo detto che ce ne sono di molto veloci, che
ruotano fino a 700 volte al secondo (vedi curiosità di aprile 2010).
Una palla di una decina di chilometri di raggio che ruota 700 volte al secondo.
Per capirci, il motore di un’auto di formula 1 arriva
a 20mila giri al minuto, cioè poco più di 300 giri al secondo.
Sappiamo che solo una stella di neutroni ha una densità sufficientemente alta per non rompersi a quella
velocità, ma come fa una stella di neutroni ad arrivare a ruotare così velocemente?
Le pulsar nascono dalle supernove.
Una stella esplode e il suo nucleo collassa e diventa un oggetto denso e piccolo.
Le stelle ruotano, anche se molto più lentamente
(il sole ruota su se stesso ogni 27 giorni).
Restringendosi, la velocità di
rotazione deve aumentare, proprio come un ballerino ruota più velocemente se tiene
le braccia vicino al corpo.
Quale che sia la velocità di rotazione alla nascita, una
pulsar si stabilizza molto rapidamente su un periodo simile a quello della prima
pulsar scoperta, intorno a un secondo e quindi molto più lento rispetto a quello iniziale.
Una volta nata, la pulsar ruota e rallenta lentamente.
Perchè rallenta? Perchè è una pulsar!
Per pulsare bisogna emettere energia e l’energia deve venire da qualche parte, non può
essere creata.
In una pulsar l’energia viene dalla rotazione, quindi emettendo
radiazione la pulsar rallenta.
Se non hai l’energia per accelerare, c’è un solo modo di farlo: farsi accelerare da
qualcun altro.
Una trottola da sola non gira, ha bisogno che le diamo una spinta.
Torniamo alla curiosità di febbraio 2010 "Tieni la bocca chiusa quando mangi!".
Si parlava di un buco nero che strappa materia a una stella compagna e se la "mangia",
anche se a volte un po’ la "sputa" fuori.
Questo può succedere anche a una stella di
neutroni, solo che la stella di neutroni ha una superficie solida, quindi la materia
non viene "mangiata" ma ci impatta sopra.
Dato che la materia ruota, e anche molto velocemente, questo equivale a dare un’accelerata a una trottola.
Più materia arriva, più si accelera la stella di neutroni.
In questo modo si può arrivare a 700
rotazioni al secondo, col tempo.
Ci vuole tempo, quindi ci aspettiamo che le pulsar veloci siano più vecchie.
Inoltre ci aspettiamo ovviamente che queste pulsar siano in sistemi binari, ovvero abbiano
una compagna.
E lo sono quasi tutte (quelle che non hanno una compagna l’avranno
persa nel frattempo, è sempre possibile).
Addirittura la nostra pulsar può essere in
in orbita con un’altra pulsar (vedi curiosità di giugno 2009).
Siamo sicuri che l’evoluzione sia questa perchè non solo conosciamo pulsar giovani e
"lente" e pulsar vecchie e "veloci", ma vediamo anche quelle che stanno accelerando.
Si tratta di sistemi binari contenenti una pulsar che ruota un po’ meno velocemente
e che riceve materia da una stella compagna, materia che la sta accelerando.
Insomma, torna tutto, cosa che succede raramente.
Un stella che esplode può produrre una pulsar.
Se la pulsar si forma e c’è una stella compagna normale, sempre che il
sistema binario non sia sciolto dall’esplosione, la pulsar può venire accelerata e
ruotare centinaia di volte al secondo.
Di tutta questa catena ci manca solo di
osservare una pulsar che si forma dopo una supernova.
L’unica supernova vicina degli
ultimi secoli, quella del 1987, per ora non sembra avere lasciato niente.
Ma si continua a cercare.
Il 10 ottobre 2010, il satellite dell’ESA INTEGRAL ha misurato radiazione X da una nuova sorgente, localizzata all’interno dell’ammasso globulare denominato Terzan 5.
Le sorgenti X transienti (che appaiono e scompaiono) in ammassi globulari sono
normalmente binarie contenenti una stella di neutroni e la stella di neutroni
potrebbe essere una pulsar veloce, quindi è importante osservare tutte le nuove
sorgenti.
Il satellite RossiXTE della NASA (dedicato all’astronomo italiano Bruno
Rossi) ha osservato il campo interessato tre giorni dopo, il 13 ottobre.
Lo strumento principale di questo satellite non ottiene immagini del cielo, ma osserva
una zona di cielo di circa un grado di ampiezza, due volte il diametro della luna
piena.
Tutta la radiazione X che viene da quel campo viene accumulata, senza la
possibilità di distinguere da dove venga.
