La curiosità del mese
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Ma perchè si fa ricerca?
La curiosità del mese di luglio 2010 a cura di Gabriele Ghisellini
Ogni tanto, durante gli incontri con il pubblico, o anche con amici, mi sento chiedere: ma voi servite a qualcosa?
Per "voi" si intende "voi astronomi", ma la stessa domanda viene fatta anche ai ricercatori in altri campi.
Il tono della domanda può essere diverso lasciando spesso intendere l’opinione di chi la fa.
C’è il tono curioso di chi si aspetta una risposta positiva, c’è il tono un po' scettico di chi in cuor suo ha già deciso che serviamo a poco e c’è anche (raramente) il tono ammirato di chi è inebriato dal mistero e dall’immenso, e vuole sapere se c’è dell’altro, oltre allo stupore.
In comune, di solito, c’è la domanda sottintesa, che se espressa suonerebbe così:
ma la vostra ricerca ha delle ricadute tecnologiche?
E che c’è di strano? direte voi.
È una domanda più che legittima, onesta e sensata. Io invece, dentro di me, sento una gran rabbia.
Non fraintendetemi, non è rabbia verso chi mi fa la domanda, è una rabbia verso un mondo, il nostro, bislacco.
Provo a spiegarvi il perchè.
Punto numero uno: sgomberiamo il campo dagli equivoci.
La ricerca astronomica e astrofisica ha ricadute tecnologiche di tutto rispetto. Pensate agli strumenti sempre più sofisticati che siamo obbligati ad inventare per raccogliere più luce a tutte le lunghezze d’onda.
Le stesse invenzioni possono essere usate per guardare meglio le cose qui sulla terra.
Pensate a tutti gli accorgimenti inventati nel nostro campo per ridurre le distorsioni provocate dalle turbolenze dell’atmosfera, per restituire una immagine molto precisa delle sorgenti che stiamo guardando.
Anche queste invenzioni hanno applicazioni "normali".
E poi pensate al navigatore che avete in macchina, con la sua vocina che vi guida. Senza le correzioni dovute alla relatività generale (nientemeno!) il vostro tom-tom vi porterebbe a sbattere. E si potrebbe continuare.
Punto numero due: tutte queste belle ricadute tecnologiche non contano un piffero al confronto del vero valore della ricerca in generale, e della ricerca astrofisica in particolare.
Il vero valore è la conoscenza. Punto.
E perchè è un valore? Perchè produce piacere.
È un fatto evolutivo: tra tutti gli animali siamo quelli che ricevono piacere da un nuovo sapere, anche se, lì per lì, non sappiamo cosa farcene, della scoperta stessa.
Notate anche che questo piacere investe non solo chi la scoperta la fa, ma anche chi riceve l’informazione della scoperta.
È contagioso.
Punto numero tre: sarebbe facile fare una analogia con le arti.
Provate a chiedere a Dante cosa serve la sua Divina Commedia. Con che faccia vi guarderebbe?
Andate da Michelangelo a chiedergli a cosa serve la volta della Cappella Sistina.
Non avete il coraggio di farlo? E perchè allora avete il coraggio di chiedere a me a cosa serve sapere che c’è stato il Big Bang?
Punto numero quattro: l’analogia arte-scienza, come tutte le analogie, ha dei limiti.
Noi non siamo artisti. Siamo scienziati. E c’è una differenza.
Però forse il piacere che proviamo davanti ad un’opera d’arte è fratello del piacere che proviamo nel sapere e tutti e due hanno avuto origine ai primordi della storia dell’uomo.
Gli esseri umani portati ad accorgersi di certe simmetrie, o anomalie, del mondo circostante, hanno probabilmente avuto un vantaggio sui loro simili che già allora gridavano Fannullone! a chi si perdeva, durante un temporale, a guardare i fulmini, capendo che ogni tanto un albero si incendiava.
O che la rottura di qualche simmetria nell’erba della savana preannunciava l’arrivo di un animale pericoloso.
Gli individui che provavano piacere nello scoprire cose nuove hanno evidentemente avuto dei vantaggi sui loro simili che non si facevano domande mentre cercavano bacche o cacciavano tutto il giorno.
Così questa caratteristica si è tramandata, come gene vincente.
Punto numero cinque: A cosa serve avere un vestito alla moda? A sentirsi parte del branco.
Ma chi è il capo-branco? Qualcuno se le fa ancora queste domande? Qualcuno, ogni tanto, si chiede quali siano i bisogni primari e quali siano quelli indotti?
È vero, posso essere felice nel comprare finalmente il copri-telefonino del colore che volevo. Anche questo è un piacere, mi direte voi. Ma è un piacere che deriva dal soddisfare un bisogno indotto (indotto da qualcun altro), e non primario.
Non è scritto nei nostri geni, il colore giusto che il nostro telefonino deve avere.
Ultimo punto: E allora, di fronte alla fatidica domanda: ma tu a cosa servi? Rispondo con orgoglio: io cerco di fornire piacere, che renda la nostra vita un poco più degna di essere vissuta.