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La curiosità del mese

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Einstein: "Il pensiero più felice della mia vita"

La curiosità del mese di aprile 2012 a cura di Gabriele Ghisellini


Fig. 1 - Un giovane Albert Einstein.
Fig. 1 - Un giovane Albert Einstein.

Nel 1907 Albert Einstein stava ancora lavorando all’Ufficio brevetti di Berna.
8 ore al giorno per 6 giorni la settimana (si lavorava anche al sabato). Aveva già pubblicato, 2 anni prima, 5 lavori che gli avrebbero assicurato il Nobel e la fama.

Fig. 2 - Una delle stanze dell’Ufficio brevetti dove Einstein lavorava.
Fig. 2 - Una delle stanze dell’Ufficio brevetti dove Einstein lavorava.

Era anche un po’ preoccupato perchè si rendeva conto dell’importanza scientifica di quei lavori, e si aspettava quindi una reazione dal mondo accademico, che però tardava a venire.
Ma continuava a pensare. Nel suo lavoro sulla relatività speciale aveva descritto cosa vedono e misurano due osservatori che si muovono uno rispetto all’altro a velocità costante.
Adesso voleva scoprire cosa succede quando i due osservatori si muovono tra loro a velocità variabile, cioè quando accelerano uno rispetto all’altro.
Non c’era, ai tempi, nessun risultato sperimentale che spingesse Einstein a pensare queste cose. Ma per Einstein era del tutto naturale cercare di completare la sua teoria. Intuiva che in questo modo avrebbe capito di più l’accelerazione gravitazionale, e quindi la teoria della gravitazione di Newton. Sapeva che la posta in gioco poteva essere enorme. Era li’ seduto sulla poltrona del suo ufficio. E ad un certo punto gli balena un pensiero: "Cosa succede quando cado dal tetto?"
Ad una persona normale questo fa subito venire in mente fratture e commozioni cerebrali, ma ad Einstein no.
Lui stesso scrive, anni dopo, che questo è stato "the happiest thought of my life", il pensiero più felice della mia vita. Addirittura! E il bello è che, naturalmente, aveva ragione. Sentiamo Einstein stesso ricordare quel giorno del Novembre 1907:
"Stavo seduto in poltrona all’Ufficio brevetti a Berna quando all’improvviso mi ritrovai a pensare: "Se una persona cade liberamente, non avverte il proprio peso". Rimasi stupefatto. Questo pensiero, così semplice, mi colpì profondamente, e ne venni sospinto verso una nuova teoria della gravitazione."
E ancora:
"Fu allora che ebbi il pensiero più felice della mia vita, nella forma seguente. Il campo gravitazionale ha solo un’esistenza relativa ... Infatti, per un osservatore che cada dal tetto di una casa, non esiste - almeno nelle immediate vicinanze - alcun campo gravitazionale. In effetti se l’osservatore lascia cadere dei corpi, questi permangono in uno stato di quiete o di moto uniforme rispetto a lui."
Cerchiamo di capirci qualcosa.
Per prima cosa dobbiamo capire cosa si intende per "cadere".
Ma questo è facile: è proprio come uno se lo immagina, solo che dobbiamo togliere di mezzo tutte le conseguenze dell’attrito dell’aria. Dobbiamo quindi immaginare di essere lontano dalla Terra, fuori dall’atmosfera.

Fig. 3 - Si cade dal tetto!!! ...
Fig. 3 - Si cade dal tetto!!! ...

Immaginiamo poi di essere in un ambiente senza finestre, come una camera di una astronave che sta precipitando verso la Terra, solo che noi non sappiamo che esiste una Terra. Non possiamo guardare fuori.
Domandiamoci: possiamo capire che stiamo precipitando? Cosa avvertiamo? Sentiamo il nostro peso?

Fig. 4 - Si cade dal tetto!!! ...
Fig. 4 - A sinistra: un osservatore dentro una stanza lontana da ogni corpo celeste. Non c’è gravità, non ci sono forze. - In mezzo: un osservatore dentro una stanza che sta precipitando in caduta libera verso la Terra. Come prima, l’osservatore non sente nessuna forza. Se "la stanza è senza finestre" l’osservatore non può sapere di stare precipitando. Se manda un raggio di luce, lo vede viaggiare in linea retta. - A destra: cosa vede un osservatore fermo rispetto alla Terra? Vede che il raggio di luce ha iniziato il suo viaggio ad una certa altezza, ma quando incrocia contro la parete di fronte, questa si è spostata in basso, e quindi per questo osservatore la luce non può viaggiare lungo una retta orizzontale. Deve curvare.

Assolutamente no: fluttuiamo come gli astronauti in orbita.
Non avvertiamo nessuna forza applicata né a noi né agli oggetti che ci sono vicini.
Se abbiamo una penna in mano e la lasciamo andare, la penna fluttua anche lei vicino a noi, non la vediamo "cadere". Succede tutto come se fossimo in orbita attorno alla Terra, o come se fossimo lontani da ogni corpo celeste, non soggetti ad alcuna gravità.

Se abbiamo un laserino tascabile (come quelli che usiamo come indicatori) vediamo che la luce, come al solito, viaggia secondo una linea retta all’interno del nostra camera.
Proviamo: puntiamolo orizzontalmente al pavimento. La macchia di luce che si forma sulla parete opposta è alla stessa altezza del laserino. Chiamiamo il punto dove si forma la macchia di luce punto A.
Ma cosa vede un’osservatore fermo rispetto alla Terra? Vede noi e la nostra camera precipitare. Il raggio di luce, che per noi andava dritto e orizzontale, viene visto curvare!
Solo così la macchia di luce, anche per noi, arriva al punto A. Quindi la gravità curva lo spazio.
Non male per un pensiero così semplice, no?


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