Bisognava stare attenti che non ci fossero
altre sorgenti X nel campo, ma in questo caso si andava tranquilli: il resto di
Terzan 5 "dormiva".
Fantastico!
La nuova sorgente è subito risultata essere proprio una pulsar X, con un
periodo di rotazione di circa 91 millisecondi (11 rotazioni al secondo).
Non velocissima e quindi molto interessante.
Non solo, durante l’osservazione, di circa
un’ora, si è vista una eclisse.
La stella normale compagna della stella di neutroni
le è passata davanti, eclissando l’emissione X.
Questo significa che l’orbita del
sistema binario è molto inclinata, cosa molto interessante perchè permette di
studiarla molto meglio, nonchè di capire le dimensioni della stella che eclissa.
Ora, una pulsar è un orologio molto preciso e si può usare per capire se è in orbita intorno a una stella (vedi curiosità di agosto 2010).
Dalle anomalie dell’orologio si possono misurare i parametri dell’orbita del sistema binario: in questo caso
l’orbita è risultata di circa 21 ore, scoperta da un gruppo italiano.
Il problema è che i parametri trovati non predicevano l’eclisse nel momento giusto.
Per sistemare le cose, l’orbita del sistema doveva essere leggermente ellittica, non circolare.
Un sistema binario di questo tipo non dovrebbe però avere un’orbita ellittica, perchè
la sua evoluzione lo dovrebbe avere portato a far diventare l’orbita circolare già
molto tempo fa.
Ancora peggio, l’orbita ellittica avrebbe dovuto avere una seconda
eclisse il 14 ottobre, ma non se ne era vista traccia nelle osservazioni.
Due giorni dopo, la soluzione.
Gli astronomi della NASA, forse parlando con qualche collega esperto del sistema solare, scoprono che proprio durante quell’osservazione si era verificato un evento estremamente improbabile: la luna era entrata nel campo di vista del satellite e aveva eclissato la pulsar!
Senza una vera eclisse, tutto torna: la soluzione circolare è chiaramente quella giusta e di eclissi non ce ne sarebbero state più.
Ma che sfortuna avere la luna quando non la chiedi!
In realtà, qualcosa ci si può ricavare.
La posizione del satellite RXTE nell’orbita si conosce con precisione,
come pure la posizione della terra.
La posizione della luna è calcolabile con precisione.
Avendo a disposizione semplicemente i tempi esatti di inizio e fine eclisse si può calcolare la posizione della sorgente X con alta precisione, senza
bisogno di avere un’immagine.
L’unica cosa è che la luna non è una palla ... ci sono
crateri, montagne, valli.
Bisogna prendere una mappa accurata della luna, che esiste, e vedere bene dietro a cosa è tramontata e sorta la sorgente dietro la luna.
Partendo quindi semplicemente da due tempi, si è ricavata la posizione della
sorgente X con grande precisione, cosa importante perchè un ammasso globulare è un
agglomerato di un milione di stelle in una zona molto piccola.
La luce, per ora, è l’unico modo che abbiamo per scoprire qualcosa dell’Universo che ci circonda.
Tutte le notizie che riusciamo ad avere dell’Universo sono "trasmesse" per mezzo della luce.
Forse, in futuro, riusciremo a captare neutrini e onde gravitazionali, e apriremo delle nuove astronomie. Per ora dobbiamo accontentarci della luce.
Che però non è solo quella che percepiscono i nostri occhi: anche le onde radio sono luce, anche i raggi infrarossi e ultravioletti, come i raggi X e gamma.
Quello che cambia è l’energia che le "particelle di luce", cioè i fotoni, trasportano. Un fotone radio è un’utilitaria, a confronto di un fotone infrarosso, che sembra una Ferrari, ma anche quest’ultimo impallidisce di fronte ad un raggio X.
La luce del Sole ci appare gialla-bianca, ma in realtà è fatta da tanti colori diversi, mescolati tra loro. Ce ne accorgiamo quando vediamo un arcobaleno.
In più, se usiamo degli strumenti più sofisticati del nostro occhio, vediamo che l’arcobaleno presenta delle righe nere. Questo perchè la luce del Sole, quando attraversa gli strati superficiali della nostra stella, prima di emergere, incontra atomi diversi. Ogni tipo di atomo assorbe determinati fotoni, di colore diverso, e mette quindi "la sua firma", in modo da farsi riconoscere agli occhi degli astronomi.
Quando facciamo passare la luce del Sole attraverso un prisma riusciamo a produrre un arcobaleno in laboratorio, e a misurare bene la posizione di tutte le "righe nere". Cioè riusciamo a misurare esattamente il colore che manca, quello che è stato sostituito dalla riga nera. È esattamente un codice a barre cosmico.
Sapete cos’è l’elio?
È un tipo di atomo, il secondo più semplice dopo l’idrogeno, perchè nel suo nucleo trovate due protoni e due neutroni, e all’esterno girano due elettroni.
È molto più leggero dell’aria, e può essere usato per gonfiare i palloni sonda.
Diventa liquido ad una temperature bassissima, vicina allo zero assoluto (cioè circa -273 gradi Celsius), e in questa forma (liquida) viene usato per raffreddare strumenti delicati che non sopportano il calore.
Sapete come è stato scoperto?
Fino al 1868 non si sospettava della sua esistenza. In quell’anno, studiando lo spettro del Sole (cioè la sua luce scomposta nei vari colori per mezzo di un prisma), si notò un "codice a barre" sconosciuto. Cioè prodotto da un atomo che non si era mai visto sulla Terra.
Questo atomo mister X venne chiamato - in inglese - helium, dal greco helios che vuol dire Sole. Dovettero passare 27 anni prima che lo si scovasse sulla Terra. E pensare che l’elio è il secondo elemento più abbondante dell’Universo, dopo l’idrogeno ...
Per mezzo del codice a barre delle stelle sappiamo quali elementi esistono alla loro superficie, e possiamo anche calcolare la loro quantità, o abbondanza rispetto all’idrogeno, l’elemento più semplice e più abbondante.
L’idrogeno è stato formato nei primi secondi di vita dell’Universo, appena dopo il Big Bang, mentre la maggior parte dell’elio che esiste oggi è stato formato nei primi tre minuti dopo il Big Bang.
E il resto?
Tutto il resto è stato fatto all’interno delle stelle (vedi curiosità del settembre 2008).
Le più grandi vivono una vita intensa e muoiono scoppiando come supernove, inseminando tutto l’ambiente intorno di elementi pesanti ...
Dopo un bel po’ tempo può succedere che il materiale espulso, ormai mischiato al materiale che c’è tra le stelle, si raccolga di nuovo, e per gravità formi un grumo, che piano piano si condensa, fino a formare un’altra stella.
Magari il Sole, circa 5 miliardi di anni fa.
A differenza di prima, adesso gli atomi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio esistono, e la nostra stella li ha anche alla sua superficie, così che possano imprimere un ricco codice a barre.
Quindi, se vediamo un codice a barre "ricco" (cioè pieno di righe) sappiamo che la stella si è formata quando già esistevano altri atomi oltre all’idrogeno e all’elio.
Questa stella non può quindi essere molto vecchia (vecchia vuol dire avere più di 10 miliardi di anni ...).
Se invece vediamo un codice "povero" stiamo guardando una stella che è nata tanto tempo fa, quando di elementi pesanti ce n’erano pochi.
Una stella-nonna testimone del tempo che fu ...
Nel 2009, il satellite per astronomia X Swift ha rivelato una nuova sorgente apparsa
nel cielo.
Osservazioni seguenti hanno mostrato che si tratta di una "magnetar",
ovvero di una stella di neutroni isolata simile a una pulsar, ma con un campo
magnetico molto più alto.
Questa sorgente, chiamata SGR 0418+5729, ruota su se
stessa ogni 9.1 secondi, un periodo tipico per questo tipo di oggetti.
Come si fa a sapere che il campo magnetico è molto alto? Dalla alta luminosità e da
altre caratteristiche dell’emissione in raggi X.
C’è però un problema. Una stella di
neutroni isolata che ruota perde energia rallentando a poco a poco: in altre parole
l’energia necessaria per emettere raggi X viene presa dalla rotazione della stella,
che quindi rallenta. Rovesciando il ragionamento, dal rallentamento si può stimare
quanta energia sia disponibile per emettere raggi X. Per questo oggetto in
particolare, il campo magnetico stimato dalla velocità a cui rallenta è però molto
più basso, tipico di una pulsar normale.
Per superare questa incongruenza (emissione da campo alto, rallentamento da campo basso), una sorgente con un campo magnetico "basso" (si tratta sempre di centomila milioni di volte più forte di
quello della terra alle latitudini italiane) che emette radiazione X come se ce
l’avesse molto più alto, si è ipotizzato che il campo magnetico alla sua superficie
non sia omogeneo, ma abbia delle "zone" in cui è molto più alto, legate alla
struttura del campo magnetico interno.
Recentemente, un team di ricercatori italiani ha analizzato dei dati del 2009
ottenuti con il satellite per astronomia X dell’ESA XMM-Newton e ha scoperto un
effetto notevole che conferma questa ipotesi (vedi articolo su Nature).
Prima però dobbiamo fare una parentesi: leggi la box "Cosa fa una particella carica in un campo magnetico?".
Cosa fa una particella carica in un campo magnetico?
Quando una particella carica, ad esempio un elettrone o un protone (costituenti
degli atomi) si trova in un campo magnetico, può assorbire i fotoni che incontra, ma solo quando l’energia dei fotoni corrisponde a un determinato valore, che
dipende dalla massa della particella e dal campo magnetico.
Più alta è la massa della particella carica e/o più alto è il campo
magnetico, più alta è l’energia dei fotoni che vengono assorbiti.
Il plasma nei dintorni di una pulsar o una magnetar è per definizione composto di
particelle cariche: elettroni, protoni e nuclei di elementi più pesanti.
L’effetto è quello di produrre delle righe di assorbimento nell’emissione della stella di neutroni, ovvero a quella energia particolare si vede una carenza di fotoni.
Torniamo a SGR 0418+5729. Quello che i ricercatori italiani hanno scoperto è che non
soltanto una riga di assorbimento in questa sorgente c’è ed è fortissima, ma anche
che la sua energia varia di cinque volte in meno di un secondo, sempre in
corrispondenza dello stesso punto nella rotazione della stella di neutroni.
Ogni 9 secondi, per circa un secondo appare questa riga di assorbimento che in quel secondo
varia in energia di ben cinque volte. Una variazione di tale grandezza non era mai
stata vista!
Come dicevo, l’energia di questa riga dipende principalmente da due
parametri: la massa del tipo di particella coinvolta e l’intensità del campo magnetico nella zona dove queste particelle si trovano.
Escludendo nuclei di elementi più pesanti, si può trattare di elettroni o di protoni.
Però gli elettroni per un campo magnetico tipico di una pulsar produrrebbero una riga di assorbimento a
energie molto più alte, più alte ancora per un campo magnetico da magnetar, cento
volte e passa superiore.
Quindi o questi elettroni si trovano molto lontano dalla
stella di neutroni, dove il campo è più debole, oppure si tratta di protoni. Se sono
protoni, il campo magnetico per la produzione di queste righe si stima essere più di
600 volte quello di una normale pulsar.
Ma la variazione osservata e il fatto che la riga non si osservi sempre indicano che questo campo altissimo non è ovunque.
Ad esempio, il campo potrebbe essere più basso, ma con dei "tubi" di campo magnetico
più alti che escono e entrano dalla stella di neutroni.
In questo caso, quando il
tubo passa davanti alla linea di vista durante la rotazione della stella, entra in
gioco la riga di assorbimento che varia velocemente al variare del campo: sale e poi
scende, esattamente come osservato.
Insomma, un oggetto ancora più peculiare nella nostra galassia. Un multi-magnete
rotante!
A variable absorption feature in the X-ray spectrum of a magnetar - Nature
SGR 0418+5729: A Hidden Population of Exotic Neutron Stars - Chandra Photo Album
Magnetar SGR 0418+5729 with a magnetic loop - ESA
SGR 0418+5729 - Video YouTube (in inglese)
108 anni fa, il 29 settembre 1901, nasceva a Roma il nostro più grande fisico, Enrico Fermi.
A 21 anni si laureava all'Università e alla Scuola Normale di Pisa, a 25 vinceva la prima cattedra di fisica teorica in Italia, e nel 1938, a 37 anni, gli veniva assegnato il premio Nobel per "la scoperta di nuove sostanze radioattive appartenenti all’intero campo degli elementi e per la scoperta del potere selettivo dei neutroni lenti".
Intanto, in Italia, venivano promulgate le leggi razziali contro gli ebrei. Laura Capon, la moglie di Enrico, era di origine ebrea, e queste circostanze convinsero Enrico e Laura ad emigrare.
L’occasione fu la consegna del Nobel a Stoccolma, il 10 dicembre 1938. Il 24 dicembre, da Copenhagen, la famiglia si imbarcò per gli Stati Uniti, dove cominciò la seconda vita scientifica di Enrico, con la costruzione della prima pila atomica e il coinvolgimento nella costruzione della bomba atomica.
Fermi fu uno degli ultimi fisici completi, perchè era grande sia nella teoria che nel progettare e fare esperimenti.
Assolutamente eclettico, toccò con la sua mente da leggenda anche l’astrofisica, chiedendosi come si potevano accelerare i raggi cosmici (vedi curiosità di luglio 2009): ancora adesso parliamo di processi di accelerazione di tipo Fermi 1 e di tipo Fermi 2...
L’anno scorso, in giugno, un satellite costruito da un consorzio di Paesi, guidati dagli Stati Uniti, è stato lanciato e battezzato Fermi in suo onore.
È un satellite che guarda il cielo non nella luce visibile, ma nei raggi gamma.
Questi "raggi" non sono altro che luce, come quella a cui siamo abituati, solo che è a frequenze molto più grandi. Piu grandi ancora dei raggi X, che usiamo per le radiografie.
Sono quindi più energetici e penetranti, e quindi potenzialmente più pericolosi: quando passano in una nostra cellula, possono spezzare i legami che tengono unite le molecole, e fare dei danni gravi.
Fortunatamente la nostra atmosfera ci protegge, ma questo vuole anche dire che, per guardare il cielo nei raggi gamma, bisogna andare oltre l’atmosfera, con un satellite.
Quello che si vede è molto diverso dal cielo a cui siamo abituati.
Infatti le sorgenti potenti nei raggi gamma sono associate a stelle compatte, come le stelle di neutroni che racchiudono tutta la massa del nostro Sole in una sfera di una decina di km di raggio, oppure ai getti di materia che fuoriescono dal centro di alcune galassie, nelle vicinanza di buchi neri mostruosi, pesanti miliardi di volte il nostro Sole.
E poi, circa una volta al giorno, saremmo accecati da un lampo, della durata di una decina di secondi, prodotto da una stella che muore a miliardi di anni luce di distanza, dando alla luce un nuovo buco nero.
Quasi tutte le sorgenti varierebbero molto, alcune fino a scomparire per giorni e poi ritornare ben visibili.
Se poi avessimo un modo per assegnare un colore a seconda dell’energia dei raggi gamma che vediamo (tipo blu per i più energetici e rosso per quelli meno) allora vedremmo sorgenti di tutti i colori, e qualcuna che addirittura da rossa diventerebbe blu e viceversa, e il tutto in poco tempo.
Non ci si potrebbe annoiare.
E infatti, da quando c’è un Fermi! nel cielo, non siamo mai stati così veloci nello studiare questo cielo...
Sito ufficiale satellite Fermi (pagina in inglese)
Il satellite Fermi - wikipedia
Il satellite Fermi scopre raggi gamma emessi da un nuovo tipo di sorgente cosmica: comunicato stampa INAF del 29 maggio 2009 (intervista a Luigi Foschini, INAF-Osservatorio Astronomico di Brera).
Molto spesso la natura è bella.
Lo sfoggio di colori di un tramonto, per esempio, trasmette sensazioni di grandiosità, di potenza calma, di tepore avvolgente, ed è facile accostare un bel tramonto all’amore.
Il più delle volte, guardando un tramonto, non ci chiediamo perchè ci sembra bello, godiamo della sua bellezza e basta.
Al massimo, guardando il Sole, ci chiediamo quando l’ultimo spicchio scenderà sotto l’orizzonte.
Occorre conoscere i perchè e i per come di come si formano i colori, di quanto è lontano il Sole, del perchè lentamente si abbassa sull’orizzonte, per godere della bellezza di un tramonto?
Certamente no.
Se vi capita di guardarlo insieme ad un fisico, o addirittura un astrofisico, magari gli chiederete: "Ma tu a cosa pensi mentre guardi un tramonto? Pensi a quanto è lontano il Sole? Pensi alla luce che arriva adesso ai tuoi occhi, ma che è partita più di otto minuti prima? Pensi al perchè i colori cambiano? A quando apparirà Venere? E mentre pensi a tutte queste cose, riesci a godere della bellezza oppure i numerelli e le equazioni che si formano nella tua testa ti distraggono? Non è che diventi arido, come la tua scienza?
Ma sì, se le cose stessero così, i fisici sarebbero aridi.
Equazioni, numeri, computer, soluzioni, tabelle. Asettici e senza emozioni.
E immagino che ci siano davvero dei fisici che si fermano a questo punto. Che magari, durante una notte stellata, vi sfiniscono dicendovi tutti i nomi delle stelle che guardate. E subito dopo, con un tono un po’ saputello, vi snocciolano la storia della Luna da quando è nata ad oggi. Voi rimanete impressionati per i primi 5 minuti, pensando: ma quante cose che sa... e intanto non guardate più il cielo, ma il vostro Cicerone. Incanto finito...
Ma questa non è la fine della storia.
Se è davvero curioso, un fisico non si ferma a questo punto.
Va avanti, anche se con anni di fatica. Studia ancora, ad un livello più profondo, per scoprire di cosa è fatta la luce, come si comporta quando viaggia e quando viene rivelata dal nostro occhio.
Scopre le bizzarrie del tempo, che è del tutto diverso di quanto pensiamo, e mille altre cose ancora.
Ci vuole costanza, spesso si fa fatica, spesso alla prese con equazioni aride, ma alla fine...
Alla fine si è ripagati dello sforzo e ci si addentra in misteri di cui non si sospettava l’esistenza.
Si è arrivati fin lì con il crudo rigore della matematica, ma una volta arrivati lì l’aridità della matematica è un ricordo lontano.
Si acquista la consapevolezza dell’essere arrivati alla frontiera del conosciuto, del capito.
E si è pervasi da un fascino enorme: quello del sentirsi parte di un tutto.
È come se non ci si sentisse più spettatori, sperimentatori, indagatori, persone che guardano il mondo e si chiedono i perchè.
Ci si sente invece parte del mondo, della natura, parte di quegli stessi processi che si studiano.
Si "vedono" i fotoni che da entità simili a piccoli fantasmi diventano reali quando toccano i coni e i bastoncelli del nostro occhio.
E si vedono i nostri coni e bastoncelli che cambiano lo stato dei quei fotoni.
Si immagina lo spazio come un qualcosa di elastico, il fluire del tempo che cambia, orologi che vanno a ritmi diversi.
Si vedono infinite storie che si intrecciano, interazioni impensabili tra cose diverse.
Quel fisico, quando guarda un tramonto, non è distratto dal ticchettio degli ingranaggi della sua testa. I suoi ingranaggi hanno già lavorato.
Gode dello spettacolo come tutti, ma in più gode di un altro piacere, quello di sentire che non è solo una persona che sta guardando la natura, ma è un pezzo di natura che partecipa, come attore, al suo spettacolo.
Il Sole è una stella media. Né piccola né grande.
Tranquilla, nonostante le sue eruzioni e brillamenti, così immense e spettacolari se misurate con il metro di noi terrestri, ma che in realtà sono solo una piccola diversione dalla sua vita tranquilla.
Però anche il Sole e le stelle della sua taglia non vivranno per sempre.
Cosa succederà quando il Sole diventerà vecchio?
Ora il nucleo del Sole sta ancora trasformando idrogeno in elio, la stessa cosa che succede in una bomba all’idrogeno.
Queste reazioni (termonucleari) scaldano prima il nucleo del Sole, poi gli strati esterni, e infine la superficie, che emette la luce che ci illumina e ci scalda.
Noi esistiamo grazie alla fornace termonucleare del nucleo solare.
Dopo 5 miliardi di anni di onorato servizio, il Sole è ancora in ottima salute, e non ha bisogno di alcuna manutenzione.
Ma fra altri circa 5 miliardi di anni il reattore solare finirà il combustibile.
A quel punto la catena di eventi sarà inesorabile.
Prima finirà l’idrogeno al centro del Sole, perchè è stato tutto trasformato in elio.
Comincerà a bruciare l’idrogeno appena al di fuori del nucleo.
L’energia prodotta in questo modo spingerà gli strati superficiali del Sole verso l’esterno, e la nostra stella s’ingrosserà, diventerà una Gigante Rossa che si mangerà prima Mercurio, poi Venere, e si fermerà più o meno quando arriverà alla Terra.
Forse la Terra sarà mangiata dal Sole, o forse no, ma poco importa: tutta la biosfera sarà già stata distrutta da tempo, gli oceani disseccati, l»atmosfera dissolta, e farà un gran caldo...
Nel frattempo il nucleo del Sole si contrarrà e così facendo si scalderà, fino ad innescare il bruciamento dell’elio, che si trasformerà in carbonio.
Sarà il canto del cigno: dopo poco tempo, tutto l’elio sarà stato consumato, e non ci sarà più niente da bruciare.
Il nucleo si raffredderà inesorabilmente, e il suo calore non sarà più sufficiente a contrastare la sua stessa forza di gravità.
Per tutta la vita del Sole la gravità è stata tenuta a bada dalla pressione dovuta al calore generato dal nucleo, ma in quei momenti la gravità non avrà più avversari.
Spingerà, spingerà, facendo rimpicciolire il Sole fino a farlo diventare grande come la Terra.
Una riduzione notevole, se pensate che il raggio del Sole à adesso di 700.000 km, mentre la Terra ha un raggio circa cento volte più piccolo (circa 6300 km), e quindi un volume che è circa 1 milione di volte minore.
Quando sarà così piccolo, un cucchiaino di Sole conterrà una tonnellata di materia.
Ma cosa impedirà alla gravità di far diventare il Sole ancora più piccolo?
Nuove reazioni nucleari? No.
Sarà una caratteristica degli elettroni a fermare il collasso.
La loro antipatia reciproca: gli elettroni non sopportano di essere messi molto vicini l’uno all’altro, e quando sono costretti in poco spazio cominciano ad agitarsi.
Sarà questa agitazione a contrastare la gravità, a fermare il collasso per sempre.
Anche se molto molto più piccolo, il Sole nano produrrà per molto tempo una luce bianca, e per questo lo chiameremo stella Nana Bianca.
Una Nana Bianca non produce più energia, ma rilascia lentamente quella che ha.
Abbastanza lentamente da poter brillare per un milardo di anni, e poi lentamente spegnersi, e diventare prima una Nana Bruna, e poi una Nana Nera.
Diventando invisibile per sempre.
E cosa succede per le stelle più grandi del Sole?
Lo vediamo nella prossima puntata ...
Al centro della nostra galassia c’è un buco nero.
Non molto massiccio come altri che conosciamo in altre galassie, ma comunque contiene la massa di circa quattro milioni
di volte il nostro sole. Il vantaggio di questo particolare buco nero supermassiccio è
che è vicino, a solo 26000 anni luce dalla terra e quindi osservabile in dettaglio.
Conosciamo la massa del "nostro" buco nero con una precisione di circa il 10%,
quindi piuttosto bene per gli standard astronomici. Come è possibile?
Il modo migliore per misurare la massa di un oggetto celeste è quello di misurare il moto
orbitale di altri oggetti che gli girano intorno.
Le leggi di Keplero permettono facilmente una misura. Nel caso del sole possiamo usare i pianeti, nel caso dei
pianeti usiamo i loro satelliti e così via.
Nel caso del buco nero in questione, astronomi di due gruppi concorrenti in Germania e negli Stati Uniti hanno misurato il moto delle stelline più vicine al buco nero, usando tecniche particolari di
osservazione con telescopi infrarossi.
Stiamo parlando di stelle entro un secondo d’arco dal buco nero (corrispondente all’angolo sotteso da una monetina da un euro a 5 km di distanza).
Negli anni, queste stelle non solo sono state viste spostarsi, ma seguire traiettorie curve intorno a un punto centrale invisibile.
Una di queste, chiamata S2, ha fatto un giro completo in circa 15 anni!
[Al seguente link potete trovare una serie di animazioni molto interessanti].
Il nostro buco nero è molto tranquillo, diciamo dormiente.
Conosciamo moltissimi suoi cugini, i nuclei delle galassie attive, che emettono grandi quantità di raggi X e gamma.
Il processo è lo stesso che abbiamo visto per i buchi neri in sistemi
binari: il buco nero mangia materia ed emette radiazione energetica.
Se nel caso dei
sistemi binari la materia viene dalla stella compagna, in questo caso non può che
venire dalla galassia, gas o stelle della zona più centrale.
Fortunatamente per noi, almeno in questo periodo cosmico, il nostro buco nero riceve pochissimo cibo e
emette quantità molto più limitate di radiazione X.
Questo però non significa che sia sempre stato così o che non cambierà niente in
futuro.
Guardando delle nubi di gas a una certa distanza dal centro della galassia,
si vede che alcune di loro stanno venendo investite da radiazione X più intensa e la
stanno ri-irradiando. Questo indica che in passato, centinaia di anni fa, il buco
nero centrale era più attivo e la sua radiazione ha raggiunto solo ora queste nubi
situate appunto a centinaia di anni luce.
Nel gennaio di quest’anno un gruppo di ricerca internazionale ha annunciato di avere
osservato una nube galattica contenente una quantità di gas corrispondente a tre
volte la massa della terra che si sta muovendo quasi direttamente verso il buco nero
a 1700 chilometri al secondo.
È facile calcolare quando arriverà: nell’estate del
2013.
La sua orbita è molto eccentrica: non cadrà nel buco nero, ma gli passerà
molto vicino.
Ci aspettiamo quindi che al suo arrivo il buco nero ricomincerà a
mangiare e la sua luminosità in raggi X aumenterà.
Non ci sarà pericolo per la
terra, ma sarà un evento spettacolare.
E se invece di una nube nel buco nero ci cadesse una intera stella cosa
succederebbe?
Ma l’abbiamo visto nella curiosità del luglio 2011, solo che il buco
nero non era quello al centro della nostra galassia.
Per tre volte nel 2011 e una nel 2012 il radiotelescopio australiano Parkes, mentre scandagliava il cielo alla ricerca di pulsars, ha ricevuto improvvisamente un segnale fortissimo, ma molto breve. Appena qualche millisecondo di durata.
È come se, sentendo la radio ad un volume normale, improvvisamente sentissimo un beep lacerante, che in una frazione di secondo riuscisse a rompere gli altoparlanti della nostra radio.
Per fortuna gli strumenti del radiotelescopio di Parkes sono più robusti, e non si sono rotti, lasciando i radioastronomi alle prese con un mistero.
Si era già visto un unico evento di questo genere nel 2007, ma una rondine non faceva primavera, e i ricercatori erano scettici.
Adesso invece non ci sono più dubbi. Questi strani lampi radio esistono.
Possiamo paragonarli ai famosi lampi di luce gamma (vedi la curiosità di maggio 2011 e il nostro sito mono-tematico sui lampi di luce gamma), che conosciamo da 40 anni, ma questi durano generalmente di più (fino a qualche centinaio di secondi) e oltretutto adesso sappiamo che non sono visibili solo nei raggi gamma, ma anche alle altre lunghezze d’onda.
Per questi beep radio, invece, non sappiamo ancora se emettono da qualche altra parte dello spettro elettromagnetico.
Dalla direzione di arrivo dei beep si sapeva già che non provenivano dal piano della nostra Galassia, come si può vedere dall’immagine artistica della Fig. 2 e dalla Fig. 3. E dai differenti tempi di arrivo dei beep (vedi la box sottostante) si è riusciti a stabilire che la sorgente dei beep è a qualche miliardo di anni luce da noi!! (e tuttavia "ci spacca gli altoparlanti!!"). Incredibilmente potenti.
Come ti calcolo la distanza della sorgente dei beep radio!
Questi beep radio sono stati "sentiti" non ad una frequenza sola, ma a diverse frequenze.
È come se avessimo non una, ma parecchie radio sintonizzate su canali diversi. E quello che si è sentito non è stato un fortissimo beep simultaneo in tutti i canali, ma una successione (anche se velocissima) di beep.
A frequenze maggiori il beep arriva circa un secondo prima delle frequenze minori. Questo fatto è importantissimo, perchè permette di misurare da quale distanza provengono i beep.
È una tecnica ben conosciuta dai radioastronomi a caccia di pulsar nella nostra galassia.
Quello che succede è che l’impulso radio, mentre attraversa del gas ionizzato (anche se molto molto tenue), si "disperde": il segnale radio alle frequenze più basse rimane indietro rispetto a quello alle frequenze più alte. L’effetto è tanto più grande quanto più gas si deve attraversare.
Quindi tanto maggiore è la differenza di tempo a cui sentiamo i beep, tanto maggiore è la quantità di gas attraversato, e quindi tanto maggiore è la distanza.
Ma quanti ce ne sono? Se quattro in due anni vi sembran pochi, sentite qui.
Un radiotelescopio non può sorvegliare tutto il cielo contemporaneamente, ma solamente un pezzettino alla volta. Quello che riesce ad inquadrare. Facendo i conti, si calcola che per far si’ che il radiotelescopio di Parkes ne abbia visti 4 in due anni, ne devono scoppiare circa diecimila al giorno! Uno ogni 9 secondi. Incredibilmente numerosi. Circa 1000 volte più numerosi dei già citati lampi di luce gamma.
E cosa sono? Cosa li produce? Nebbia fitta.
Non lo sappiamo, anche se le idee non mancano, per spiegarli. La loro brevissima durata dice qualcosa sulle dimensioni che deve avere la sorgente. Meno di qualche centinaio di km.
Tanto per fare un confronto: il nostro Sole ha un raggio di 700.000 km. Mentre una stella di neutroni ha un raggio di circa 10 km, e un buco nero di taglia stellare ha un "raggio" simile.
Il problema è che conosciamo già qualche stella di neutroni e qualche buco nero nella nostra Galassia, e nessuno di essi ha mai mostrato niente di simile.
Bisogna forse pensare a qualche cosa di più esotico.
Forse sono davvero stelle di neutroni, ma di un tipo particolare. Le campionesse galattiche (o addirittura le campionesse dell’universo) di campo magnetico.
Già le stelle di neutroni normali non scherzano, perchè hanno un campo magnetico pari a parecchi miliardi di volte quello di un magnetino da frigo. Ma queste campionesse avrebbero un campo mille volte più grande.
I dettagli sono però ancora avvolti dal mistero.
INAF: Lampi-radio lontanissimi: scatta la caccia ai "colpevoli" da Le Scienze - 4 luglio 2013 .